14. Glas Wen (parte II)

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Edelyn Brooks | POV

«Non lo hai fatto veramente».

Il mio sguardo vaga per il locale costellato di persone che vagabondano da un posto all'altro, portandosi appresso l'aria stanca di un Giovedì comune.

Studenti che si reggono in piedi a malapena, sofferenti per il periodo critico che si adempie proprio nel mese di Dicembre, quello antecedente alla marmaglia di voti scagliati su una pagina bianca allestiti a segnare la nostra carriera scolastica.

Donne disperate che alle cinque del pomeriggio sorseggiano una tazza di tè, o un bicchiere di alcolici per le sconosciute alternative, con in mano il proprio cellulare e una lacrima che solca le gote infarinate di fard.

La mia mano pizzica a causa della stretta pungente che la mia migliore amica mi ha afferrato, mi avrà confuso con un cane, non varia molto la mia statura da quella di uno di quei mammiferi.

Cecilia annuisce fiera della sua illuminante idea di portarmi al Fred per il mio compleanno, dopo avermi brillantemente ingannata con la scusa che aveva bisogno di un consiglio per andare avanti con la sua vita.

Unicamente su una cosa non ha raccontato balle: ha il pomeriggio libero dal lavoro. Infatti, qualora non fosse stato così, sarebbe già vestita con un'elegante uniforme che la caffetteria dispone per i dipendenti, al contrario, indossa uno dei suoi soliti abiti provocanti ed è truccata fino ad abbagliare i miei occhi.

«Non potevi mica rimanere a casa e rimuginare sulla tua vita, piccola Ed» mi asserisce puntandomi un dito contro il petto, pronta a sfoggiare la sua lunga chioma bionda e divertirsi per il resto della serata.

Le lancio un'occhiataccia per farle capire quanto sia stato sbagliato non dichiararmelo.

Certo, avrei cercato qualche scusa inverosimile, per esempio, mi sarei potuta inventare che degli unicorni mi hanno invaso casa, ma almeno non mi sarei trovata con le braccia al petto, schiacciata dallo schiamazzo che alcuni ragazzi riproducono con le labbra riempite di liquido altamente alcolico.

«Io non ti chiedo mai nulla di improponibile, Cecilia, tra cui omettere di non andare a casa tua ma ad una festa piena di gentaglia»

farfuglio maledicendo la mia migliore amica per non avermi piantata in asso, così mi sarei abbandonata sul divano a pensare cosa mi vortica nella testa nell'ultimo periodo.

Mi stringo nel mio maglione, per la folata di vento che mi giunge direttamente sulle gambe scoperte. Le pieghe della stoffa mi sfiorano delicatamente la parte anteriore delle mie cosce, solleticandole per via della poca livellazione con cui le ho ricoperte.

Qualcuno, nel momento in cui mi ha costretta a rimanere rinchiusa nel bagno della scuola per venti minuti, mi ha imposto ulteriormente di agghindarmi come una qualunque adolescente media della mia età.

Perché mi pare di aver fatto un salto radicale ad un mese fa?

«Per lo meno, non partire per trovare Paul e non mi consegnare in mano ai baristi!»

La rimprovero parlottando con ira nella mia voce, eppure, le sue mani volano in aria come striscioni, mentre muovendo il suo bacino si dirige alla ricerca del ragazzo che tanto ignora in questi ultimi giorni.

E, intanto che Cecilia arcua le sue labbra in un bacio spontaneo nella mia direzione, io la mando a fare in culo in tutte le lingue che conosco.

Escludendo il tedesco e ogni altra lingua straniera presente al mondo, mi rimane disponibile la mia madrelingua.

«'Fanculo» bisbiglio per l'imbarazzo che una persona che mi è vicino, mi possa sentire. I miei passi si dirigono al bancone bianco, dove ad attendermi non c'è nessuno.

Come dalie bluDove le storie prendono vita. Scoprilo ora