L'Arcano

349 8 21
                                    

Non so cosa mi aspettassi di diverso dopo quella notte.

Mi era sembrato che gli avesse fatto piacere la mia piccola e inaspettata confessione.

Eppure... allo stesso tempo, mi era apparso così... distante.

Come se l'avessi perso.

Era come se non riuscissi più a raggiungere lo Scorpius di quella prima notte al castello, quando era tornato dopo l'incidente.

Non era arrabbiato con me. Lo sapevo perchè continuava a salutarmi senza rancore.

Ma finiva lì.

Non mi parlava, in realtà sembrava non parlasse più con nessuno di noi.

Continuava ad apparire a lezione, ai pasti, ma spariva nell'intervallo di tempo tra l'uno e l'altro.

Era quasi come se non vivesse più al dormitorio.

Non lo incontravo più nemmeno per caso di notte tra un corridoio e l'altro, durante il turno da prefetto.

Anche se non ero io il motivo del suo strano comportamento da fantasma, non riuscivo a non sentirmi ferito. Perchè mi evitava? Perchè non mi parlava?

Quelle domande che assumevano i contorni di accuse pesanti erano i macigni che gli scaraventavo addosso a lezione, quando fissavo la sua schiena rigida o il suo profilo di marmo sbattendoci contro senza trovare risposta. A volte i suoi occhi sembravano incupirsi mentre il suo corpo era lì in aula eppure lui sembrava essere così distante da aver lasciato dietro solo una statua della sua fisionomia.

Ma forse ero io che mi lasciavo suggestionare dai miei pensieri. Forse ero io che cercavo un motivo per cui Scorpius Malfoy mi sembrava improvvisamente diventato un pezzo di ghiaccio. Forse stava bene ma semplicemente non gli importava più lasciarsi rovinare l'umore da me, dalle mie follie, dalle mie paranoie. Allora doveva dirmelo. Almeno questo me lo doveva.

Liberarmi dal peso di quella guerra silenziosa in cui mi aveva abbandonato a combattere.

Doveva dirmi di lasciarlo in pace e io l'avrei fatto. Dopo tutti quei mesi meritavo almeno la verità.

Il pannello dei sotterranei scivolò e mi ritrovai ad alzare lo sguardo ansioso per l'ennesima volta quella sera. Ma nella sala semi affollata di chiacchiere basse e frequenti risate, fu Victoria ad entrare. Sospirai.

Anche lei sembrò notarmi subito e venne dritta al piccolo tavolo da te a fondo sala dove ero appoggiato.

"Che bevi?"

Mi chiese fermandosi al mio fianco e osservando i nostri compagni che chiacchieravano scomposti sui divani e le poltrone tirate a lucido, mentre altri giocavano a carte o scacchi sui i vari tavoli che delineavo il perimetro. Ogni sorta di junk food passava tra uno studente e l'altro: dalle semplici patatine, alle lattine di burrobirra, al burro d'arachidi sui marshmallow cangianti di Mielandia. Mentre fuori diluviava e la pioggia bussava con insistenza alle finestre della sala, il fuoco nel camino animava quella scena caotica come un quadro dantesco.

"Cioccolata"

Le dissi salutandola con un sorriso.

"Tu?"

E accennai al bicchiere take away che stringeva tra le mani.

"Un infuso di biancospino, tiglio e anice. Mi aiuta a dormire meglio."

"Non riesci a dormire?"

Mi informai, muovendomi sul posto. Mi incurvai e mi poggiai con le braccia sul tavolo per fissarla.

"Beh, io dormirei anche, ma il mio cervello non è d'accordo. Hai presente una radio? Ecco. Proprio così. È come se di giorno riuscissi ad abbassare il volume ma di notte non avessi la possibilità di farlo. Perciò quel ronzio che soffoco continuamente, di notte è un urlo che non posso ignorare."

NeptuneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora