8.2 // I nodi al pettine

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Seguirono la scia di fiammelle che si era alzata in volo, rischiarando la caverna umida. Il vento era smorzato là dentro, ma si sentiva il suo ululato venuto dal mare.

Il cunicolo in cui si erano infilati si strinse per qualche centinaio di metri, durante i quali camminarono in silenzio. Everard continuava a immaginare che la roccia sulle loro teste crollasse loro addosso e li seppellisse vivi, fracassasse le loro ossa e li lasciasse a morire di fame e sete, tra il dolore e l'agonia, come topi.

La vista iniziò ad annebbiarsi, gli mancava l'aria e le gambe gli tremavano. Tutto quello che vedeva era quel buio e quello spazio così stretto, che gli permetteva appena di passare, solo perché era davvero magro per essere un umano.

Quando il piccolo cunicolo si aprì, rivelando una grotta sotterranea, prese un sospiro di sollievo. Avvertì che Solomon gli sfiorava la mano con la sua, e si sentì subito meglio. Doveva essere forte per lui, doveva andare avanti, la missione era più importante della sua paura.

Poi li vide. Al centro della grotta stava uno specchio d'acqua, che grazie alle fiammelle evocate da Solomon rifletteva la luce sul soffitto in un gioco di luci meraviglioso, una galassia tremolante riflessa sulla pietra scura. Immersi nell'acqua a mezzo busto c'erano loro, ed erano nudi. Una donna elegante, dai lunghi capelli e la pelle di ebano, e l'uomo più bello che Everard avesse mai visto.

“Ciao, tesoro,” disse la donna con voce tanto dolce da stordirlo. “Ti sei perso? Ti va di venire un po' con noi?”

Registrò appena un “No! Lascialo in pace!” di Solomon, perché non lo stava ascoltando. Non stava ascoltando neanche le parole della bellissima donna. Vedeva soltanto lui.

Andò avanti verso il lago nonostante Solomon gli avesse afferrato il polso e lo stesse tirando via, trascinandolo con sé.

“Sto arrivando,” gli disse, immergendosi in quell'acqua gelida. “Sono qui.”

“Credo che voglia te, Aralas,” commentò la donna, annoiata.

Il volto dell'uomo si illuminò, rendendolo ancora più bello. Era perfetto, dal viso armonioso, il naso dritto, le labbra piene e invitanti. Aveva le spalle larghe, le braccia forti e fu proprio con quelle che l'afferrò e lo tirò più a sé.

“Vediamo un po' che abbiamo qui... sai che sei proprio carino?”

Aveva un sorrisino sbruffone sul volto, ed Everard lo voleva. Voleva sentirlo premuto contro di lui, contro il suo corpo, voleva le sue labbra sulla pelle e le sue mani che lo toccavano.

“Lascialo stare! Lui è il mio umano! Non puoi averlo!”

Everard percepì che l'acqua intorno a loro si stava scaldando, e che le fiammelle di Solomon erano cresciute di intensità. Aggrottò la fronte infastidito. Perché Solomon lo disturbava in questo modo? Di certo capiva anche lui che tra loro due non c'era partita, che non poteva biasimarlo se lo stava lasciando per quella creatura.

“Ci hai provato druido, ma le tue fiamme non hanno potere qua in acqua. Ti troverai un umano migliore di questo, sono sicuro. Addio.”

L'istante dopo, Everard aveva smesso di respirare. Si trovava sott'acqua, non capiva più nulla, i suoi polmoni bruciavano, ma non gli importava.

Sentiva le mani di quell'uomo su di lui, la sua coda bronzea lo teneva stretto, questa era l'unica cosa che contava. Everard lo baciò sulla bocca e poi con la lingua, riuscendo a succhiare da lui un poco d'aria.

D'un tratto, le acque su di lui si separarono.

L'uomo bellissimo lo lasciò andare, e lui si lasciò sfuggire un verso di disappunto, ora che poteva respirare di nuovo. “Ancora tu? Druido ostinato.”

Amma della MenteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora