2 #Siren - La sirena da nebbia

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La nebbia, colata lungo l'acqua dal mare fin nella baia, saliva a bordo con le sue volute lattiginose. Per tenersi sveglio il corpo di guardia marciava dal cassero al castello di prua. Fermi in rada, all'ancora, con le stelle nascoste ci si assopiva in fretta.

Sottocoperta invece, la luce di una singola candela illuminava il viso di un vecchio, nell'angolo tra una botte e le amache vuote. In una notte nebbiosa, nessuno intendeva dormire prima di averglielo sentito raccontare un'altra volta:

«C'era una donna.»

«E com'era fatta?»

«Coi seni di fuori e i capelli sciolti, ma non importava il suo aspetto, quanto piuttosto che fosse affamata, molto affamata.»

«Ahah! E noi sappiamo di cosa.»

«Sh» il vecchio soffiò tra i denti, il suo respiro quasi spense la candela. Quando la fiammella smise di tremolare riprese la storia e questa volta non lo interruppe nessuno:

«C'era una donna stesa su una secca di sabbia che usciva appena appena dall'acqua, in quei tratti di mare dove pare che le onde non si alzino mai e la nebbia voglia nascondere qualcosa di intimo. Vi chiederete come so di questa donna, bé, la vide il mio capitano tanto tempo fa, quando ancora non si navigava con le carte sotto il naso, quando ancora si navigava col cuore e con le stelle.

In una notte di nebbia, il nostromo si appese alla corda della campana e il capitano fu costretto a uscire dalla cabina in tutta fretta. "Ascolti, capitano" gli dissero e, quando sulla nave calò il silenzio, distante distante s'udì un canto delicato. Non la voce finissima delle suore dietro le loro sbarre, ma nemmeno il garrito euforico di una commediante sul palco, no. Qualcosa di soave e viscerale, direi il canto di una madre la sera, solo che quella voce nella nebbia non induceva il sonno, tutt'altro.

Dai vostri sguardi so che avete già capito, se provassi a imitarlo io sopirei i vostri bollori sul nascere. Il capitano invece ribolliva dall'inguine al cervello. "Bandiera da battaglia" ordinò e afferrò di persona la ruota del timone, con le mani carezzava nervoso le rotondità dei pomelli. Nessuno di noi sapeva cosa stesse pensando ma poteva bene immaginarlo.

La prua indicò il canto e poco a poco si fece più vicino tanto che l'equipaggio si sporgeva fuoribordo in cerca della donna. D'un tratto il ribollio delle acque e lo scafo che scricchiola da cima a fondo, la nave si piantò in secca.

Tanto attraente era quel canto che nessuno si preoccupò d'altro se non di osservare il capitano correre dal cassero fino a salire sul bompresso e guardare di sotto. Tutti sapevamo che non cercava la secca, lui cercava la donna. Credemmo sapesse dov'era quando disse: "io scendo". Sfiorammo l'ammutinamento e lui fu costretto dall'equipaggio a portare almeno una persona con sé, scelse me e il perché mi era chiaro: nemmeno allora pesavo molto, buono per salire sulla gabbia, meno buono per confrontarsi con le duecento libbre di peso del capitano.

Calammo una scialuppa al ritmo del ritornello che quella donna non smetteva di vocalizzare. Lo scafo della barca si posò direttamente sulla sabbia. Misi un piede fuori, il capitano mi fermò per un braccio e mise fuori i suoi. Camminammo per appena una decina di iarde ma la nave già spariva dietro la coltre di nebbia.

Allora, nel fitto della foschia apparve la sagoma che da tre mesi ogni uomo a bordo sognava ogni sera, quella di seni, di capelli, di bocca, di ventre e di fianchi. Mi slacciai la corda della cinta, quando mi accorsi che il capitano si trovava già nudo. Non l'avrei mai fermato con la forza, nemmeno sarei riuscito a convincerlo, non con la verità: gli raccontai una storiella, già allora lo sapevo fare. Gli descrissi come nella nebbia si nascondessero le donne-pesce, come queste sotto la cinta non avessero nulla con cui divertirsi in realtà, anzi che lì sotto avessero solo il corpo di un pesce qualsiasi. Ancor peggio, e solo questo lo arrestò davvero, gli dissi che queste donne pesce amassero sì gli uomini ma solo per mozzarne gli attributi.

Me la cavavo coi racconti sicché al capitano venne in mente l'idea: "vai prima tu" mi disse "almeno se mozza il tuo, so di non dovermi avvicinare".

Finsi di piangere, in realtà ridevo, mi aggrappai alle sue caviglie ma quello insistette e io alla fine mi lasciai convincere. Mollai il capitano e inseguii il canto nella nebbia, inebriato con un liquore per le orecchie che quella voce stillava abbondante. La raggiunsi e in tutto e per tutto, vi assicuro, non si trattava di una donna pesce. Ci baciammo, ci stendemmo e lei smise di cantare solo per sospirare assieme a me.

Si sa però che, quando l'impeto è sopito e la voglia scemata, torna alla mente la lucidità, almeno alla mente del marinaio. Dopo l'atto, in quella donna vedevo solo l'orrida verità: la ragione del nostro incagliarci in una secca in mezzo al mare, la ragione della follia della ciurma e del cinismo del capitano. Nei suoi occhi lessi che ora si trovava lei a desiderarmi, mentre in quel momento io la detestavo. Mi darete dell'ipocrita, del malvagio e del senza cuore, ma io dovevo salvare la nave e l'equipaggio. Le dissi: "amore mio", ve l'ho detto, ero bravo a raccontar frottole, "se ora non mi regali un pesce e non gli mozzi la testa, dopo di me arriveranno duecento uomini intenzionati a rapirti." Mi diede un pesce, gli mozzai la testa col mio coltello e me lo infilai nelle mutande.

Ridete pure ma non finisce qui. Le promisi che sarei tornato a trovarla, nelle sue acque e nella sua nebbia, ma solo a condizione che cantasse sempre in modo che la riconoscessi: a ritmo tre battiti, un trillo e tre battiti, che, come ogni marinaio sa, significa "nave incagliata". In questo modo nessuno si sarebbe mai più avvicinato a quella secca, questo lei non l'avrebbe saputo, nemmeno sapeva che con un bacio la salutavo per l'ultima volta.

Tornai dal capitano, mi abbassai le mutande e mostrai la carne mozzata e sanguinolenta. Solo io sapevo che si trattava del pesce preso poco prima, lui non ebbe voglia di indagare. "Allora era una donna pesce", corremmo di nuovo sulla nave e lo raccontò a tutti, la storia girò e nella storia si raccontava di quanto le donne pesce cantassero bene. Con qualche fortuna disincagliarsi non è impossibile, l'argano dell'ancora, un po' di alta marea e del vento propizio. Lasciammo quella secca, sani e salvi com'eravamo giunti. Distante distante, mentre uscivamo nell'aria pulita, percepii una sirena da nebbia dare tre urli, trillare e poi altri tre. Solo io sapevo che si trattava del canto di quella splendida donna.»

Coricati nelle amache, i marinai amici del vecchio, spenta la candela provarono la sensazione d'avere nelle mutande un pesce dalla testa mozzata, chiusero gli occhi e sull'orlo del sonno credettero di sentire una sirena da nebbia che cantava soave.

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