7.1 // L'inizio della fine

182 15 74
                                    

Edmund si abbassò e sfiorò i fili d’erba che crescevano sul terreno, il palmo e i polpastrelli che passavano leggeri sul velluto verde del prato, proprio al limitare della radura, sul promontorio che dava sul mare. 

Il rumore delle onde copriva ogni altro suono mentre lui si affacciava sulla scogliera di Capo Sud e si sporgeva verso la distesa d’acqua infinita che si estendeva davanti a lui.

Ancora accovacciato a terra, sentì l’energia defluire da lui e scaricarsi nel terreno. L’attimo dopo, sul lato scosceso del promontorio, crebbe dell’edera rampicante che arrivava sino al mare, parecchi metri più in basso, per dare loro un passaggio sicuro sino al punto in cui la parete di roccia si apriva e iniziava la Caverna dei Riflessi. 

Gerta era riuscita a curarlo piuttosto in fretta, dopo che erano scappati alla morte dei loro compagni. La sua magia di Ingar aveva potuto aiutarlo al meglio, e il suo malore era passato quasi subito, permettendo alla sua magia di tornare più forte di prima. La ragazza gli sfiorò la spalla in segno di conforto, abbassandosi accanto a lui. Si era sentita in colpa per averlo attaccato in quel modo, ma lui le aveva ripetuto più volte che nulla di quello che era successo era stata colpa sua. Quell’orrenda figlia di Amma l’aveva costretta ad aggredirlo, lei non aveva fatto altro che piegarsi al suo potere. 

I due osservarono l’edera che si formava lungo la nuda roccia, che scendeva là verso le nere acque del grande oceano. Non appena la pianta rampicante si fu dipanata con successo sino al mare, il ragazzo alzò i suoi occhi grigi sulla compagna. Lei era là, protesa su di lui, come sempre presa da un istinto atroce di proteggerlo, i capelli biondi scossi dal vento là all’orlo del dirupo.

“Sarà meglio andare,” le disse, secco, e Gerta annuì. 

Senza perdere tempo, il druido iniziò a calarsi per la roccia nuda, la pianta che lo sosteneva e che cercava di sorreggerlo, accompagnandolo per la sua discesa. Non guardò giù, era già abbastanza sentire il rumore delle onde fameliche e della schiuma bianca che si abbatteva sulla scogliera. Rivolse il suo sguardo verso l’alto, dove la tunica verde della ragazza ondeggiava scossa dal vento. 

“Ci sei?” gli chiedeva ogni qualche metro, anche lei senza guardare giù, per assicurarsi che il compagno non fosse caduto nelle profondità del mare.

“Ci sono. Tu ci sei?”

“Ci sono anch’io.”

L’odore di salsedine aumentava man mano che procedevano verso il mare, e così il rumore delle acque selvagge che imperversavano al termine del loro cammino. Le dita gli dolevano pur essendo la pianta a fare la maggior parte del lavoro, grattavano sulla roccia e le unghie avevano iniziato a sanguinare. 

La discesa durò diversi minuti, come unico conforto la voce della ragazza sopra di lui che ogni tanto gli parlava e gli chiedeva di confermare la sua presenza là sotto. 

“Ci sono quasi,” disse, quando coi piedi percepì un vuoto là dove ci sarebbe dovuta essere la parete rocciosa, un’apertura sul promontorio che diventava una caverna. 

Si calò per qualche metro con la sola forza delle braccia, per poi lasciarsi andare e atterrare sulla pietra alla base della grotta. “Sono arrivato,” le disse, “ti manca poco.”

La base di roccia arrivava qualche metro sopra il pelo dell’acqua, ma alcune onde riuscivano a superarla rendendola umida e bagnata. Gli arrivavano gli schizzi dal mare, inzaccherandogli la tunica di acqua salata. Si spostò verso l’interno della grotta, per permettere a Gerta di atterrare dov’era arrivato lui.

In breve, con un saltello, la ragazza arrivò sana e salva a destinazione. Era stupenda, coi capelli lunghi e biondi mossi dal vento, gli occhi di un blu scuro quasi nero colmi d’amore e le labbra piegate in un sorriso vittorioso. Ai suoi occhi sembrava una dea. 

Amma della MenteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora