7 #Ghostly - Soffoco

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La prima volta che vidi un uccello morto sulla spiaggia dell'isola, credevo respirasse ancora, eppure era solo il vento che muoveva le sue piume scomposte.

Da tutto il giorno la dottoressa Lewis raccoglie con tre dita minuscoli pezzetti di plastica, si confondono con la sabbia. A pizzichi li toglie dalla spiaggia e li posa sulla mano, cammina accucciata per decine di metri. Oggi non siamo usciti per questo motivo, altrimenti ci saremmo portati un setaccio, un sacco e la pazienza, ammesso che la trovassi.

Quando mi avevano parlato di erasmus in Australia credetti per un lungo momento, forse addirittura per qualche giorno, che avrei cavalcato delfini sulle onde di qualche meta per surfisti, Boldi Beach, un posto del genere. Non sapevo che studiare biologia marina mi avrebbe portato di nuovo coi piedi per terra, una Terra sporca, sempre più sporca.

La dottoressa raccoglie una carcassa a mani nude, come se io non le stessi porgendo i guanti, nemmeno guarda il cestino nel quale già si trovano un paio di uccelli morti, la tiene per sé. La trasporta di fronte al ventre, ricorda mia sorella col suo criceto defunto, quando ne portò il feretro, una lattina forata, fino alla buca in cortile.

«Una berta», continua a ripetere la Lewis. Lo so anch'io che è una berta, ne è pieno il cielo sopra di noi e pure il cesto che ho in spalla, «un'altra povera berta» ripete.

Sulla via del ritorno si china a raccogliere qualche pezzettino di plastica e se lo infila in tasca, quando ne vede uno non ne può fare a meno.

Al laboratorio del museo arriviamo col sole sull'orizzonte. Le lampadine a fluorescenza si caricano a fatica. La dottoressa lo ribadisce ogni volta mi legga in faccia il disappunto: «L'elettricità sull'isola è generata dalla combustione di carburante diesel, ti pare ecologico? Non possiamo usare troppa elettricità.»

Ancora una volta mi lascia senza parole in bocca, o senza voglia di risponderle. La luce fioca illumina a stento le decine di barattoli che tappezzano le pareti, dietro il riflesso del vetro la formalina sporca nella quale, come sotto la superficie di una palude, brillano gli occhi spalancati di decine di uccelli.

La dottoressa Lewis corica sul banco di metallo le carcasse raccolte dalla spiaggia. Riverse sul dorso ne tasta il ventre gonfio. Indosso i guanti, anche se non ho intenzione di toccarle.

«Passami le forbici.»

«Sì.»

Mi volto a prendere un paio di forbicine da unghie, ossidate a macchie, sembrano arrivate dal relitto di qualche nave da crociera. La dottoressa ne apre le lame e con la punta buca la pelle del primo uccello. Lo divide in due, aperto come un astuccio. Scopre la vista sulle viscere, mi aggrappo al banco, le gambe percorse da un brivido, le sento sul punto di cedere.

«Vedi lo stomaco? È pieno.» Il dito nudo della Lewis carezza una membrana ramificata di vasi sanguigni, lì dentro in trasparenza qualcosa di spigoloso e scuro. «Senti come è pieno.»

«Devo toccarlo?»

«Fallo.» Trascina la mia mano rigida sopra quel sacchetto roseo e io ci do una strizzata. «Tienilo così» mi ordina.

La dottoressa infila le forbicine nello stomaco dell'uccello e lo apre, come una pustola sezionata con precisione, ne vedo uscire una massa nera di forme spigolose miste a bile e fango. Voglio vomitare ma ho la pancia tanto gelata da non riuscire a contrarsi.

«Comincia a contare i pezzi.»

«D'accordo» rispondo con un filo di voce.

Pezzi di plastica e ancora pezzi di plastica, di tutte le forme, alcuni grandi che non riesco a capire come siano passati da quel becco socchiuso. Uno a uno la dottoressa li toglie dall'uccello e li posa sul banco fin quando non rivolta come un calzino lo stomaco.

Mermay - Stories 2022Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora