3 #Glossy - Perché non scio più

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Come ci sono finita ve lo racconterò un'altra volta, tant'è che capitai a letto col mio istruttore di snowboard.

Il dresscode della festa in baita esigeva tuta da sci, cappuccio e occhiali a piacere. Levati i guanti e liberato i capelli non intendevo tirare la cerniera della tuta prima di vederlo fare a lui. Se non vi fosse capitato, per confrontarsi con un personal trainer, un bodybuilder o uno sportivo in genere, bisogna sempre farlo bere un po', giusto perché abbia la vista un tantino annebbiata, che non distingua un rotolo di ciccia da un quadretto di fibre muscolari. Diciamolo: dovevo vedergli gli addominali prima di esporre la mia forma fisica da settimana bianca e resto dell'anno alla scrivania.

Andai a controllare che la porta fosse chiusa, spensi la luce e accesi l'abat-jour orientandola contro il muro. Quindi appesi indice e pollice al carrello della cerniera sotto il mento squadrato di quell'uomo. La lasciai ronzare mentre scendeva aprendomi la vista su un collo solido e abbronzato. Me lo riuscivo a immaginare bene, sulla neve, con la tuta abbassata fino ai fianchi, le maniche legate in vita, e il sole che gli illuminava il petto. La mia fantasia s'interruppe quando gli trovai al collo un pendente che non somigliava né a un cornetto di cervo, né a un cristallo di rocca.

«E questo?»

«È un dente di squalo.»

«Ah sì?» Mi sentii sollevata, dente di squalo al collo di un montanaro, una caduta di stile a cui mi dovevo aggrappare, almeno per farlo scendere al mio livello. «È un po' pacchiano, cosa c'entra con te?»

«Questo dente me l'hanno estratto dall'anca, quando sono stato morso.»

Ammutolii e tirai giù la cerniera fino all'inguine, questa volta avevo fretta di vedere. Non portava una maglietta e all'altezza del bacino, mi si gelò lo stomaco, potevo contare nella sua pelle le fosse lasciate dal segno del morso. Lui si levò del tutto la tuta e abbassò un tantino i boxer sulla cicatrice, tre arcate di zanne che gli andavano dall'anca al ventre e poi di nuovo al fianco.

«Dimmi che è finto.»

«E com'è possibile? Guarda, c'è anche dietro.»

«Ma...»

«Ora vuoi sapere la sua storia.»

«Non serve.»

«Invece serve: altrimenti domani chiederai di sapere a tutti tranne che a me.»

Misi un cuscino contro la testiera del letto, sedetti, ci posai la schiena, gonfiai il petto e ci feci scorrere la cerniera sopra, per mostrargli qualcosa sì, ma non troppo. Prima volevo quella storia e lui, dopo aver dato un'occhiata alla pelle del mio petto che spuntava dalla cerniera aperta, cominciò a raccontare con una certa fretta.

«C'era una ragazza di nome Glossy, è brutto iniziare a parlare di un'altra mentre sono con te ma non ho ancora detto tutto: si trattava di una sirena.»

«Questo è assurdo.»

«Il nome glielo avevo dato io.»

«Ah, ora ha molto più senso.»

«Da ragazzo vivevo a Lazaronte, nelle Canarie. Nulla supera le onde dell'Atlantico e il sapore del sale quando lecchi la pelle.» Socchiuse gli occhi, per un attimo distante duemila chilometri da dove si trovava ora. «Beh, Glossy era la mia portafortuna, un'amica.»

«Il genere di amica che odierei essere.»

«Allora non avevo idea fosse così male. L'avevo conosciuta sbattendo la testa su uno scoglio.»

«Un'altra cosa molto sensata.»

«Lasciami raccontare! Mi salvò dallo svenire in acqua, o glielo lasciai credere, tant'è che da quella volta tornai sulla spiaggia ogni giorno, al tramonto, per condividere un gelato con lei. Parlava poco volentieri e preferiva fischiettare o gridare come i delfini ma presto mi accorsi che capiva ogni cosa le dicessi.»

«E come faceva a essere il tuo portafortuna?» Tornai a dare un'occhiata all'enorme cicatrice che gli segnava il ventre e scrollai la testa.

«Allora ero un surfista, il mio nome girava e partecipavo alle gare. Vincevo, sì, ma non così tanto come vincevo da quando avevo conosciuto lei. Non hai idea di quanto una sirena nuoti veloce.»

«Non credevo ne potessi avere idea fino a oggi.»

«Glossy mi seguiva da sotto il pelo dell'acqua, qualcuno la notava ma non credeva a ciò che stava vedendo, lei sosteneva la mia tavola, quando le onde più alte si chiudevano a tubo su di me, mi prendeva per mano e mi accompagnava fuori dal vortice senza lasciarmi cadere. Accompagnato per mano da una sirena, la sensazione più incredibile che tu possa provare in mare.»

«E vincevi sul serio.»

«Sì. Ovvio che per vincere non bastava aiutare me. Non glielo chiesi ma scoprii che Glossy spingeva gli altri concorrenti, li faceva cadere dalle tavole.»

«Non mi hai ancora spiegato da dove esce il nome, cosa avevi, otto anni?»

«Glossy, è tipo lucidalabbra, no? Lei aveva queste labbra tutte lucide, ma anche il corpo, portava una pelle di foca stretta addosso, e la coda da sirena sembrava la pinna di un'orca ma laccata come una ceramica. La chiamai così per quel motivo e anche perché, così lucida, la riconoscevo sotto le onde, mi suggeriva quelle buone, e lei riconosceva me perché anche io lucidavo la parte inferiore della mia tavola.»

«Hai descritto una relazione che è pronta a precipitare.»

«Girò la voce della mia sirena personale, a essere onesto la feci girare io. Per qualche assurda ragione, attirò un nugolo di ragazze. Rifiuti qualche proposta, ma quando arriva quella a cui non puoi dir di no... Rifiuti di far vedere la sirena, ma quando arriva quella a cui non puoi dir di no... Una sera, al tramonto, accompagnai una ragazza sulla riva e fischiai con le dita in bocca. Glossy mi venne incontro come faceva ogni sera, ma non sorrise, non spiccò salti per salutarmi e nemmeno cinguettò qualche fischio. Con due occhi sgranati fissava la ragazza che avevo portato con me. "Andiamo via, ho paura", diceva questa qua. Fatto sta che non riuscii a chiarirmi con Glossy.»

«Cosa c'era da chiarire?» sbottai. «L'hai tradita.»

«Era una sirena e io un ragazzo, potevo permettermi qualche piccolo errore nelle relazioni interrazziali uomo-pesce?»

«Il morso te l'ha dato lei? Te lo meriteresti.»

«Non la trovai più, né al tramonto, né sotto le mie onde finché, il giorno di una qualificazione importante, vidi all'orizzonte arrivare un'onda con un luccichio strano, lo stesso che aveva indosso Glossy. Mi misi in piedi e la cavalcai seguendo quel luccicare. Riuscii a raggiungerlo quando mi accorsi che a luccicare era uno squalo toro.»

«Gli squali sono lucidi?»

«No, io credo che a lucidarlo sia stata lei. Lo mandò per me, e non fu l'unico, alla fine venni morso e decisi di lasciare il mare.»

«Per venire a fare snow in montagna.» Conclusi io quella storia e gli avvolsi il collo con le braccia, sembrava triste e non me la sentivo di diventarlo anche io. Cercai di rallegrarlo con le mie armi ma quella storia in qualche modo ci accompagnò tra le coperte, ce le fece sentire più fredde di quanto non fossero e presto ci divise. Mi trovai fuori dalla sua stanza molto prima dell'alba. Ero convinta di averci guadagnato solo una strana storia, da raccontare alla prossima festa in baita, quando mi imbattei in una ragazza travestita, o forse no, aveva gli occhi interamente bianchi, senza pupilla, i capelli platino che parevano una parrucca, due ali attaccate alla schiena, che per non scoppiare a ridere dalla perplessità finsi di non vedere.

«Cosa hai fatto con lui?» mi chiese lapidaria. «Domani ha un contest fuoripista, ci sono molte slavine ultimamente...»

«Nulla!» Glielo volli giurare anche se mentivo. «Ho insistito ma ha detto di essere impegnato.»

«Non farti più vedere sulla neve, lo spirito dei fiocchi ti riconoscerà ovunque.»

Parlava di sé, ma non lo capii prima di essere scappata. Ed ecco il motivo per cui non scio più.


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