Capitolo 14

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EDEN

Sto continuando a chiedermi se l'inferno in fondo non sia un posto accogliente per un'anima macchiata come la mia. A ogni respiro, rischio di essere marchiata per l'eternità da un peccato che non sarò in grado di espiare.
«Eden, sei qui con noi? Ci ascolti?»
Giro di scatto la testa verso Joleen e Faron, entrambi appoggiati al bordo del bancone della cucina, impegnati a scaldarsi la cena che ho preparato e poi lasciato intatta dentro la teglia e in vari contenitori. Mi sono persino assicurata che Joleen non bruciasse niente, attaccando sulla stagnola e il coperchio di ogni portata dei post-it con le istruzioni su quanto, dove e come riscaldare. Inutile descrivere la risata di Faron che ha fatto riprendere colore alle mie guance, seppur brevemente.
Mi rendo conto che sto tenendo saldamente una forchetta. La sola vista del cibo mi fa strizzare lo stomaco e la nausea prende il sopravvento, facendomi sentire in alto mare. Non sono riuscita a mandar giù niente dopo l'incontro avuto in sauna. Come avrei potuto pensare ad altro quando non faccio che ripetermi quelle parole e rivivere quei momenti per riuscire a cogliere altri dettagli che mi sono sfuggiti.
«Sì?», la mia risposta risulta più una domanda.
Joleen coglie il cambiamento dalla mia postura e decide silenziosamente di rimandare la conversazione a quattrocchi per dopo. So che mi darà il tormento fino a quando non avrò confessato. Non è passato inosservato lo scontro al locale, tantomeno il clima che si respira ogni singola volta in cui io e lui ci ritroviamo nella stessa stanza.
Faron, dopo avere bevuto un sorso di vino, mi punta addosso quei suoi occhi profondi e insondabili. Non è sempre bravo a trincerare i suoi pensieri, specie se si tratta del fratello o di qualcosa che riguarda in linea diretta la sua famiglia. «Terrence ci ha riferito che hai chiesto di poter parlare con mio padre. Vuoi contattare tuo fratello e farlo mediare per te e la tua famiglia. Ci ha anche detto che hai richiesto altri uomini a tenerti d'occhio al posto nostro. Ti anticipo che non è possibile. Sei sotto la nostra tutela, non possiamo lasciarti sola o affidarti a qualcun altro che non sia della famiglia».
Scivolo dallo sgabello, in parte delusa e piena di domande in merito. Mi piacerebbe avere maggiori spiegazioni anziché accontentarmi dei no come risposta.
«Per quanto riguarda Ace? Avrò la possibilità di parlare almeno con lui?», domando speranzosa.
Sentire mio fratello mi farebbe stare meglio. Ritroverei la forza necessaria a resistere mentre ogni singolo muro intorno a me sta crollando. Lui mi direbbe cosa fare per uscirne.
Faron nega di nuovo. «Il nostro piano non prevede mediazioni di alcun tipo. Mi dispiace», ripete, distogliendo lo sguardo per non fare notare qualcos'altro. Un'ombra ha oscurato il suo volto. Anche se si è nascosto, l'ho vista. Ho visto la tristezza invadere i suoi occhi e il dolore farsi evidente.
Che cosa è successo? Perché odiano così tanto la mia famiglia? Che ha fatto mio padre?
«Eden...», prova a intervenire Joleen.
«Sono un po' stanca. Vado a dormire», dico giù di tono, consapevole che sia ancora presto per andare a letto, e che quasi sicuramente passerò un'altra notte insonne a rigirarmi tra le lenzuola o a fare avanti e indietro da una parte all'altra della stanza, come un leone in gabbia. «Vi lascio soli. Godetevi la cena», mi dirigo verso il corridoio, troncando sul nascere qualsiasi discorso.
«Un momento».
Il mio cuore rischia di fermarsi. Rimango di spalle, in attesa del colpo di grazia.
«Hai visto Dante?»
Mi irrigidisco e la mia reazione non passa inosservata agli occhi attenti dei due. È bastato un nome a farmi rizzare i peli sulla nuca. «No».
«Dato che stai andando di sopra, se lo vedi, puoi farmi il favore di dirgli che ho bisogno di lui qui? Devo parlargli e non mi risponde al telefono».
«Certo», nascondo l'irritazione. Non avrei mai immaginato di fare niente di simile e tanto pericoloso per la mia anima. Ma Faron non sa niente di quello che c'è stato poche ore prima e io non voglio in alcun modo fare drammi o creare altre situazioni spiacevoli. Non voglio perdere quel poco di libertà che mi è rimasta.
«Ma che le succede?»
«Non lo so. Le parlerò dopo», bisbiglia Joleen. «Non mi è piaciuta la sua espressione abbattuta. Preferisco quando minaccia velatamente di avvelenarci con il cibo».
Decido di non ascoltare oltre i loro discorsi e salgo di sopra. Cammino lungo il corridoio del terzo piano un po' distratta, solo per fermarmi quando dallo spiraglio sotto una delle porte noto la luce accesa. Mi fermo, spostando il peso da un piede all'altro, con la mano protesa verso la maniglia della porta, consapevole di andare contro i miei principi. Non era così che avrei voluto concludere questa patetica serata. Ma farò quello che devo e poi me ne andrò nella mia stanza. «Sarà rapido e indolore. Un po' come strappare un cerotto, Eden», incoraggio me stessa.
Non ci provo nemmeno ad anticiparmi bussando. Tiro giù la maniglia dando una lieve spinta alla porta. «Dante, sei qui?».
Non ricevendo nessuna risposta, insicura, faccio un passo avanti trovandomi al centro dell'ampio salottino avvolto dalla luce di una lampada e dal chiarore della luna che filtra da una finestra alta fino al tetto; uno spazio con un enorme tappeto a coprire il pavimento in legno. Non mi occorre vagare con lo sguardo per accorgermi di essere dentro uno studio. I miei occhi si ancorano subito a lui, stravaccato sul divano in pelle grigio fumo a L.
La camicia button down bianca sbottonata, lievemente stropicciata, a mostrare parte del petto scolpito, quei tatuaggi intriganti nascosti dalla stoffa in un vedo non vedo; la sigaretta all'angolo delle labbra carnose, l'occhio strizzato a causa della colonnina bianca di fumo che si innalza impregnando l'aria dentro la stanza, e il bicchiere di Bourbon con ghiaccio a penzolare dalle sue dita agili, da musicista. Mi domando, mentre seguo il percorso delle vene in evidenza sui suoi avambracci, se sia capace di suonare uno strumento. Uno come lui ha tanto l'aria di sapere fare molte cose.
«Non ci sono per nessuno, cazzo. Quante volte devo ripeterlo oggi?», impreca, aspira una boccata e si stende dopo avere adagiato sul parquet il bicchiere mezzo vuoto, proprio a fianco della bottiglia di liquore. Un'altra è riversa sul pavimento. C'è anche un cartone di pizza vuoto, un posacenere traboccante di mozziconi e tovaglioli accartocciati sparsi ovunque.
Da quando se ne sta qui a bere? È già ubriaco? È rimasto da solo tutto il tempo?
Rimango sulla soglia, insicura sul da farsi. Mi schiarisco la gola. «Riferirò il tuo messaggio», provo a uscire dalla stanza, sentendomi una stupida. «Non so nemmeno perché mi trovo qui», aggiungo con rimprovero, più a me stessa. «Sapevo che avrei dovuto far fare il lavoro sporco a uno di loro».
«Eden... aspetta!»
Mi volto e lui ha alzato la testa dal divano e mi sta guardando sorpreso. Non ha più l'aria assente e malinconica di prima. Mi ha persino chiamata per nome.
«Vieni qui», mi ordina, agitando la mano verso se stesso.
I miei piedi si muovono contro la mia volontà. Mi fermo al centro del caos e comincio a mettere un po' in ordine, accorgendomi che sui tovaglioli di carta stropicciati sono stati creati dei disegni a penna davvero realistici. Creo una pila e li posiziono sul tavolo da caffè, dopo averne nascosto uno nella tasca posteriore dei miei pantaloncini.
«Uccellino!», il suo è un monito.
Lascio uscire un grosso sospiro, scuoto le mani e prendo posto sul divano tenendomi a distanza.
Non ho neanche il tempo di aprire la bocca e spiegare la ragione della mia presenza in questa stanza. Scusarmi, se necessario, per averlo disturbato, per avere toccato quei disegni. Dante mi tira giù, sotto il suo peso. Afferra i miei polsi tenendoli fermi sulla mia testa. La pressione esercitata dalla sua stretta mi provoca una fitta sul basso ventre.
Ci fissiamo a lungo, il silenzio a farci da colonna sonora. Tra fumo di sigaretta e colonia costosa. Lui con quell'espressione glaciale, io con l'istinto di scappare.
Eppure c'è un istante in cui vorrei solo scalare quella parete ghiacciata.
Strappargli di dosso quel gelo, fino a mostrare quel fuoco che arde e che nasconde dentro.
Voglio bruciarmi, sentirmi riscaldare. Sentire il calore vero, reale del suo corpo, della sua anima avviluppata alla mia.
«Uccellino», mormora come se mi stesse salutando. «Resta».
«Non posso», evado dal suo sguardo.
Sento i suoi muscoli guizzare. «Potrei fare sparire questi indumenti. Sono sicuro che non scapperesti nuda», mi stuzzica con voce roca, tenendo i miei polsi con una sola mano, facendo scorrere un dito lungo il mio sterno. «Puoi non opporre resistenza di continuo?», la sua domanda giunge inaspettata.
«È...»
«Non rifilarmi che è complicato, cazzo. Non farlo!», mi interrompe, usando un tono freddo e busco. «È una domanda dannatamente facile, uccellino».
Volto il capo, ma è impossibile non distrarsi sotto il peso del suo corpo immobile, muscoloso e incredibile.
Dante allunga una mano, mi sfiora ancora trascinando dietro ogni sua carezza una valanga di sensazioni che non riesco a contenere, a razionalizzare.
«Non fai altro che tenermi testa».
Alzo lo sguardo sul suo viso trovandolo concentrato e perfetto. «Proprio come stai facendo adesso. Non fai altro che resistermi. Mi stai anche evitando e non lo sopporto. Sembri l'unica immune al mio sguardo o ai miei gesti. L'unica a farmi incazzare così tanto da perdere la testa, il mio maledetto controllo», affonda la mano tra i capelli, scompigliandoli lievemente. Conferisce a se stesso un'aria selvaggiamente attraente.
Il cuore manca un battito, comincia a singhiozzare nello sterno. Sulle guance sento un forte calore depositarsi e poi diffondersi in un brivido violento dappertutto.
«Ti sbagli!», vorrei dire. «Non sono immune. Sto solo cercando di non farmi male».
Strattono la sua presa e lui prende il mio gesto come una sfida. Affonda il viso sul mio collo fino ad arrivare e stuzzicare il punto sensibile sotto l'orecchio con la punta della lingua, dove lascia un bacio tenero seguito da un morso. «Non mi credi?», rifà un'altra volta il gesto e dalla mia bocca sfugge un verso.
Le sue mani...
Una carezza con la capacità di un uragano sulla mia pelle.
Ogni mio muscolo si carica di tensione, mi si annoda lo stomaco e se non fossi sdraiata, probabilmente le mie ginocchia cederebbero.
Rimango immobile perché solo così forse potrò riprovare ancora e ancora la stessa sensazione che per un attimo mi ha fatta sentire viva. Viva dopo tanto tempo passato a ricevere le carezze sbagliate.
Chiudo gli occhi e scaccio il senso di disgusto provato in passato, per infilare in quel vuoto questo nuovo piacevole ricordo.
Non voglio abbandonarmi alle lacrime. Non voglio avere paura proprio adesso che sento davvero. Mi sento sull'orlo di un dirupo, ma sul fondo so cosa mi aspetta.
Non è dolore.
Non è tristezza.
Non è paura.
Non c'è paura.
«Dante», soffio appena il suo nome e le sue labbra si fanno pericolosamente vicine alle mie. Mi raggiunge l'odore del liquore e della nicotina ma non mi muovo, conscia del fatto che con un solo passo potrei distruggere qualsiasi cosa.
Lo guardo storto cercando di convogliare nell'espressione tutta la durezza e la rabbia che ho in corpo. Spero di essere veleno, di uccidere lentamente la sua convinzione, di far vacillare la sua sicurezza così fastidiosa.
Dante rimane in attesa tenendo sotto tiro la mia bocca. Si trattiene gonfiando il petto. Siamo talmente vicini che basterà un solo respiro a spezzarci.
«Non sei male quando stai in silenzio e sei senza parole», dice con tono mellifluo. «Dovresti stare sempre così». Incapace di nasconderlo, sorride divertito; proprio come un animale feroce di fronte alla sua preda. Poi però torna serio. «Ma sarebbe noioso», si contraddice. «Non saresti più tu. Io non voglio che perdi la tua luce, uccellino. Mi piace ascoltare la tua voce. Non importa se sono insulti quelli che mi rivolgi. Posso sopportarli, purché continui a parlarmi».
Mi tremano le gambe. Il cuore tenta di uscirmi dal petto e mi si mozza il respiro al lampo di sfida nei suoi occhi, al suono della sua voce così bassa, così roca e in grado di farmi fremere e agitare.
Gioca con la punta del mio naso avvicinandosi all'angolo della mia bocca.
Chiudo i pugni. Devo fare qualcosa. Non sta succedendo davvero.
«Sono contenta di vedere che nonostante sia l'alcol a parlare continui a odiarmi, un po' meno per il fatto che mi stuzzichi», ribatto provando a divincolarmi prima di poter fare qualcosa di stupido. Ma la sua presa sui miei polsi e la pressione che sta esercitando, fanno vacillare ogni mio proposito fatto con me stessa poco prima di varcare la soglia.
Mi irrita e non lo nascondo. Dante invece, non sembra temere le mie reazioni. Appare sfrontato e pronto a mettermi in difficoltà.
Divertito, allenta la presa per capire se e come riuscirò a divincolarmi. Per lui non sono altro che un gioco. Non ha ancora capito che ha fatto scattare in me una valanga di ricordi legati a Darrell. A quello a cui ho dovuto rinunciare. Come queste sensazioni che non se ne andranno mai più dalla mia pelle e che custodirò gelosamente, di nascosto.
Perché certe cose hanno il potere di incastrartisi tanto a fondo nelle ossa, di saldarsi alla tua anima. Di certe sensazioni, quando ti fanno bene al cuore, non te ne liberi più. Un po' come i ricordi.
Perché un ricordo non è altro che una lama affilata del tempo.
Sulla fronte gli si forma una lunga linea marcata. Vorrei tanto poterlo toccare, ma sarebbe come tradire me stessa. «Spiegami che ci fai qui», chiede un po' più lucido.
Riesco a ritrarmi irritata e delusa. «Lasciatelo dire, sei proprio un bastardo», comincio rabbiosa, accorgendomi tardi di essere caduta nel suo tranello. Provo inutilmente a ricompormi. «Faron ti cerca e vuole parlarti. Dato che non rispondi al telefono e io stavo andando in camera, mi ha chiesto di passarti il suo messaggio. Adesso me ne vado», detto ciò provo a sgusciare via da sotto il suo corpo così caldo e sodo. Mi irrigidisco avvertendo quanto sia eccitato. Lui se ne accorge e prima che possa fare qualcosa di avventato per il mio povero cuore che continua a battere imbizzarrito nel petto, lo spingo. «Non toccarmi più in questo modo».
Solleva le mani mettendole bene in vista, come se lo avessi colpito, liberandomi. «Sei rimasta sotto di me per un bel po'. Pensavo non ti desse alcun fastidio sentire ciò che riesci a provocarmi. Non ti prometto che non mi ecciterò ancora, ma se è un ordine il tuo, eseguirò, uccellino. O forse dovrei dire principessa?», sorride malizioso e i suoi occhi brillano di una luce violenta che potrebbe folgorarmi.
Ancora una volta, mi sta mettendo alla prova. Mi sta suggerendo che non ha gradito il mio approccio verso Terrence.
È davvero geloso o non accetta una possibile sconfitta?
«Perché non dici quello che stai pensando, principessa?»
Ancora quel nomignolo. Stento a crederci, preferisco "uccellino". Stringo i pugni in vita tenendo a freno la voglia di picchiarlo. Ma uno scontro con lui sarebbe come un gatto contro un rinoceronte.
«Se stai ancora immaginando come infilarti nel mio letto facendomi poi sentire l'illusa della situazione caduta ai tuoi piedi, scordalo. Non ti sopporto e non mi piaci».
Non c'è niente nel suo sguardo quando dice: «Oh, ma quella che non immaginerà ma lo farà sarai proprio tu, uccellino».
Lo guardo con disgusto. «Piuttosto mi faccio suora».
Dante mi rivolge un sorrisetto perfido e terribilmente sexy. A ogni mia risposta sembra acquistare forza. «Anche in un convento c'è bisogno di un po' di piacere carnale, non credi? Sarò un po' come il diavolo tentatore», mi schernisce.
Un passo avanti e siamo faccia a faccia. La tensione palpabile nell'aria, simile a una tempesta in arrivo.
«Perché mi stai facendo questo?», oso chiedere con un filo di voce.
Dal suo volto distante, spento, non scorgo niente. Solo una freddezza che mi fa arretrare.
L'angolo delle sue labbra si incurva come quello di una fiera sul punto di sbranarti. Davanti a me c'è un uomo spietato, pronto a spezzarmi. Ma so con certezza che c'è qualcos'altro in lui. Qualcosa che nasconde insieme al dolore.
Ha l'aria di uno rimasto a trattenere tutto dentro. Macerie accumulate nel tempo, pezzi affilati sul punto di tagliare la sua anima coperta da una forte corazza piena di segni. Con quell'atteggiamento spregiudicato, quel tono irriverente, quei suoi gesti calcolati, mai scontati, è ancora più attraente. Nessuno è immune al pericolo nascosto dietro le sue bellissime iridi. Neanche io.
Soprattutto io.
«Perché è divertente».
Mi rifiuto di credergli. Sta mentendo.
È vicino e sento di nuovo il calore del suo corpo, del suo fiato sulla mia pelle. L'odore della sua colonia a insinuarsi nei polmoni.
Sento uno sfarfallio nel petto quando le sue labbra si fermano sul mio orecchio. «Perché voglio renderti la vita un inferno!»
Chiudo gli occhi, la pelle coperta dai brividi che si susseguono uno dietro l'altro.
Lo odio. Sembra stupido da pensare.
Lo odio con tutta me stessa.
Sbuffo e mi avvio fuori dalla stanza o almeno ci provo, consapevole di scappare di nuovo come una stupida lepre.
Dante mi spinge contro il muro, mi afferra la guancia e abbassa il viso all'altezza del mio. «Te ne vuoi andare?»
La sua domanda ha un doppio significato. La pressione del suo palmo sulla pelle mi distrae. «Ho solo chiesto...»
«Non è possibile, uccellino», ripete le stesse parole che ho già sentito da Faron e prima ancora da Terrence. Pronunciate da lui, purtroppo, sono un qualcosa di definitivo.
«Perché?»
Lecca le labbra tenendo gli occhi fissi sulle mie. Con il pollice mi accarezza una guancia. «Perché sarebbe così facile fare mediare tuo fratello. Invece voglio che a pregare per riaverti sia proprio tuo padre. Deve strisciare ai miei piedi».
Deglutisco. «Non si inginocchierà mai. Lo conosco. Tanto vale farmi fuori adesso».
Stringe la presa. «Tu non sei un bersaglio come pensi e nessuno ti farà del male», cambia tono. «Non fino a quando starai con me».
«Ti sbagli. Invece lo sono!», sbotto, provando a togliere la sua mano dal viso, che continua a lasciarmi carezze che non voglio perché hanno il potere di ammaliarmi. «Darrell... lui mi troverà».
Nega con convinzione. «Per lui è in serbo qualcos'altro. Non ho di certo dimenticato il cane da guardia di tuo padre», non nasconde il suo disprezzo.
Mi piacerebbe poter credere alla favola del "e tutto si risolverà" o "andrà tutto bene". Ma conosco Darrell. Lui non si arrenderà. Non avrà pace finché non sarà riuscito a trovarmi. Non perché prova qualcosa per me, lui non mi ama, ama solo il pensiero che io sia di sua proprietà. L'ho umiliato scappando da lui. Questo sono certa abbia avuto delle ripercussioni sulla mia famiglia e sulle persone che lo circondano.
«Tu non capisci!»
«Capire cosa? Tuo padre non ha ancora reso pubblica la tua sparizione. Sta facendo in modo che uomini come Darrell si leghino a lui ancora di più perché ha paura di perdere le sue poche alleanze rimaste. Sta riscuotendo qualche vecchio debito per trovarti, certo, però il fine non è lo stesso. Visto che nessuno gli hai mai dato una bella lezione, be', credo proprio che lo farò io. Riguardo Darrell, fidati, quel pezzo di merda ha solo le ore contate...»
«Per via della mia fuga, probabilmente molte persone stanno morendo. Altre sono in serio pericolo. E alla fine, quando Darrell riuscirà a trovarmi, perché lo farà, e a mettermi ancora le mani addosso, lui... lui non si risparmierà. Me la farà pagare. Non so se sarò in grado di resistere questa volta. Se sarò forte abbastanza. Io, io devo parlare con mio fratello. Io devo andarmene».
Ferma la carezza e raccoglie qualcosa che sta scivolando dal mio occhio sinistro. Una lacrima solitaria.
Chiudo gli occhi, provo ad abbassare il viso, ma la mano di Dante mi tiene ferma.
Non dice niente. Eppure sento tutto quello che pensa, quello che vorrebbe buttare fuori. Sento la sua furia crescere. Il bisogno di uno sfogo fisico elettrizzare l'aria. «Tu a casa non ci torni», sibila lasciandomi andare, ma solo dopo avermi premuto le labbra sulla fronte. «Hai capito? Non ci torni», sussurra roco.
Che cosa è appena successo?
Barcollo lungo la parete fino alla porta, mentre lui mi dà le spalle.
Una volta fuori pericolo, in corridoio, mando fuori tutta l'aria trattenuta.
Un forte schianto proveniente dalla stanza dalla quale sono appena uscita, mi spaventa. Tappo la bocca per non urlare.
Confusa da quanto è appena successo, mi fiondo nel mio nascondiglio dove comincio a camminare avanti e indietro incredula e ancora scossa. Apro la finestra per avere un po' d'aria e mi sporgo fissando i punti luminosi in lontananza che si confondono alla mia vista.
Una cosa è certa, non mi farò illudere da lui.

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