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Una settimana dopo



La porta del mio appartamento si apre mostrandomi Vincent con della posta tra le mani. La osserva con disinvoltura, alzando gli occhi al cielo di tanto in tanto. 

«Pubblicità.» 

Io sono seduta sullo sgabello davanti la penisola, mangio dei pancakes e mi gusto le undici del mattino dopo aver dormito serenamente, per tutta la notte. Seppur scossa da qualche incubo ancora, avverto tranquillità, ma non del tutto ancora.
Penso che ci voglia del tempo per superare certe follie, certe paure, ma con la presenza di mio fratello, mi sento più forte. O meglio, devo esserlo... come me, anche lui è stato pestato dalla vita in cui mio padre ci ha costretti. Lui più di me, ha sacrificato la sua stessa esistenza.
Mentre io potevo fingere di avere un'altra identità, lui è rimasto nell'ombra del suo nome, guardandomi le spalle da mostri inesistenti. 

Ora più che mai, devo essere forte. 

«E questa?» 

Mi distacco dai miei pensieri, vedendolo chiudere la porta con un piede, e avvicinarsi a me.

«Che c'è, mi taglieranno la luce?» 

«No, è... qualcos'altro.»

E' una busta rettangolare gialla, quella che posa sul ripiano sotto al mio sguardo. Nessun mittente, solo il mio indirizzo come destinatario. Ma quando sbircio attentamente, trovo una firma in basso a destra.

Vincent alza gli occhi nei miei accigliato, le sue sopracciglia si curvano verso l'interno.

«Vado a fare un giro. Chiamami per qualsiasi cosa.» 

Esce lasciandomi sola a contemplare la busta gialla. Ripulisco la mia bocca con un tovagliolo, prendo un sorso d'acqua e infine apro l'oggetto. 

Un foglio di carta, impregnato da una scrittura poco curata, ma leggibile, trasuda attimi di respiro spezzato. Ci sono delle parole più marcate delle altre, parole cancellate, e chissà quali pensieri assurdi. Il petto scalcia qualche battito, lo stomaco respinge le api che cercano di pungermi, di farsi sentire. E' passata una settimana da tutto quello che è successo, e non l'avevo visto più.
La domanda è: avrei voluto vederlo? E se sì, perché?


Cara Alison,

ti chiamo così, perché quando sono stato assunto da tuo padre per seguirti, questo era il tuo nome.
Seguendoti, mi sono imbattuto in Alicante; oh, e quanto era sbagliato per me avvicinarmi a lei.
Non perché eri figlia di chi mi aveva ingaggiato, o altre cazzate, no.
Era sbagliato perché ricordo perfettamente ancora la luce negli occhi, il sorriso del mio fratellastro mentre seduti su una duna, mi raccontava di questa ragazza sexy, "bella da vivere" , come ti aveva definito lui.
Ricordo perfettamente ogni benedetta parola con cui mi ha descritto l'aura maledettamente misteriosa e triste che sprigionavi, i capelli corti a mostrare un collo che ti spediva in un viaggio diretto all'inferno, senza possibilità di ritorno; la pelle che profumava di peccati voluti, di segreti ammassati e insabbiati da un viso chiaro al tocco, morbido al profumo, devoto al cuore.
Harry mi aveva detto di come questa ragazza senza identità, che si era impadronita del nome dell'intera città, gli aveva fregato il cervello, gli aveva aumentato la voglia di vivere, lo stimolava, lo attraeva... per la prima volta, vedevo mio fratello innamorato.
Ricordo di avergli risposto, "caspita, allora devo conoscere la mia futura cognata..."

Era il primo venerdì, dopo quella conversazione con Harry, e lui stesso mi diede appuntamento al club di Romero. Ma quando arrivai lì... Dio, cos'eri. 
Proibizione e bellezza cullante.
Stavi ballando sul palco, e sebbene attorno a te ci fossero almeno altre sei o sette, o otto ballerine, non riuscivo a staccare gli occhi da te.
Mi inebriavi la vista.
Stabilivi tu, cos'era giusto e cos'era sbagliato per la mia incoscienza.

𝘿𝙚𝙫𝙞𝙡'𝙨 𝙂𝙡𝙤𝙬 || hsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora