7.2 // L'inizio della fine

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La notte era limpida sui cieli della capitale, il vento aveva spazzato le nuvole e una trapunta di stelle luccicava sul firmamento come una distesa di gemme. La città dormiente era assopita in una calma quasi innaturale, e se ci fosse stato qualche druido là presente avrebbe capito che c’era aria di guai, che la luna calante non prometteva nulla di buono stagliandosi sulle case spoglie della città. 

Sigga aveva saputo da Frederick che Clarice si trovava nel giardino del palazzo reale, in attesa di andare a dormire nella stanza riservata agli orfani nel cuore del castello. Così attraversò gli ampi giardini ricchi di alberi da frutto e arbusti ad altezza del suo bacino, sentendo la ghiaia scricchiolare sotto i suoi sandali, la sua gonna preferita che sbatteva sulle sue gambe mossa dal vento. I capelli le frustavano il volto, non li legava spesso ora che Everard non era lì a farlo per lei, e ancora una volta la mancanza di suo fratello le schiacciò il petto in una morsa. 

Il ragazzo era lontano da lei, non riceveva sue notizie da settimane. Sapeva che con Solomon e gli altri druidi al suo fianco doveva essere al sicuro, loro l’avrebbero protetto, eppure la preoccupazione le faceva contorcere lo stomaco dalla paura.

La sua preoccupazione sfumò e l’imbarazzo e l’angoscia presero il suo posto non appena intravide la figura di Clarice seduta sul bordo della fontana, alla luce della luna. Da quando aveva saputo con certezza di stare per morire, che neanche l’Oracolo aveva potuto nulla per salvarla, aveva iniziato a fare lunghe passeggiate notturne da sola, per stare in compagnia dei suoi pensieri. La ragazza aveva un vecchio abito dismesso che era a disposizione al castello, una donazione da parte degli abitanti della città, un po’ grande per lei ma in buone condizioni, color del bosco e verde scuro. I suoi capelli erano legati nelle solite treccine sottili, che si era rifatta dopo il viaggio, e osservava quella che sembrava essere la luna riflessa nell’acqua della fontana. 

Ormai doveva aver sentito che qualcuno si stava avvicinando, Sigga aveva il passo leggero ma su quella ghiaia era impossibile non farsi notare, i sandali affondavano e la facevano scricchiolare sotto le suole. Così arrivò a lei, sedendosi proprio accanto, al bordo della fontana, e sospirò.

Sarebbe toccato a lei iniziare la discussione, Frederick l’aveva incoraggiata a fare il primo passo, così lo fece.

“Ti do fastidio?”

Clarice alzò le spalle. “È un paese libero.”

A quanto sembrava, l’impresa di farla sciogliere un po’ sarebbe stata più difficile del previsto.

“Io ti voglio bene,” disse, e se ne pentì subito. Ricordò di quando, qualche mese prima, Frederick aveva risposto a Everard ‘Bene’ non è abbastanza! Non è mai stato abbastanza per me, non lo capisci? Ed ebbe paura  che potesse rispondere qualcosa del genere, così si affrettò a continuare. “È per questo che faccio quello che faccio. Perché non voglio perderti.”

“Continui a fare lo stesso errore,” disse Clarice, in tono piatto. “Continui a mettere il tuo dolore al centro di tutto. È il mio che dovrebbe avere importanza, non credi? O pensi che io sia contenta di stare per morire?”

Dato che sei stata tu a sceglierlo può darsi, pensò, ma non lo disse. “No,” rispose a bassa voce. “Certo che no.”

“Forse non capirai mai quello che ho fatto,” sussurrò Clarice. “Forse resterai sempre arrabbiata con me. Mi sta bene. Ma sappi che se ci fosse stato un altro modo… se avessi potuto comportarmi diversamente l’avrei fatto.”

“Perché non hai accettato la proposta dell’Oracolo? Perché, se non vuoi morire?”

“La proposta era anche peggio della morte. Non insistere, Sigga.”

Amma della MenteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora