3.1 // Il Libro Sacro

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Quando Everard si svegliò si sentiva ancora indolenzito, ma tutto sommato poteva dire di non potersi lamentare. Certo, se si escludeva il fatto che era solo in territorio ostile, che Richard lo stava aspettando, che Solomon non lo guardava nemmeno più in faccia e che aveva abbandonato Sigga e Frederick per inseguire un amore morto e sepolto.

Si stiracchiò sul letto e come prima cosa, come sempre, cercò il suo pugnale. Quando lo trovò, sul comodino accanto al letto, lo impugnò e se lo rigirò tra le mani, tranquillizzato. Era incredibile come solo un piccolo oggetto potesse dargli un tale conforto, eppure ogni volta che lo teneva in mano sentiva il calore e la magia che gli scorreva all’interno, magia che scorreva per lui. Vedeva ogni avventura affrontata con la lama tra le mani, ogni volta che era riuscito a cavarsela e a salvare gli amici. 

Si alzò a sedere e spostò la coperta di pelliccia. Sentiva il vento ululare fuori casa, il sole penetrava dalle fronde degli alberi e illuminava la stanza, entrando dalla finestra alla sua sinistra. Era ancora vestito con gli abiti del giorno prima, non aveva cambio con sé, abiti che erano zuppi del sangue nero e vischioso dell’elfo, ormai rappreso. Desiderò farsi un bagno e cambiarsi i vestiti, ma non sapeva se avrebbe potuto osare di chiedere altri favori ad Astrid e i suoi, non dopo essere entrato in Cittadella senza autorizzazione infrangendo la legge e gli accordi che lui stesso aveva stipulato.

Buttò giù le gambe dal letto e si chinò per infilarsi i sandali. Doveva trovare Astrid, dirle che sarebbe tornato a corte il prima possibile, che non poteva partire per quel viaggio assurdo organizzato da lei e dai suoi druidi. Aveva dei doveri verso il Regno e verso le persone che amava, non poteva indugiare negli affari dei druidi più a lungo di quanto non avesse già fatto. 

Si affacciò in cucina, dove Astrid lo attendeva seduta su una poltroncina, con una pergamena tra le mani, e gli occhi azzurri stanchi. 

“Buongiorno.”

La donna alzò gli occhi dalla pergamena e li sbatté dapprima confusa, poi concentrata su di lui. “Ben svegliato, umano. Sei riuscito a riposare?”

Everard non rispose. “Era il tuo letto, non è vero? Tu non hai potuto dormire. Avresti dovuto dirmelo, io avrei dormito per terra.”

“Avevi bisogno di riprenderti. È andata bene così, io riposerò più tardi, dopo la riunione.”

“Riunione? Che riunione?”

“Ho indetto una riunione con tutti gli abitanti della cittadella. Ho bisogno di parlare loro di ciò che hai scoperto, di Ingerid e del vostro viaggio.”

Everard fece una smorfia a quelle parole. “Il loro viaggio. Io non vado da nessuna parte se non a corte. Hanno bisogno di me laggiù. La mia gente ha bisogno di me.”

 Astrid resse il suo sguardo con un’espressione ferma e imperscrutabile. “Non puoi farmi questo. I ragazzi non sono pronti per un’incursione in terra umana senza una guida. Solomon non ha neanche pieno controllo della sua magia. Hanno bisogno di te.”

Il cuore di Everard mancò un battito. “Solomon dovrà partire con gli altri?”

“Due figli di Tanvar, due figli di Sunnar, una figlia di Amma. Solomon e Hildebrand sono i figli di Tanvar più abituati a convivere con gli umani.”

“Perché non riesce a controllare la sua magia? Cosa c’è che non va in lui?”

“Questi non sono affari che ti riguardano.”

“Hai ragione,” mormorò lui, distogliendo lo sguardo. “Mi dispiace per loro, ma non posso… non posso…”

L’immagine di Clarice morente gli lampeggiò nella mente. Poi fu il turno degli occhi umidi di Frederick mentre gli gridava contro che era sempre la seconda scelta. Richard gli disse di nuovo che era di vitale importanza che lui tornasse subito al castello. Solo Sigga, sua sorella, gli aveva dato il suo benestare. Solo lei l’aveva capito, ma quanto era giusto continuare a stare lontano da lei, la sua metà?

Amma della MenteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora