Ingar Alternativo (parte 2)

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“Se è un’altra scemenza Hilde…” esordì, sgattaiolando all’interno.

Il druido sobbalzò, la pergamena che studiava gli sfuggì dalle mani. “Ma come hai fatto ad arrivare così in fretta? Mi hai fatto prendere un colpo. E poi come riesci a entrare ogni volta senza fare scattare gli allarmi, si può sapere?”

Aveva l’aria sbattuta, i vestiti spiegazzati, due occhiaie profonde e gli occhi rossi dal pianto. Everard sapeva che non era un buon segno, sapeva che c’era la concreta possibilità che Solomon fosse messo male.

Deglutì un boccone amaro. “Tu hai i tuoi trucchetti, io ho i miei,” liquidò, vago. “Lui dov’è? Cos’ha?”

“In camera sua. La situazione è molto critica, ti avverto. Vederlo non ti piacerà.”

“Cos’è successo?” 

Lui e Solomon non stavano più insieme da un pezzo. Era stato lui stesso a lasciarlo, lo ricordava bene, e poi aveva avuto anche l’ipocrisia di soffrire quando aveva scoperto che se n’era andato con un’altra.

Quando aveva ricevuto la seconda chiamata di Hildebrand, aveva mollato tutto ed era partito per la Cittadella comunque.

A Solomon, o chi per lui, bastava schioccare le dita per farlo accorrere senza il minimo ripensamento nonostante tutto quello che era successo, e sì: la situazione era davvero patetica.

“Ha il cuore spezzato. Non fare quella faccia!” si affrettò ad aggiungere. “Per noi è roba seria. Ha iniziato a star male quando ci siamo trasferiti qui, la sua magia sfarfallava, ma nulla di così grave. Dopo l’ultima volta che sei stato qui... non ti mentirò, non è detto che questa storia finisca bene.”

“E io cosa c’entro con questo? Perché non hai chiamato la sua ragazza?”

Hildebrand si passò una mano in volto con un sospiro. “Everard, forse non sono bravo a dimostrarlo, ma non credo che tu sia  un totale stupido... non provare a dimostrarmi che mi sbaglio. Te l’ho già detto, a lui non importa nulla di lei. Appena si è ripreso, dopo che sei stato qui, è corso da lei e le ha detto che non poteva più vederla, poi si è ammalato. Non è il fatto che non state insieme, ma lui è convinto che lo disprezzi adesso, e… e se tu gli dicessi che non è così forse…” La sua voce si esaurì di colpo. Sì schiarì la voce. “Scusa, so che non ho il diritto di chiederti questo. So che sei arrabbiato, hai ragione, ma provaci. Prova a rassicurarlo un pochino. Lui starà meglio e potrai andartene. Ti prego, non posso lasciare che muoia. Non così, non per colpa mia. Non ti ho mai chiesto niente, ma devo chiederti questo.”

“E se ti sbagliassi? Se non fosse me che vuole? Se ti sei sbagliato e non la chiamiamo magari sarà troppo tardi e…”

No, non poteva permettere che Solomon stesse così male. Sì, aveva sofferto quando aveva saputo che l’aveva già sostituito con un’altra, ma l’avrebbe voluto realizzato, felice, anche senza di lui. Non avrebbe mai voluto questo.

Solomon era esplosivo, scoppiava di energia, era una fiamma ardente sempre viva che faceva splendere tutto ciò che aveva intorno e lo trascinava nella sua orbita. 

Non poteva morire. 

“No. No, lui vuole te. Lui vuole te, lo sapevo prima e il fatto che ora sia in quello stato lo conferma.”

“Sicuro? Lui non mi deve niente, lo sai. Sono stato io mandarlo via, se ha trovato qualcuno è normale, e–”

“Sono sicuro. Non scommetterei sulla sua vita, credimi. Sono sicuro.”

Quelle informazioni... quelle informazioni non erano facili da digerire.

Certo, il fatto che Solomon a quanto pareva lo amasse era in qualche modo confortante. Insomma, l’aveva lasciato perché l’amore che sentiva era artificiale, non vero, e invece a quanto pareva era vero abbastanza da farlo star male. Che si fosse sbagliato a lasciarlo?

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