DANTEFamiglia.
Onore.
Dovere.
Clic.
Famiglia.
Onore.
Dovere.
Clic.
Continuo a ripetere mentalmente il mio mantra e a giocare distratto con lo Zippo. Un regalo al quale sono affezionato e che fa parte della mia collezione. Ne porto sempre uno dietro.
Clic.
Non è propriamente un tic nervoso il mio, ma il gesto mi aiuta a far scivolare via dalla testa la rabbia e il fastidio provato e generato dalla piccola e spietata ragazza, addormentata dal sonnifero che Faron le ha iniettato, in maniera talmente fulminea da sbalordirci tutti.
Adesso in questo abitacolo regna solo il silenzio, reso opprimente da quello che è accaduto nel corso di poche ore.
Non riesco ancora a capire se l'azione di mio fratello, svolta senza un ordine da parte del sottoscritto, mi abbia fatto indispettire o se questa mia reazione dipenda dal mio pessimo umore. Dalla mia mancanza di invettiva.
Non avevo pensato a questa alternativa, proprio perché non mi aspettavo che la ragazza avesse qualche asso nella manica da giocarsi.
Clic.
Distolgo l'attenzione da quel corpicino minuto, eppure incredibilmente femminile; dall'aroma singolare, delicato, confortante e afrodisiaco alla rosa che, di tanto in tanto, arriva alle mie narici come uno schiaffo, a ricordarmi che è il nemico; non una comune ragazza abbordata in un locale.
Questa consapevolezza, mi fa sprofondare ancora di più nell'inferno in cui so già che dovrò vivere ancora per molto tempo, ma che da adesso sarà pieno di insidie.
Niente pace. Solo tormento.
Digrigno i denti, il pollice scatta verso il coperchio dello Zippo d'argento con le mie iniziali incise al centro; lo richiudo in fretta, abbassandomi ulteriormente sul sedile per mettermi comodo.
Dovrei essere a casa, a godermi la mia serata in santa pace. Orgasmi, alcol e niente pensieri. Soprattutto: niente lavoro.
Era questo che mi ero prefissato, con la presunzione di riuscire a fare ogni singola cosa secondo i piani. Ma sta andando tutto al contrario da quando mi è stato ordinato di agire nell'interesse della famiglia.
I circuiti dentro la mia testa, attualmente, straripano di energia, viaggiano carichi di informazioni da una parte all'altra, collegando qualche filo della missione che stiamo portando avanti su ordine di mio padre. Il nostro primo compito è stato quello di rapire l'unica figlia femmina del nostro acerrimo nemico. Il viscido pezzo di merda che presto assaggerà la vendetta da parte dei Blackwell.
Non abbiamo intenzione di fare del male alla ragazza. Non quanto ne vorremmo fare a lui. Ma subirà comunque qualche punizione. Giusto per inviare un messaggio all'altra parte della barricata.
Finalmente ci fermiamo a poca distanza dalla pista di atterraggio dove ad attenderci vi è il nostro jet privato, pronto a riportarci nella nostra attuale dimora, con le sue spiagge, il clima caldo e il silenzio.
Terrence, con efficienza corre a scaricare i bagagli. Con altrettanta premura, solleva la ragazza facendo scivolare un braccio sotto le sue ginocchia e premendosela al petto, con attenzione per non farle male e con disinvoltura, come se non fosse uno che ha fatto di peggio nella vita, la porta sul jet, togliendomi la possibilità di fare il mio dovere. Ma gliene sono grato.
Meno sto vicino a lei e meno possibilità ho di far uscire quel lato perverso e animale che ho dentro. Quando è scappata e sono riuscito a prenderla, mi è servita tutta la forza di volontà che sono riuscito a trovare per limitarmi a darle un semplice morso. Cosa che non mi ha soddisfatto.
Faron e Joleen, senza dire niente, sono i primi a salire e a sparire nella loro cabina. Mio fratello ancora dolorante per la ginocchiata in mezzo alle palle, un po' incazzato e stanco, e Joleen intenta a massaggiare il collo, distratta dai pensieri.
Un po' li invidio. Almeno loro riusciranno a sfogare parte della frustrazione per la prima fase del piano andata in fumo. A nostra discolpa, oserei dire, non ci aspettavamo niente di simile. È stata una minuscola macchia su un piano perfetto.
Terrence toglie la giacca dello smoking e arrotola le maniche della camicia con una serie di smorfie. Prima di sedersi sulla poltrona accanto a me, fruga dentro la piccola dispensa della zona bar e dopo avere trovato quello che cerca mi passa una bottiglia disponendone altre due sul tavolo. Infine si mette comodo attendendo il decollo.
Appena posso, sgancio la cintura. Grato per il momento di tranquillità, stappo la bottiglia e bevo subito un lungo sorso. Non pensavo che tutto questo mi avrebbe messo addosso una così grande pressione simile alla sete di vendetta che sento.
«C'è qualcosa che ti preoccupa», sondo il campo.
«Tuo padre dovrebbe tenere alta la guardia. Per quanto sia sicuro di poter vincere, i Rose non sono gente comune. Ho visto come ragionano e cosa fanno a chi prova a pestargli i piedi. Hanno sempre dato dimostrazione della loro potenza e non sarà diverso per noi», poi indica la ragazza con il mento. «Si è battuta da sola e ha quasi vinto. Chissà che cos'altro è in grado di fare quello scricciolo».
Passo il palmo sul mento, sfiorando con il polpastrello l'angolo della bocca che mi ha colpito e il graffio che penso di avere sul naso. Se chiudo gli occhi posso ancora sentire le sue dita sulla pelle, il modo in cui si dimenava e respirava mentre la legavo poi...
«Me lo domando anch'io quello che potrebbe nascondere dietro quello sguardo da angelo. Ma è bastato poco a metterla al tappeto, quindi non mi preoccuperei più di tanto».
Sono curioso di vedere come reagirà quando arriveremo nella nostra attuale dimora. Impazzirà? Proverà a scappare o si spezzerà lentamente accettando il suo destino?
Ma queste domande le tengo per me.
«L'avevi già vista, vero?»
Distolgo lo sguardo concentrandomi sul liquido dentro la bottiglia e il tentativo di arginare la domanda che Terrence mi ha posto e al quale però non posso mentire. «Solo una volta», bevo, evitando di ripercorrere con la mente il mio passato.
«E come ci si sente?»
«È come essere condannati senza possibilità di difesa», ribatto, appoggiando la bottiglia vuota sul tavolo di fianco alla mia poltrona in pelle beige.
Apre la bocca, forse notando la mia espressione cambia idea. «Sono sfinito. È stata una lunga giornata. Vado a riposare». Terrence non osa chiedere altro. Sa quando è giunto il momento di tacere, ma aveva le domande sbagliate sulla punta della lingua. Impossibile non leggergliele in quelle iridi accese di curiosità. Con un cenno mi saluta e si sposta nella sua cabina.
È mio dovere fare l'intero turno di guardia.
Recupero il portatile e per tenermi sveglio leggo qualche e-mail arrivata mentre ero impegnato a non farmi notare alla villa dei Rose. Non è stato di certo un gioco da ragazzi nascondersi e trovare il momento giusto per agire. Quel bastardo negli ultimi mesi ha triplicato la sicurezza. Se non fosse stato per Terrence e le sue abilità nel mescolarsi tra i suoi uomini, non saremmo mai riusciti a entrare in quella fortezza che Rose chiama casa.
Quando Joleen ha notato il cambiamento, il fermento e le voci in circolo sulla fuga della ragazza dopo il taglio della torta, ci ha avvisati tempestivamente e abbiamo dovuto improvvisare per riuscire a catturarla.
Odio gli imprevisti. Ma succedono.
«NO!»
Mi giro di scatto alla mia destra, la mano quasi sull'impugnatura della lama che porto sempre dietro insieme alla pistola. Non c'è nessuno a parte noi due. Controllo l'ora e che abbia la bottiglietta d'acqua a disposizione. Al suo interno ho sciolto un tranquillante.
Non avrei dovuto farlo. Ma... anche se il viaggio non sarà poi così lungo, non voglio avere altre sorprese. Io più degli altri. In quanto mi aspetto una ramanzina da parte di mio padre. Verrà a sapere della sua fuga. So già cosa mi dirà quando vedrà i segni su quella pelle pallida, e il solo pensiero mi fa infuriare. Perché ai suoi occhi sarò sempre una delusione.
«No, no, non farlo... Darr... no!», mugugna rabbrividendo. «Non voglio... Ti prego non voglio...»
Non so perché la cosa mi abbia appena fatto irrigidire. Sollevandomi dalla poltrona, tolgo la giacca e avvicinandomi gliela adagio sopra come una coperta. Smette di tremare e dopo essersi dimenata un altro po', si rannicchia sotto il tessuto caldo tenendo stretto un lembo tra le dita.
Le mie, indugiano appena, si protendono e le scostano una ciocca dal viso sfiorandole la guancia umida.
Strofino il pollice e l'indice asciugando la lacrima appena raccolta e confuso torno subito al mio posto.
Per il resto dell'ora consecutiva, mi tengo in allerta e pronto a tutto.
Non succede niente di eclatante. Eppure i miei occhi, in maniera inevitabile, si spostano dallo schermo che ho davanti, posto sul tavolo insieme a un bicchiere pieno di ghiaccio e a una bottiglia, e continuano a vegliare sulla figura minuta in preda agli incubi.
C'è qualcosa in lei. Qualcosa che cerca di tenere ben nascosto. Prima l'ho intravisto quel guizzo. È stato come vedere dopo un flash improvviso, attraverso uno squarcio, brandelli della sua anima, ogni suo pensiero, ogni sensazione intensa mai esternata.
«Chi sei?», sussurro.
Non me ne rendo conto dei suoi occhi aperti. Non fino a quando non si muove debolmente portando una mano sulla tempia con una smorfia orribile appena accennata. La mia giacca le scivola in grembo. In seguito al movimento, la stoffa sottile dell'abito che porta addosso si sposta, mettendo in evidenza il seno rotondo e sodo con quella collana a oscillarle lungo lo sterno.
«Sono svenuta?», domanda con la voce un po' arrochita, come se niente le fosse successo solo poche ore prima e fosse la cosa più naturale del mondo da chiedere al suo rapitore dopo essersi risvegliata.
È strabiliante il modo in cui riesce a nascondere e a tenere a bada la paura. C'è. Non è difficile fiutarne il sentore o notarne i segni su ogni suo movimento calcolato.
Stappo un'altra bottiglia; consapevole di non potermi ubriacare. Di dovere restare vigile e di non potere in alcun modo familiarizzare con lei. Non senza un ordine.
«No. Sai bene cosa ti è successo. Non agitarti, stai buona o sarò costretto a legarti o a metterti al tappeto di nuovo».
Emette un verso simile a un gatto pronto a graffiare. «Sei sempre così stronzo?»
Riesce a ridestare qualcosa in me. Una parte sopita, come una bestia risvegliata dal sortilegio che la teneva legata all'oscurità e incapace di trattenere i suoi impulsi.
Picchietto l'indice sul collo della bottiglia. Fisso un punto davanti a me. «Solo con chi fa domande stupide».
«Posso andare in bagno o...», vaga con gli occhi rendendosi conto di trovarsi sopra un jet. Le sue pupille si dilatano, avvolge le braccia intorno al busto. «O vuoi accompagnarmi?», termina con un filo di voce, agitandosi sulla poltrona.
Dovrei negarle ogni cosa, ma c'è un'impercettibile vocina dentro di me che mi sussurra che farei meglio ad acconsentire o potrebbe rompermi le palle. Meglio provare un approccio meno rude con lei, mi dico indicandole una porta a pochi metri.
«Non chiudere a chiave».
Sgancia subito la cintura, con un cipiglio adagia la mia giacca sulla poltrona davanti alla sua e a passi malfermi si dirige verso il bagno.
«Siamo in volo, non fare cazzate», proseguo con le minacce velate e gli ordini, fermandola per porgerle un fazzoletto.
Esita. Fissa le mie dita, i tatuaggi che si intravedono dalla manica della camicia, poi le iniziali ricamate sul tessuto e ancora i miei occhi.
Il suo linguaggio del corpo grida: "Non avvicinarti, non toccarlo e soprattutto non cadere nella sua trappola". Ma sa già di essere stata catturata. Sa già di essere circondata e una preda. E forse sa già che le toccherà fidarsi di me.
Le faccio cenno di usarlo e lei con sospetto e timore avvicina la mano per prenderlo. Le nostre dita si sfiorano appena e sui miei polpastrelli rimane la sensazione di avere preso la scossa.
«Che cosa potrei fare, aprire il portellone e lanciarmi senza paracadute? Stendere il pilota e tornarmene a casa guidando un jet da sola?», ribatte a bassa voce, indirizzandosi verso il bagno.
Riesco a sentire le sue parole e a calcolare le sue possibili mosse, ma ho imparato fin troppo bene che non bisogna abbassare le difese. Lei è un concentrato di energia pronta a esplodere da un momento all'altro.
Odio il fatto di trovare affascinante ed eccitante proprio questo. Dovrei essere indifferente, impegnato a portare a compimento la missione per potere finalmente chiudere un lungo capitolo di una storia che non ha lieto fine. Invece da quando sono stato sfiorato, colpito e insultato, non riesco a ignorare la strana chimica che è scattata e che scoppietta facendomi formicolare la pelle. Smanio dalla voglia di un nuovo scontro.
«Ne saresti capace. Ecco perché ti sto avvisando».
Chiude la porta alle spalle e rimango in attesa di sentire lo scatto, come un soldato al fronte.
Quando esce, pochi minuti dopo, non ha più l'aria di una che ha fatto a botte per salvarsi da un rapimento, tantomeno di una alla quale è stato iniettato un sonnifero.
Ha rimesso in ordine i capelli. Intravedo una ciocca rosa sulla nuca. Un tocco di colore in mezzo al biondo cenere della sua chioma. Ha anche tolto le macchie di terra dal viso, il mascara sbavato sotto le palpebre e pulito il graffio sul mento. Tiene il mio fazzoletto stretto nella mano destra, tenuta abbassata sul fianco. Massaggia il collo con la sinistra. «Posso avere...»
Indico la bottiglia sull'altro tavolo. La apre, la annusa. Si blocca con le labbra a pochi centimetri dal bordo, ci ripensa e facendosi vicina me la porge. «Ne vuoi un sorso?»
Cazzo!
Inarco un sopracciglio indicando la mia bottiglia. Me la sottrae in pochi secondi e beve un generoso sorso leccandosi le labbra. «Bevilo tu un sedativo. Magari smetterai di avere la faccia di uno che non sembra cagare dal pranzo di Natale e ti rilasserai».
Stringo le labbra per non sorridere. «Siediti!», le ordino, assumendo un'espressione infastidita.
«Spero tu sia ben consapevole del fatto che all'inferno ti aspetta un girone fatto su misura per te», dice, scoccandomi un'occhiataccia.
«Direi che sarà spazioso. Sai, per contenere il mio ego, le mie qualità, i miei peccati».
Sbuffa, consapevole di essere stata battuta al suo stesso gioco. «Spero ti soffochino tutte quelle qualità», sussurra imbronciandosi.
La cosa, ancora una volta, mi fa ghignare di nascosto.
Porta con sé la mia bottiglia, allontana l'altra dal tavolo e accavalla le gambe slanciate e nude, con qualche minuscola cicatrice. Intravedo di sfuggita un tatuaggio sulla caviglia, il sangue rappreso e i graffi dovuti alla caduta dopo essersi lanciata fuori dall'auto in corsa. «Posso almeno sapere dove mi state portando?», beve un altro sorso.
«Lo scoprirai quando atterreremo», controllo l'ora. «Manca poco. Ti piacerà il posto».
«Ne dubito». Sospira e guardando fuori dal finestrino, smette di pormi domande e di farmi saltare ulteriormente i nervi con la sua irriverenza.
Non so che cosa mi sta succedendo. O meglio: c'è una parte di me che si rifiuta di accettare l'evidenza. Sono stanco. Ho un carico sulle spalle non indifferente. Spesso mi piacerebbe semplicemente buttarlo giù e lasciarlo a terra, oppure scagliarlo contro qualcosa o qualcuno. La verità è che non posso. Sono stato cresciuto in un certo modo. Sono uno scoglio in mezzo a un mare in burrasca.
«Qualcosa non va?»
Clic.
Evito di guardarla. Di inabissarmi in quel colore incontaminato. Perché i suoi occhi sono un pericoloso baratro verso il peccato. Capaci di imprigionarti e farti cadere alla sua mercé.
Clic.
Senza rendermene conto ho di nuovo in mano lo Zippo.
Merda!
«Sta' zitta!»
Sussulta. Le guance le si imporporano. «Ti ho solo chiesto se...», morde la lingua, scuote la testa e gonfia il petto. «Sei proprio un caso perso».
Non posso ammetterlo apertamente, ma questa situazione, seppur in minima parte, mi piace. Mi piace fiutare la sua agitazione, la forza che è in grado di scatenare con poche parole sputate fuori come veleno. Corrodono qualcosa dentro di me e, allo stesso tempo, mi infiammano facendomi sentire come se dovessi stare allerta. Azionano il mio istinto della caccia.
«Forse avrei dovuto tapparti la bocca».
«E io avrei dovuto correre più veloce. Ma non sempre si può ottenere quello che si vuole».
Guardo fuori dal finestrino e faccio scattare lo Zippo, ancora e ancora.
La sua presenza nella mia vita, da questo momento in poi, sarà come un tarlo, un sassolino dentro la scarpa, una macchia perenne, impossibile da potere ignorare.
Ma ho anni di esperienza alle spalle. So che cosa fare. So come agire. E so, che lei si pentirà amaramente di avermi sfidato.♥️
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Cruel - Come incisione sul cuore
ActionFamiglia. Onore. Dovere. Non esiste altro nella vita di Dante, figlio minore della potente stirpe Blackwell. Non c'è amore. Non c'è felicità. Solo macerie e il gelo a scorrergli nelle vene. Perché il passato tempra, insegna e spinge a calcolare...