24 #Socialbutterfly - Un'amica di troppo

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Roberto raccolse il frammento di selce da sotto la palma, dove l'aveva lasciato il giorno prima, passò una mano sul lungo tronco in cima alla spiaggia. Chissà per quale motivo trovava sempre nuove foglie a coprire le duecento incisioni. Aggiunse una tacca con la punta della pietra.

«Duecento e uno giorni sull'isola.»

Ripose la selce e tornò nella vegetazione. Anche se nessuno poteva vederlo, Roberto girava vestito da capo a piedi, l'aveva sperimentato il primo giorno: farsi carezzare dalle piante tropicali non era una buona idea.

D'altronde, se anima viva fosse approdata sull'isola, e l'avesse visto, avrebbe comunque gridato. La puzza anticipava il suo arrivo, il barbone confondeva il suo viso col petto villoso e folti capelli ricci lo rendevano una maschera africana vivente. Malgrado tutto questo, Roberto poteva raggiungere il picco al centro dell'isola, l'unica roccia spoglia, denudarsi completamente e alzare le braccia al cielo. Nessuno gridava al vederlo e, gridando lui, nessuno gli rispondeva. Poteva osservare l'orizzonte senza timore del minimo segno di una persona.

Non intendeva mentire, gli piaceva, e comunque a chi avrebbe mentito? Il naufragio era stato una tragedia e pure la morte degli altri, ma rammaricarsene per sempre sarebbe stato peggio.

Con l'alberello cresciuto sulla tomba di Chucky ci si parlava bene, anche col ramo a forma di mano accanto alla palma dei giorni, con quello c'era anche del contatto fisico, con la cascatella della fonte, nascosta sotto il picco, ci si scambiava qualche frase, era capitato addirittura di cantare assieme. Una caratteristica li accomunava tutti e Roberto la adorava: quando di parlare si scocciava, dava loro le spalle e tanti saluti. Il giorno dopo sarebbero stati disponibili e cordiali come nulla fosse accaduto. Un esempio lampante la cascatella, quando questa gli domandava se volesse farsi una doccia, tutte le volte lui aveva risposto usandola come vespasiano, eppure era ancora lì.

L'isola tremò, o forse tremarono le sue ginocchia, uno scintillio strano vagava sul mare, vederlo lo aveva fatto cozzare col coccige a terra. Il riflesso del sole su qualcosa che non era un'onda, seguiva una corrente tutta sua, diretto di sbieco alla spiaggia.

Con quella corsa a ginocchia alte che evita il sottobosco, Roberto si precipitò sulla sabbia. Senza uscire dall'ombra delle palme si fece lungo e rigido, stese il collo per scendere con lo sguardo fino al bagnasciuga.

Lo scintillio, una bottiglia di vetro incagliata. Roberto la avvicinò guardingo, con quelle spiagge aveva un'intimità che assomigliava a quella col proprio bagno una volta girata la chiave. Percepiva la bottiglia come un invasore.

La impugnò, stretta per il collo, ancora tappata ma vuota, portava impressa una vetrofania che recitava: "Festeggia con mille amici!"

«Ah!» Roberto la scagliò contro un albero, senza guardare, non gli interessavano più gli amici e una bottiglia vuota era una presa in giro.

La bottiglia andò in frantumi, assieme all'esplosione un urlo: «Ahia!»

A Roberto scappò un pochino di pipì, spalancò gli occhi e tra i cocci di vetro vide una sirena di colore rosa massaggiarsi le rotondità della coda. Lui rimase immobile, uno scoglio mentre quella si tirava su, fluttuava come un genio della lampada. Si pulì il corpetto dal vetro e aggiustò il turbante che le nascondeva la crocchia. Poi alzò gli occhi su di lui.

«Ciao!»

«Ecco, sono uscito pazzo. Dovevo proprio impiegare duecento giorni?»

«Sei reale? Perché io ti vedo.»

«Io reale? Tu sei una sirena che vola!»

«Io non volo, amico, io galleggio sopra il terreno. Perbacco, come credi che potrei andare in giro altrimenti? Non ho le gambe.»

Mermay - Stories 2022Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora