9.2 Epilogo // Tutto Scorre

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Quattro anni, due mesi e ventitré giorni dalla vittoria,

Centro di Bürgann.

"Cos'è successo?" Everard entrò nella casa modesta spingendo la porta socchiusa con un gesto della mano, spalancandola.

"Un furto finito male, signore. L'abbiamo appena preso."

L'ingresso dell'angusta dimora era del tutto a soqquadro, e così la cucina che si intravedeva dallo spiraglio della porta aperta che dava sul corridoio. Vasi rotti, una chaise longue rovesciata, un arazzo che prima era stato appeso al muro scivolato in terra floscio e arrotolato su se stesso.

Everard fece segno al primo dei suoi uomini di fare strada, e quello aprì la porta che dava sulla cucina. La scena che gli si parò davanti era ancora peggiore di quella che si era aspettato. Le sedie erano spaccate, il tavolo sbilenco. A terra resti di cibo spappolato e calpestato dai sandali, e schizzi di sangue rosso e vischioso impiastricciavano il pavimento di impronte scarlatte.

I due corpi, di due signori anziani, stavano riversi a terra uno a pancia in su e uno sul fianco, con visibili ferite da coltello entrambi.

"La famiglia è stata avvertita? Bisogna mettere in ordine e sistemarli prima che li vedano."

"È di questo, signore, che volevo parlarvi," disse Rogue, il primo uomo che aveva parlato. "La famiglia..."

Fu allora che la sentì. Una voce inconfondibile di singhiozzi disperati, che veniva da fuori quella porta.

"Chi è che piange? C'è un sopravvissuto?"

"Sì, signore. La nipote delle vittime. Siamo riusciti ad avere informazioni frammentarie dai vicini. La madre è morta di parto pare, e il padre se n'è andato. È cresciuta coi nonni sino a oggi, i genitori della madre. Non ha nessuno. Vi abbiamo chiamato perché dobbiamo portarla a Palazzo, nella sala degli orfani. Siete voi che la gestite, abbiamo pensato..."

"Dov'è? Voglio vederla."

Rogue fece un cenno ad Alistair e quello lo scortò fuori dalla cucina, in una vicina camera da letto. Il suono dei singhiozzi si fece più forte.

La camera da letto era quella dei nonni, non della bambina. Anche quella era un disastro, col letto sfatto e i vestiti che prima erano all'interno della cassa spalancata sparsi ovunque. Mancavano i tappeti, che forse erano stati portati via, e non si vedevano più gioielli.

Hannah, un'altra delle guardie volontarie che in quel momento erano al servizio della corona, tentava invano di calmare una bambina che avrà avuto circa sei anni e piangeva sconsolata, rannicchiata in un angolo della stanza. Il cuore di Everard si strinse a vederla.

Fece un cenno ad Hannah di spostarsi e lei lasciò i capelli ribelli della bimba per fare qualche passo indietro. Everard si avvicinò, lento per non spaventarla, e si accovacciò per terra accanto a lei. La bambina non diede segno di essersene accorta.

"Ciao, piccola," disse Everard, senza protendersi troppo verso di lei e senza toccarla. "Io mi chiamo Everard. Tu come ti chiami?"

"Si chiama Amber," disse Rogue, e Everard gli scoccò un'occhiataccia. Si rimangiò un non l'ho chiesto a te, solo perché non voleva sembrare ostile agli occhi della bambina.

"Amber è un bellissimo nome," disse. "Molto più bello del mio. Sai 'Everard' che significa?" le chiese, lei non rispose però sembrò aver smesso di singhiozzare e iniziato ad ascoltare. "Significa cinghiale. Buffo, vero? Non lo so mica perché i miei genitori mi hanno chiamato così. Ora non posso più chiederglielo, però. Neanche loro ci sono più. In un certo senso, noi due siamo uguali."

Amma della MenteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora