Il Passo degli Dei

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L'inverno stava arrivando ed era intenzionato a ricordarcelo con una costanza che sfiorava la devozione alla causa.

L'oscurità perenne del cielo, la forza sferrante del vento, la musicalità della pioggia che accompagnava ritmicamente tutte le nostre attività scolastiche.

Era impossibile ricordare il castello avvolto da un raggio di sole.

Sembrava fossero passati anni dall'ultima volta che quella palla di fuoco ci avesse degnati della sua presenza prima di voltarci le spalle abbandonandoci a un eterno grigiore.

Ma non era l'unica cosa ad aver voltato le spalle a qualcuno.

In qualche modo, anche io e Scorpius sembravamo averlo fatto.

Il nostro rapporto sospeso e confinato in un crepuscolo che non accennava a passare.

Non ci ignoravamo, ma nemmeno ci parlavamo. Né amici, né nemici.

Era come se avessimo esaurito tutto quello che avevamo a disposizione e adesso fossimo lì in attesa di un segno, di un qualcosa, di un disperato cambiamento che però non sembrava volersi palesare all'orizzonte. Nessuno di noi faceva nulla, continuavamo ad andare avanti con le nostre vite come se non fosse successo niente. Saremmo benissimo potuti tornare ad essere quelli che eravamo negli anni precedenti da un momento all'altro. E la cosa assurda era che tutta questa situazione sembrava andarmi bene. Più gli stavo lontano e più quella sensazione vuota e anestetizzante mi conquistava seducendomi con la promessa di non sentire la sua mancanza. Quindi continuavo a mettere più distanza tra noi, ma con un'unica differenza. Anzichè scivolare nella apatia e lasciare che riavesse di nuovo la meglio, questa volta volevo restare a tutti i costi vigile e presente. Mi piacevo. Mi piaceva la vita che stavo vivendo. Le amicizie e i rapporti che stavo costruendo.

Mi piaceva avere un tavolo di lavoro a cui appartenere. Mi piaceva avere qualcuno che mi tenesse il posto a lezione. Mi piaceva la sicurezza di avere un posto riservato a tavola, il calore di quelle chiacchiere e la giocosità di quei momenti che sapevano nutrirmi come cibo. Mi piaceva la famigliarità con cui ogni sera tornavo in quei dormitori che ormai avevano il sapore di casa.

Da quelle persone a cui sentivo di appartenere.

E dal modo in cui avevano saputo guarirmi facendomi sentire così sicuro, voluto, persino amato.

Ed era quel senso di sicurezza che mi trasmettevano a spingermi a voler essere partecipe di ogni momento, a rendermi impossibile lasciar perdere e tornare a non sentire nulla.

Ero così sicuro di me, di loro, da voler espandere quelle sensazioni positive e spingermi oltre, includere sempre più gente nella mia cerchia, riempire quel vuoto che l'assenza di Scorpius aveva lasciato.

Così quel pomeriggio, complice la pigrizia che la pioggia portava costringendoci a sonnecchiare al chiuso nel castello, decisi di raggiungere Lauren al club di scherma.

Dopo quell'esperienza esclusiva e totalizzante che ci aveva riuniti, morivo dalla voglia di parlare con lei, di chiederle come stava, di sapere se era pentita di essersi prestata all'Iniziazione o invece ne era felice; se ripensava a quella notte con la stessa incredulità con cui ogni tanto, sovrappensiero, si rivive un sogno vivido e indimenticabile, o se le sue notti erano ancora popolate da incubi di infiniti gradini, mani di morte sul collo e muri di fuoco.

Avremmo preso un the insieme e chiacchierato di tutto questo come due soldati reduci dalla stessa battaglia.

Grazie a Chad, sapevo che l'allenamento terminava alle 18, ora in cui rientrava sempre in sala comune stringendo sotto braccio la maschera da scherma con un espressione soddisfatta e distesa.

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