6.2 // Legami

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Solomon si svegliò di soprassalto, prendendo una bella boccata d’aria e irrigidendosi sul letto con gli occhi spalancati. Era notte, e lui si trovava in una locanda nel villaggio di Dreiann, al sud del Regno. Il suo istinto fu quello di evocare delle fiammelle per farsi luce, ma muovendo le dita non uscì neanche qualche scintilla.

La sua magia sembrava essere ancora troppo provata dall’attacco di quel figlio di Ingar. Solo un altro figlio di Ingar avrebbe potuto guarirlo in fretta, altrimenti avrebbe dovuto attendere più tempo. E anche allora, quando il suo male fosse passato, la sua magia avrebbe continuato a essere scostante e incontrollabile, a causa del suo cuore in tumulto. 

Era inutile.

Si abbandonò al letto con un sospiro, chiudendo gli occhi e cercando di svuotare la mente. Non ci riuscì. Le parole di sua madre continuavano a risuonargli nella testa, la sua offerta, la sua sicurezza nel fatto che sarebbe arrivata al Libro Sacro prima di loro. Forse tutto quello che facevano era davvero inutile, forse Astrid avrebbe dovuto mandare qualcun altro. 

Lei era sembrata convinta che la sua vicinanza con Ingerid sarebbe stata utile, quando era solo servita a inasprire i loro rapporti ancora di più. Lei era stata convinta che la sua magia sarebbe guarita, invece era peggiorata ancora e chissà se si sarebbe mai ripresa.

Se Solomon davvero era sul punto di affrontare la morte di tutti quelli che amava, se l’esito sarebbe stato lo stesso, che senso aveva non raggiungere sua madre? Che senso aveva non saltare sul carro del vincitore, col cuore sanguinante?

No. Non poteva fare questo a suo fratello, non poteva fare questo a Dameta. E non poteva fare questo a Everard. 

Era preferibile restare solo ma sapere di aver fatto il possibile per evitarlo, che unirsi a sua madre e darle man forte nel suo piano. Anche se Ingerid avesse avuto la meglio, la sua sarebbe stata la scelta giusta. 

Riaprì gli occhi.

La debole luce della luna entrava dalla finestra alla sua sinistra, mentre dall’altra parte della camera c’era Floki, addormentato sotto una montagna di pelli, i suoi respiri profondi e regolari lasciavano pensare che si fosse assopito in modo sereno. 

Scivolò fuori dalle coperte, si sfilò gli abiti da notte e si infilò la tunica blu bordata d’oro tipica degli abitanti della cittadella. Aveva bisogno di prendere aria, di riflettere, sarebbe uscito sulla strada e avrebbe preso qualche frustata di vento, che gli avrebbe schiarito un po’ la mente.

Uscì dalla stanza e si ritrovò nel corridoio. Lo percorse in silenzio, unico suono le assi impregnate del pavimento che scricchiolavano al suo passaggio, poi imboccò le scale. La locanda era deserta, spettrale, i tavoli vuoti e le panche silenziose, il bancone che sembrava ancora più grande senza nessun attento locandiere intento a versare del vino proprio là dietro. I candelieri erano spenti e la stanza immersa nella penombra, l’atmosfera sembrava onirica, surreale.

Attraversò la sala e si affacciò fuori, rivolgendo lo sguardo verso il cielo. Dalla volta celeste e la posizione delle stelle avrebbe determinato che ore fossero, era bravo in questo. Cercò con lo sguardo la costellazione del fauno mentre il vento gli lambiva la tunica e sbatteva il suo cappuccio lungo la sua schiena.

“Solomon?”

Una voce lo distrasse, e il druido abbassò lo sguardo. Seduto sulla terra battuta della strada, la schiena appoggiata al muro della locanda, raggomitolato su sé stesso, stava lui. Lo guardava incredulo, come se non credesse ai suoi occhi, e inclinò la testa da un lato incuriosito, in una silenziosa domanda sul perché fosse lì.

“Everard,” rispose. “Ti disturbo? Vuoi che torni dentro?”

L’altro non si degnò neanche di rispondere a quella domanda. Batté la mano sui ciottoli accanto a lui e disse “Vieni qui, siediti accanto a me.”

Amma della MenteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora