9.1 Epilogo // Tutto Scorre

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Giorno della vittoria, poche ore dopo,

Promontorio di Capo Sud.

Fu difficile arrivare in cima al promontorio con Ingerid in quelle condizioni, mani immobilizzate e del tutto priva di magia, e quando ci riuscirono il sole era a metà della sua strada verso lo zenit, dovevano essere circa le nove. 

Fu non appena Solomon mise piede sul promontorio, che il suo cuore si spezzò.

No,” gemette, il verso che uscì dalle sue labbra non fu umano. “No, no, no.” Si buttò in terra accanto al corpo riverso sul prato. Avrebbe riconosciuto quella zazzera rossa ovunque. “Hilde,” chiamò, con la voce che gli si rompeva nel petto. “Hilde, rispondimi. Hilde, ti prego…”

Lo prese per le spalle e lo voltò supino. Registrò appena che Everard si era abbassato con lui, gli aveva preso la spalla con una stretta salda e ora lo teneva a sé. 

Il volto di Hildebrand era neutro, non provava più alcuna emozione. I suoi occhi, i suoi bellissimi occhi azzurri brucianti di vita, erano due pozzi neri. Conosceva quell’incantesimo.

Sentì le sue costole frantumarsi sotto il peso del male che provava, si sentì accartocciare, e si piegò su di lui con tutti i sensi azzerati, il resto del mondo sparì e conobbe solo il dolore per un attimo. Il fiato gli si mozzò in gola, sentiva gli arti formicolare e la mente leggera, le tempie gli dolevano e il suo cranio minacciava di esplodere.

Prese una raspante boccata d'aria e, Tremante dalla rabbia e dall’indignazione, si voltò verso Ingerid con gli occhi che gli si riempivano di lacrime.

“Sei stata tu,” le disse, non era una domanda. La voce era bassa e strozzata, e le prime lacrime iniziarono a solcargli il volto incredulo. “Sei stata tu. Perché?”

Sentì la stretta di Everard sulla sua spalla che si stringeva in una morsa. Non ci badò. Hildebrand non poteva essere morto. Non lui, non il suo fratellino, la persona per cui aveva fatto ciò che aveva fatto, la sua ragione. 

“Voleva ostacolarmi. Ho dovuto.”

“Avresti potuto addormentarlo,” disse, il petto infine rotto dai singhiozzi, una smorfia sul volto. “Come avresti fatto con me. Perché l’hai fatto?”

“Tanto sarebbe morto comunque. Sarebbe morto comunque entro stanotte. Che differenza avrebbe fatto?”

Lui dovette distogliere lo sguardo dalla donna, o non avrebbe risposto delle sue azioni. Lo puntò di nuovo sul ragazzo, la sua pelle coperta di lentiggini, e si aggrappò alla sua tunica azzurra che tanto si intonava agli occhi ormai vuoti. Gli passò una mano sulla guancia, stava tremando. Gli si chiusero gli occhi con forza, all’ennesimo singhiozzo che gli scappò roco dal fondo della sua gola.

“Ti odio!” gridò, e sentì la magia che gli scappava dalle dita, un fulmine che iniziava a crepitare sulle loro teste, il cielo ormai denso di nuvole nere. “Io ti odio! Non voglio più vederti, mai più! Ti porterò da Astrid, farà quello che vuole con te. Non mi interessi più.”

“Avevi detto che mi avresti perdonato. Avevi detto…”

“L’hai ucciso!” un fulmine cadde a pochi passi da loro, poi sentirono il tuono. Forte, assordante, che fece tremare la terra sotto i loro piedi. “Io l’amavo e tu l’hai ucciso! Aveva solo quindici anni!”

“Solomon,” udì appena la voce di Everard che lo chiamava. Non voleva ascoltarlo. Non riusciva a muoversi, respirare gli faceva male, sentiva le guance bagnate di lacrime e aveva voglia di vomitare. “Solomon ascoltami, potete farlo tornare indietro. Il dono di Esta, giusto? Tu o Dameta potete farlo tornare.”

Amma della MenteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora