Capitolo 7

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DANTE

Per uno come me, non esiste cura. Tutto ciò che tocco, appassisce. Se punto lo sguardo su qualcosa, diventa una condanna.
Mi sono sempre sentito come uno di quei veleni senza antidoto. Incapace di non essere fatale.
Sin da bambino mi hanno insegnato a spaventare, a farlo con pazienza e in silenzio; come un serpente in attesa dello scatto fatale tra attimo e vittima.
In questo istante, non vorrei essere chi sono. Non mi so comportare amichevolmente. Non riesco a farlo con lei. Riesco soltanto ad attaccarla con lo sguardo e a divorarne rabbioso ogni singolo istante. Perché in qualche modo è come se ne avessi bisogno. Come se dovessi nutrire l'animale che ho dentro per tenerlo a bada.
Ma questo è un grosso rischio. Perché, centimetro dopo centimetro, con dei semplici gesti e delle parole, Eden Rose, con la sua bellezza insidiosa, è come la spina di una roseto aggrovigliato, se non fai attenzione ti si incastra crudelmente negli occhi fino a lacerarti la carne.
È stata in grado di affogarmi sotto uno strato gelido di confusione. Non so più se sono carnefice o vittima. So solo che per nessuno dei due esiste via d'uscita senza procurarsi dei graffi. Ma una cosa posso farla: tenermi alla larga da lei, quel tanto che basta da non essere visto come un amico o un animale da addomesticare.
È quasi il tramonto quando mi lascio alle spalle la porta principale del locale e avanzo lungo il corridoio disseminato da luci al neon, quadri con foto di vecchi artisti e un tappeto rosso, fino a raggiungere il secondo ritrovo in cui è in corso una riunione di famiglia.
Varcata la soglia in modo silenzioso, i membri presenti, come sfiorati da una corrente fredda che li afferra e li percuote, si voltano nella mia direzione irrigidendosi.
Lancio loro un'occhiata sospetta, seppur breve e incalore. Solo alcuni tra i presenti considero come dei fratelli. Per la parte restante, vorrei che si aprisse un cratere e venissero risucchiati dall'inferno.
Mio padre e mio zio si stanno già allontanando dal resto del gruppo; presi dalla loro conversazione probabilmente su armi, strategie e nuovi attacchi dai nemici. Noto però l'occhiata affilata che mi rivolge il primo, per essermi perso uno dei suoi tanti discorsi sulla fedeltà e sui suoi piani per conquistare il mondo. Mi domando cos'altro abbia escogitato alle mie spalle o alle spalle della nostra famiglia.
Io e lui, abbiamo sempre avuto una visione del mondo totalmente diversa. Pur avendo il suo sangue a scorrermi nelle vene, molte delle sue scelte non le ho accettate. Neanche quelle imposte. Non l'ho fatto per ribellione, più per principio.
«Scaricata la furia?», domanda subito Terrence.
Trent'anni, sguardo da cucciolo, occhi scuri come la pece, capelli rasati di recente. Non bisogna lasciarsi abbindolare dal suo aspetto, perché è un abile e infallibile cecchino, nonché importante risorsa informatica per la squadra; quando non è impegnato a fingersi una comune guardia del corpo del nemico, ovviamente.
Terrence è l'infiltrato perfetto per raccogliere i dati che ci servono. Quando le sue dita navigano sulle tastiere, nessuno riesce a superarlo o a fermarlo. Molte delle cose che so fare, è stato lui a insegnarmele. Questo perché tra i presenti solo io ho sempre corso il rischio di potermi sporcare la fedina penale. Ma l'ho fatto anche in caso di necessità, e perché in fondo non mi fido di nessuno al cento per cento.
«L'avrà smaltita scopando di nuovo con la futura moglie di un nostro compagno, no?»
Nigel Bane, trentacinquenne, maniacale e fonte inesauribile di informazioni. Un maestro nello spionaggio. Un verginello fedele fino al midollo alla storica fidanzatina delle elementari, Andrea, conosciuta in una chiesa quando faceva il chierichetto su imposizione della nonna bacchettona. Alto abbastanza da doversi abbassare ovunque vada, capelli corvini, occhiali dalla montatura spessa da nerd; sarebbe in grado di vivere per giorni in un angolo senza muoversi, emettere un solo rumore o mangiare.
Mi lascio cadere sulla poltrona distendendo le gambe sotto il lungo tavolo sul quale sono disposti schermi, tastiere, blocchi di appunti, armi. Massaggio la radice del naso, passo poi a stropicciare l'occhio. «Non ho dormito e sono altamente irritabile. Ti consiglio di smettere», lo avviso. «E per la cronaca, anche se non è di tuo interesse la mia vita sessuale e privata: è vero, sono andato a letto con Trisha, purtroppo me lo ha fatto ammosciare così tanto da cacciarla una volta e per tutte da casa mia. Quindi sono passate ore da quando sono sprofondato in una fica. Un record».
I due seduti davanti a me si lanciano un'occhiata d'intesa; carichi di domande che aleggiano nell'aria senza mai essere esposte.
«Scommetto che si sarà stancata del ghiacciolo che hai attaccato tra le gambe al posto del cazzo e sarà andata verso isole calde. O sarà tornata dal suo fidanzato», interviene Coleman, con voce carica di astio e quel perenne sorrisetto che vorrei tanto poter distruggere, magari con un solo pugno ben calibrato.
Purtroppo per me e per fortuna per lui, siamo parenti. Lui è mio cugino. Figlio di mio zio Parsival. E io... be', lo odio.
Coleman, potrebbe essere definito l'uomo perfetto; il pretendente che ogni madre vorrebbe per la propria figlia.
Sempre impeccabile e... un vero verme spietato. Dall'alto del suo metro e ottanta, non nasconde mai quello che pensa, data la sua intelligenza mediocre. Crede di essere migliore di tutti noi. In realtà, è solo un figlio di puttana, letteralmente, circondato dai due idioti che il padre ha assunto per la sua incolumità, pur non avendone bisogno, soprannominati: "Chip e Chop", da tutta la squadra.
Gli abiti ricercati, il corpo che cura con ore intense di palestra e cibi salutari; tutto pur di apparire e di non passare inosservato.  Coleman realmente è un egocentrico narcisista. Un sociopatico a pieno titolo e un codardo.
È stata una fortuna che non fosse al club quando mio padre ha dato una piccola dimostrazione della propria autorità a Eden. Coleman non si sarebbe fermato a una palpatina e io non so come avrei reagito di fronte a una sua azione vile. Un conto è dovere sovrastare Parsival, suo padre, uno è non rischiare di ammazzare lui.
«Stanotte hai fatto un giro su una scopa, vedo», ribatto, non nascondendo l'odio che provo nei suoi confronti.
Riempie un bicchiere di Bourbon dopo avere emesso un verso di scherno, pur incassando la frecciatina senza replicare.
«Su sua madre, dici? Sarà tornata in città proprio per quello».
A intervenire, Hanne McRere. Piccola, determinata, autoritaria; una vera maga nel rimetterci tutti quanti in riga. È la mamma chioccia del gruppo; per me una zia, dato che ha una forte amicizia con i nostri genitori. È anche la proprietaria di molti dei club che ospitano i nostri ritrovi e tanti altri sparsi per il mondo.
Nessuno osa mai contraddirla. Si ricorda di sfamarci, di aiutarci quando ogni cosa rischia di crollare e ha una rete di conoscenze invidiabile, nonché utile.
Mi unisco all'orda di risate.
«Stronzi». Coleman si incupisce, picchia il bicchiere sul tavolo e si dirige verso la sala principale seguito dai due amici che gli guardano le spalle.
«Dovresti smettere di stuzzicarlo, Dante, anche quando è lui quello a iniziare», mi consiglia con gentilezza e la voce di una fumatrice incallita, Hanne. «È tuo cugino. In più devo ricordarti che ha qualche rotella fuori posto».
«E perdermi la sua espressione ogni volta che lo asfalti? Nahhh!», sorrido, pur essendo d'accordo con lei. «Correrò il rischio».
Sorride di rimando mollandomi una gomitata, gongolando per il complimento velato. Appena prende posto sulla poltrona di fianco però, comprendo che faremo una delle nostre brevi chiacchierate. Che cosa ha saputo?
«Faron», mi anticipa come se avesse letto i miei dubbi dalla mia espressione. «Mi ha detto quello che è successo durante la missione e successivamente al club».
Fisso di sbieco Terrence. Un vero pettegolo. Infatti, con una scusa, si dilegua nell'immediato seguendo a ruota Nigel.
«Grazie tante!», ringhio.
«Allora?», mi incalza Hanne. Non molla mai l'osso. Il che a volte può essere frustrante.
«Allora cosa? Sono andato in escandescenza quando Faron ha abusato del suo potere e ha iniziato a comportarsi come nostro padre. Chiunque si sarebbe sentito tradito da un simile atteggiamento, specie dopo avere lavorato insieme a ogni singolo passo e avere avuto una sorpresa sul più bello. Per quanto riguarda il club, non so che dire. Lei era lì e... quel viscido pezzo di merda di Parsival pensava di poterle mettere le mani addosso solo perché mio padre voleva darle il benvenuto con la sua tipica lezione di fine serata. È andato contro le regole. Mi ha sfidato, non solo con le battute, e ho dovuto rimetterlo al suo posto».
La donna seduta accanto mi ascolta attentamente. Mi lascia finire senza mai interrompermi. Non appena è sicura, adagiando la sua mano curata sul mio avambraccio, dice: «Cerca di placare il tuo forte orgoglio, figliolo, e vedi di chiarire con tuo fratello. Non mi piace quando discutete. Sembrate due amanti che si sono fatti la stessa persona. Per quanto riguarda la ragazza, hai fatto quello che dovevi. L'hai protetta perché è tuo dovere e tuo compito farlo. Non pentirti».
Non dissento. La conosco così bene da sapere quando bisogna tacere.
Si alza, strizza la mia spalla e si allontana in sala, dove le tocca organizzare serate per i figli di arricchiti e nobili mentre nasconde tutto il resto come polvere sotto il tappeto.
La seguo e qui trovo tutti seduti comodi sui divani in pelle, sigari alle labbra e Faron al centro. So che ha già mandato alcuni uomini a infiltrarsi a villa Rose per ottenere ulteriori informazioni sui loro movimenti. Mi domando come mai Terrence sia rimasto.
Coleman mi lancia uno sguardo carico d'odio. Ricambio con gli interessi e, come succede sempre con gran parte della gente, si volta dall'altra parte turbato.
Nessuno riesce mai a sostenerlo per più di qualche secondo. Neanche Faron.
Una volta uno degli uomini di mio padre mi ha liquidato dicendomi che i miei occhi potrebbero risucchiare via l'anima di chi mi guarda e che avrei fatto meglio a indossare occhiali da sole a vita.
Mi piace definirmi un attento osservatore. Così tanto da riuscire ad anticipare qualsiasi mossa, da capire quello che stanno pensando o stanno per fare le persone. Eccetto una... suggerisce la voce dentro la mia testa, dando l'ennesima martellata al mio orgoglio.
«Come stavo dicendo, abbiamo con noi una persona preziosa per i Rose e le carte in tavola sono cambiate. Dobbiamo prenderci cura di lei se vogliamo ottenere qualcosa, soprattutto fare attenzione alle prossime mosse», dice scrutandoci uno a uno, soffermandosi su di me. «Sentite, sono stati anni difficili. Mesi e mesi di duro lavoro ci hanno condotti in questo posto dove sono certo che riusciremo a far partire al meglio il piano che ci consegnerà direttamente la testa di quel bastardo. Ma... dopo avere raso al suolo tutto ciò che è suo e dopo averlo fatto con razionalità».
In sala si levano espressioni comuni, tipiche di chi sostiene nostro padre. Qualcuno mi guarda di sbieco, in attesa di una mia reazione. Sanno che la lotta al trono è in corso, ma nessuno è tanto stupido da parlarne in nostra presenza.
Faron è quello razionale tra i due. Io sono il cattivo, la testa calda. Sono quello che agisce senza troppe cerimonie, perché non ho niente da perdere. Per tutti non sarei il candidato migliore, infatti sostengono mio fratello, ma non lo diranno mai a voce alta. Non ne hanno le palle.
«Bene, sapete tutti cosa fare. Mettetevi al lavoro!»
La sala si svuota tra borbottii e rumori di passi. Nessuno si lamenta dei nuovi turni o delle regole.
«Noi ci vediamo tra poco alla festa di compleanno di Nigel. Ci meritiamo una serata libera», afferma indicando proprio Nigel, parlando con Terrence e Hanne.
Quest'ultima mi fa cenno di chiarire con lui.
Quando rimaniamo soli, ci sediamo restando persi per un po' di tempo ognuno nei propri pensieri.
Il silenzio può affievolire e trasformarsi in rumore assordante quando qualcosa ti turba. Ma ci sono istanti in cui diventa talmente opprimente da schiacciarti il petto.
Scarico la tensione pescando lo Zippo. Faccio scattare un paio di volte il coperchio.
Faron inarca un sopracciglio. «Nostro padre non era sicuro che avresti partecipato, sa che non approvi e che vorresti fare a modo tuo», afferma stemperando la tensione. Non c'è nessun secondo fine nelle sue parole, nessuna traccia di inganno o incitamento nel suo tono. «Stamane ha visto Eden. Hanno fatto una breve chiacchierata».
«Te la cavi benissimo anche da solo», replico con sarcasmo, ignorando il fatto che ho assistito all'incontro direttamente dalla finestra della mia stanza.
Non avevo mai visto mio padre tanto in difficoltà e sul punto di esplodere. Mi sono assicurato che lei non incorresse in qualche altra punizione con l'unico scopo di essere umiliata. Il che non è avvenuto perché l'ha liquidata e lei è rientrata in casa per poi appropriarsi dello studio.
Faron odia quando uso il sarcasmo. Infatti non mi delude la rapidità con cui i suoi occhi castani mi rivolgono un altro dei suoi rimproveri. «Ti sbagli. Ho bisogno di te».
«L'ultima volta hai agito da solo piantando un ago nel collo della nostra graziosa ospite, non hai di certo chiesto il mio aiuto. Che cosa ti serve adesso? Dove vuoi mandarmi a fare il lavoro sporco mentre puoi pavoneggiarti davanti a tutti di essere il grandioso erede dei Blackwell?»
Incassa il colpo. Storce le labbra, butta giù il liquido nel suo bicchiere e sollevandosi mi si piazza davanti come farebbe nostro padre. «Dante, smettila di usare questo atteggiamento da bullo. Non ti porterà da nessuna parte».
«Mi stai offendendo in maniera gratuita, fratello. Non ho nessuna intenzione di starmene qui a farmi insultare o a replicare abbassandomi al tuo livello, solo perché sei convinto di avere fatto la cosa giusta», mi avvio verso l'uscita. Ho bisogno di una sigaretta. «Sei stato tu quello a tramare alle spalle. Io ho solo cercato di fare le cose bene, per compiacervi. Proprio come faccio sempre, senza mai ricevere un grazie».
Non ascolto la sua risposta, ignoro la fitta che mi trapassa e uscito dal locale, mi accendo una sigaretta e insieme ai miei amici, mi dirigo al "Regency club".
Un luogo affollato, pieno di spogliarelliste, alcolizzati e rissosi. L'ideale per quelli come noi.
Sono ormai passate le nove di sera, ma già il locale è pieno di avventori; quasi tutti in attesa del proprio drink o di abbordare qualcuno per una scopata veloce in una delle salette private o nel bagno.
Nigel, entra mano nella mano con Andrea. Fa subito portare al nostro tavolo riservato un vassoio pieno di bottiglie.
Siamo al nostro secondo giro di bevute quando Faron raggiunge il locale. Molte donne gli rivolgono i loro sguardi ammiccanti.
Trentenne, capelli biondi, alto sul metro e ottantacinque, è un po' il fratello maggiore di tutti. Abile in qualsiasi cosa. Ma soprattutto ha una pazienza invidiabile. È un negoziatore nato, uno stratega come pochi.
Mi fa cenno con la testa e ricambio prima di voltarmi e godermi la serata libera.

Cruel - Come incisione sul cuore Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora