23 #Warrior - Silvia la valchiria

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In eredità dallo zio frate solo un ritaglio di pergamena. Stilato di suo pugno, o così sembrava al copista che abitava nella nostra stessa baracca, una di quelle sollevate all'argine del fiume.

Chiamai i bambini, prima del tramonto, sembravano sollevati di levare i piedi dall'acqua, quel giorno non avevano catturato neanche un pesce. Forse speravano che quel pancione rotondo dello zio avesse lasciato qualche pezzo di pane o addirittura una moneta, una di quelle che spicciolavano nelle sue mani in chiesa. Anche io ci avevo sperato, fissai il loro sguardo mentre scoprivano che dello zio rimaneva un nonnulla.

«E cosa c'è scritto?» La loro speranza moriva molto più lentamente della mia. «Una formula? Una ricetta?»

«Era un frate, non una megera.»

«Già, se lo fosse stato ci avrebbe dato da mangiare.»

«Non vi avvicinate alla donna che promette pane sotto al ponte! Ve l'ho già detto.» Li picchiai, prima Jacques e poi Lotte, un po' meno forte. «Non fatelo.»

Sul ritaglio una breve genealogia, il copista ci concesse la cortesia di leggerla, sul ramo più lungo appariva il nome dello zio, su quello appena più corto quello della nonna e, molto più in basso, alle radici un certo nome: Silvia.

«E poi?» continuavano a chiedere i bambini.

Il copista alzò le spalle, non c'era altro sulla pergamena ma io gliela strappai di mano prima che lo dicesse ad alta voce.

«Il resto è segreto» borbottai.

«Come?»

«Sh», soffiai tra i denti, «non fatemelo urlare.»

Lotte puntò il suo ditino sul naso del copista: «Lui l'ha letto.»

«Sì» confermai grave, con un cenno degli occhi indicai il fondo della baracca, «aspettatemi dentro, chiarisco le cose con lui e poi le chiarirò con voi.»

Io e il copista uscimmo ma ancora riuscivo a vedere il riflesso del cielo arrossato in due occhietti curiosi che spuntavano da dietro lo stipite, ero quasi sicuro si trattassero di quelli di Jacques, il più coraggioso dei due o forse il meno avveduto.

«Non c'era altro, caro mio», diceva il copista mentre lo trascinavo lontano dalle orecchie dei miei fratelli. «So che speravi in qualcosa e se potessi ve lo darei io, con tutto il cuore ma...»

«Dormi con la testa accanto ai miei piedi, vuoi che pretenda qualcosa da te?»

Il copista mi abbracciò, nessuno che sapesse leggere e scrivere abitava l'argine del fiume, costretti a scappare durante le piene e tutto il resto del tempo a sopportare animali ingombranti, dai topi alle zanzare. Lui tuttavia si trovava lì e io conservavo il pudore di non chiedergli perché.

«Però,» lo presi per le spalle e lo puntai negli occhi, «devi dirmi qualcosa di più su questa Silvia.»

«Oh è facile che non sia nessuno, caro. Molti di questi alberi genealogici non vanno tanto lontano e, quando non si sa più chi sia il padre di qualcuno si chiude scrivendo qualcosa come Silvia.»

«Vuol dire che se lo inventano?»

«Non proprio: Silvia può voler dire "origine nella selva", cioè che hai antenati usciti dai boschi, oppure si riferisce alla madre di Romolo e Remo, Rea Silvia.»

«In che senso?»

«Nel senso che magari eravate di origine romana.»

«Romani che abitano sulla riva della Senna?»

«Te l'ho detto, caro, c'è chi non sapendo inventa e con orgoglio, a volte, esagera.»

«Esagera?» Quella sera temevo che non sarei tornato nella baracca abbastanza tardi per trovare i bambini addormentati. Lotte per prima l'avrebbe chiesto: "e il segreto?" La sonnolenza avrebbe forse colpito Jacques, ma la pancia vuota degli ultimi giorni lo faceva rigirare sul pagliericcio di erbacce, lo sentivo anche nel sonno. «Cosa pensi intendesse lo zio con quel nome?»

Mermay - Stories 2022Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora