Capitolo 15

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DANTE

I Santos si sono lasciati catturare. Se all'inizio avevo pensato che la loro fosse una trappola per celare il pericolo di un agguato a nostre spese, di fronte al piagnucolio generale, mi rendo conto di essermi sbagliato. Non si aspettavano l'arrivo e un attacco diretto da parte dei Blackwell, perché troppo impegnati alle prese con un grosso affare, a riorganizzare le truppe in seguito alla morte di un altro pezzo di merda.
«Ultima occasione per rispondere correttamente alla mia domanda. Avete o no qualcosa che appartiene ai Rose?», non specifico. Non c'è bisogno. So che l'uomo di fronte a me, inginocchiato, con la pistola puntata alla tempia, ha capito e sa più di quello che vuole fare credere dietro il copione dello straniero.
Tiene le mani sollevate in avanti, gli occhi dal colore lattiginoso sempre più sgranati da quando quasi tutti i suoi uomini dentro questo magazzino puzzolente hanno affrontato l'ira della mia squadra. Credevano di potersi difendere. Non è stato così.
«Tic, toc. Tic, toc...», ripeto cantilenando. «Hai bisogno di un altro incentivo o parli?»
Stringe i denti ingialliti, storti e insanguinati, sputando ai miei piedi. «Bastardo! Se pensi che questo farà desistere il signor Rose, sei fuori di testa. Lui ti farà a pezzi!», sbraita con un accento più marcato. «Mi hai capito? Lui saprà che sei tu il responsabile degli attacchi e ad avere quello che cerca. Ti farà fuori!»
«Conosce già il responsabile. Dimmi qualcosa che non so», fingo uno sbadiglio e premo il grilletto. «Anzi, iniziamo da qui. Spero tu sia pronto a zoppicare. Be', per il tempo che resta della tua miserabile vita appesa a un filo, mi sembra ovvio. E sempre che tu riesca a rimetterti in piedi».
La pallottola raggiunge la sua coscia, trapassando il tessuto mimetico dei pantaloni che indossa, lacerando la carne fino all'osso.
Il suo urlo rimbomba intorno e gli uomini ancora vivi, incapaci di aiutarlo perché tenuti sotto tiro dalla squadra dopo le percosse subite, urlano insieme a lui, sputando fuori molteplici insulti nella stessa lingua di Santos.
Mi avvicino e premo sulla ferita con il piede destro. «Ti fa male, vero?», ghigno, facendo fuoriuscire altro sangue prezioso, udendo l'ennesimo urlo. «Non vuoi ancora parlare? Preferisci soffrire? O vuoi chiamare il signor Rose e farti aiutare. Magari dirgli chi tiene in ostaggio sua figlia, dato che sa già chi sta per fotterlo negli affari. Non è quello che vorresti fare?», sparo di nuovo, stavolta colpisco l'altra gamba.
L'uomo urla ancora di più, cercando di fermare il sangue che sgorga copioso creando una pozza sul pavimento di cemento intorno a lui.
«Il tuo tempo sta per scadere. Non arriverai a vedere tuo figlio sposarsi, avere dei nipoti. Credi che questo abbia importanza per il tuo prezioso signor Rose adesso? Non sa un cazzo di niente e non sta proteggendo i propri affari nel modo giusto perché è disperato, proprio come te».
«Io...», ansima, trema. Il volto scurito dal senso di impotenza. Dopo avere riflettuto, sputa fuori: «Lui... ti farà a pezzi quando saprà quello che stai facendo!», ripete ancora una volta come un disco rotto.
Nigel si sposta alle mie spalle. «Stiamo proprio aspettando una sua mossa», afferma, smanioso di uscire da qui dentro. Lo seguo appena, concentrato come sono a tirare dalla bocca di questo infame informazioni utili.
Gratto la tempia con la pistola dopo avere giocato con lo Zippo. «Che cosa sto facendo esattamente?», mi fingo confuso, guardandomi intorno.
Il magazzino, all'esterno è un rottame abbandonato, ma al suo interno è ben organizzato, da quello che ho avuto modo di vedere. L'aria stantia rischia però di dare alla testa.
Santos sputa ancora ai miei piedi. Ha coraggio, glielo concedo. «Ti squarterà come un agnello sacrificale, piccolo bastardo Blackwell! Lui manderà il suo futuro genero, che per inciso è più bestia di te, e sarai finito. Poi penserà a lei e al resto», sorride. «Oh, se penserà a lei», ridacchia con un colpetto di tosse che fa sgorgare gocce di sangue sulle sue labbra intaccate dai pugni, dai segni del tempo. «Quello non vede l'ora di riprendersela la sua principessa. L'unico che abbia mai avuto le palle di sostenere lo sguardo del padre», mi stuzzica. «L'unico che si infilerà in quelle gambe da ballerina quando...»
Sorrido anch'io, celando la fitta di rabbia e gelosia che mi ha appena colpito. «Che peccato», prendo la mira e lui si agita, smettendo di parlare.
«Cazzo!», ringhia, sbiancando di colpo. «Fermati. Te lo dirò, okay? Ti dirò dove sono quei magazzini. Ma ti prego, risparmiami la vita. Non voglio morire così», piagnucola. «Me ne starò zitto».
Attendo impassibile, mentre lui deglutisce, guarda gli uomini rimasti del suo clan come se si stesse accordando con ognuno di loro. Scommetto però che la sua attenzione è mirata al suo braccio destro; il tipo smilzo dall'aria annebbiata che ha tentato di spararci non appena abbiamo fatto irruzione.
Se hanno in mente di farci saltare in aria, troppo tardi. Sappiamo già dove si trovano i loro stupidi ordigni. Mi sono occupato personalmente di ognuno di essi. È stato un gioco da ragazzi entrare qui di nascosto i giorni scorsi, sondare il campo per agire senza complicazioni.
«Se è una bugia invierò le tue palle a tua moglie e con quello che resterà di te farò uno stufato per il tuo "signor" Rose. Penso che apprezzerà i resti del suo cane randagio e poco utile e le parole registrate su sua figlia».
Scuote la testa. «Tanto sono già morto. Meglio farvi ammazzare tra di voi, cani rabbiosi. L'indirizzo, si trova nel nostro libro contabile», afferma balbettando.
I suoi uomini provano a reagire, a fargli cambiare idea e morire portando nella tomba ogni segreto, ma vengono messi al tappeto. In breve intorno risuona il rombo dei proiettili che esplodono e si conficcano nella carne. Altre urla, poi silenzio.
«Risposta sbagliata. Hai provato a fottermi una volta e adesso io fottero te e tutta la tua famiglia», premo l'arma sulla sua fronte. «Sei morto», sibilo.
«Ho detto la verità. Manda uno dei tuoi a controllare».
Già fatto e quei libri contabili non sono serviti a niente perché hanno un codice.
«Vedi, a volte mi stupisce che proprio certe persone non ricordino mai il mio talento nel fiutare le bugie e la mia propensione alle punizioni. Se non erro tuo cugino ne sa qualcosa. Riesce ancora a parlare correttamente?»
«Ti dirò come leggere quei libri», sputa fuori atterrito.
Adesso si ragiona. Ma non è sufficiente. Ho bisogno di suo figlio, per incentivarlo a darmi la chiave di lettura, prima di toglierlo di mezzo. In un modo o in un altro otterrò quello che mi serve. Non porterà all'inferno l'informazione di cui ho bisogno.
Con un cenno, alle mie spalle, Faron trascina il corpo pesante e svenuto del figlio appena maggiorenne, facendolo stramazzare a terra come un sacco.
Di fronte al corpo inerme, pieno di lividi, Santos, urla: «Mio figlio, NO! No, no, no!», oscilla piangendo disperato. Vorrebbe raggiungerlo ma non può. «Che cosa gli avete fatto?»
«È solo svenuto. Per fare un complimento al tuo ragazzo, si è difeso bene. Adesso dimmi ciò che mi serve e non gli sparerò in fronte. Potrà vivere dalla parte giusta della barricata», per fargli capire che sono serio, mi avvicino al ragazzo e gli punto la pistola.
Ho un ultimo tentativo a mia disposizione e pochi minuti sulla tabella di marcia.
«Al tuo signor Rose non interessa niente di lui o lo avrebbe già preso sotto la sua ala. Lo sai meglio di me come funziona. Adesso decidi».
L'uomo chiede ancora pietà e dopo avere fissato il figlio, abbassa la testa in segno di resa. «Voglio la tua parola che starà bene. Che nessuno lo torturerà e che avrà una vita vera, lontana da tutta questa merda».
Annuisco.
«E che gli dirai che gli ho voluto bene. Lo stesso farai con mia moglie. Voglio che sappia che ho amato solo lei perché è stata la mia stella rara», continua fissando il figlio con occhi arrossati. Dopo un momento si ricompone, accetta il suo destino a testa dritta, pur sapendo di stare per morire da infame. «In ufficio, c'è un'altra cartella. Si trova dentro la cassaforte dietro il cassettone. Lì dentro troverete tutto. Il codice è nascosto nell'ultimo cassetto dello stes...»
Non mi occorre nient'altro. Sparo senza esitazione e l'uomo si accascia al suolo. «Portate con voi il ragazzo», ordino a Faron senza tante cerimonie. «Nostro padre vuole parlare con lui. Cercate la moglie e fate lo stesso, riportate il suo messaggio e assicuratevi che stiano fuori dal giro».
A poca distanza, noto un volto familiare in avvicinamento e che avrei preferito non rivedere così presto. Coleman entra nel magazzino, fa un fischio e tappa il naso e la bocca con un braccio. «Cristo!», impreca disgustato alla vista del sangue, dell'uomo accasciato al suolo e dei pezzi di materia grigia sul pavimento.
«Ripulite tutto», ordino, ignorandolo.
«E di loro, che ne facciamo?», chiede Nigel indicando gli uomini ancora vivi, feriti e privi di sensi. «Quello che facciamo ai traditori proprio come il loro capo».
«Certe cose non cambiano mai, vero?»
Mi fermo sulla soglia, sto abbassando la pistola.
«Sei proprio un cazzo di animale».
Sparo prima ancora che lui possa concludere la frase.
Coleman fissa incredulo il proiettile conficcato ai suoi piedi. «Il prossimo te lo sparo in bocca se non la chiudi e fai quello che ti ho appena ordinato di fare. Non sei tu il capo e non hai ancora riottenuto il tuo diritto di esprimere un'opinione. Tantomeno di parlarmi, stronzo».
Intorno è calato un silenzio tombale. Nessuno si intromette. Non quando ho un'arma in mano e sto dando una lezione al coglione che ancora una volta l'ha fatta franca grazie al suo grado di parentela e a mio padre.
«Fottuto bastardo», sibila.
Il secondo sparo lo fa urlare come un coniglio, sfiorandogli appena l'orecchio. «Disse lo stupratore».
Coleman tocca la parte sanguinante. Digrigna i denti. «Io ti ammazzo!», urla avvicinandosi, pronto ad attaccarmi. Tira fuori la pistola.
Faron si frappone immediatamente disarmandolo con un gesto fulmineo. «Te la sei cercata, Cole. Adesso basta. Vatti a medicare quella ferita e torna a fare il tuo cazzo di lavoro. E non sollevare mai più una pistola contro di noi, intesi? Se Dante avesse voluto saresti già stecchito e nessuno si sarebbe lamentato».
«Continua pure a difenderlo. Ho ancora un conto in sospeso con lui e con la puttana che nasconde in casa. Se crede che me ne sia dimenticato, si sbaglia di grosso. Otterrò quello che voglio con o senza il suo benestare. Poi magari la rispedirò a casa, da Darrell».
Stringo i denti così forte da percepire immediato un dolore attraversarmi la mascella come un pugno ben calibrato. «E tu che ne sai di lui, uhm?»
Nigel, rientrato in magazzino, mi posa una mano sul braccio, facendo pressione. «Abbiamo trovato qualcosa», mente per distrarmi e gliene sono grato, perché allo stato attuale potrei fare fuori mio cugino con l'ultimo proiettile rimasto in canna.
Prima di seguirlo, fisso Coleman. «Hai firmato la tua condanna, lo sai vero?»
Impallidisce accorgendosi di avere superato il limite con le parole, ma non si piega, non sfodera la paura. «Sono qui», mi sorride, incerto. «Quando vuoi, bastardo».
Gli faccio l'occhiolino dandogli uno schiaffetto sul viso quando gli passo vicino, facendolo sussultare, e con sguardo severo esco dal magazzino.
A debita distanza, mi abbasso sulle ginocchia e a capo chino sospiro fissando il paesaggio irto di fronte a me.
Che cazzo sto facendo?
La mano di Nigel, ancora una volta, mi riporta al presente. «Hai fatto quello che dovevi lì dentro», risponde alla mia domanda inespressa. «Tuo padre non avrebbe accettato che rimanessero vivi. Sarà soddisfatto, meno per avere sparato a tuo cugino».
«Torniamo a casa», lo incito, abbracciandolo brevemente quando si fa avanti.
«Stai bene?», soppesa il mio sguardo, preoccupato.
Annuisco. Non replico a voce,
per non fare notare quanto in realtà io stia tremando dentro e stia male.

Cruel - Come incisione sul cuore Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora