Capitolo 10

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EDEN 

Per tanto tempo, ho dovuto tenere a bada quella parte di me che in queste pochissime ore, a contatto con una realtà diversa, rischia di ribellarsi e liberarsi.
Sin dal giorno più brutto della mia vita, ho imparato a dissimulare. Ho finto. Di essere forte, di essere coraggiosa. L'ho fatto con convinzione, senza mai smettere di mostrarmi per quella che non sono: spaventata, debole, sola a un livello profondo. Spezzata.
Sono così.
Sono questa.
Sono come quelle persone che sono in grado di raccogliere da terra i propri pezzi e rimetterli insieme; che lasciano i bordi taglienti bene in vista per evitare che qualcuno si avvicini e li riduca in polvere. Sono come un cactus. Per proteggermi mi sono corazzata e l'ho fatto ricoprendomi di spine.
So che qui dentro non sono altro che una prigioniera. Ma più passa il tempo, più comincio a familiarizzare con tutto quello che mi circonda, persone comprese. Alcune guardie non mi guardano più con sospetto. Hanno capito che non darò loro alcun problema. Altre, semplicemente si sono tenute alla larga. Non so la ragione precisa. Credo però sia dovuto alla rissa che ha avuto luogo in un locale chiamato "Il Blackout", in cui Dante ha dato una lezione al cugino. Ho sentito due uomini parlarne durante la mia passeggiata mattutina lungo il perimetro, l'hanno definita feroce. Hanno esposto anche le loro opinioni in merito e uno di loro ha affermato di non voler avere nessun problema con il futuro padrone di casa.
Ormai sono passati alcuni giorni dalla pessima serata vissuta e conclusasi in quel vicolo con il mio rapitore che accorre in mio aiuto. Dando credito alle voci, avrei dovuto avvicinarmi a lui e ringraziarlo, non urlargli contro come una matta quando ha osato definirmi debole. Ma ho il sospetto che non accetterà niente da parte mia.
Essendo quasi ora di pranzo, ho deciso di scendere in cucina per preparare qualcosa che non provenga da un ristorante o dalla villa di Seamus.
Sono stanca di ricevere i miei pasti come se fossi rinchiusa davvero dentro una cella. Il tutto a causa del soggetto dalla lingua affilata e dallo sguardo torvo che mi ha praticamente segregata in camera per non correre ulteriori rischi.
Cucinare è sempre stato il mio piccolo segreto, insieme a tanti altri che ho dovuto seppellire per mostrarmi fiera della famiglia alla quale appartengo; per comportarmi da figlia viziata e senza cuore.
Ho sempre fatto tutto seguendo i piani degli altri. Mio padre, in un certo senso, mi ha addestrata a dovere. Ricordo però le volte in cui di nascosto da lui o dai miei fratelli, ho chiesto scusa alle persone che ho trattato male. Non mi è mai piaciuto elevarmi o sentirmi in diritto di comportarmi come la padrona del mondo, solo per il cognome che porto. Ho sempre preferito guadagnarmi la fiducia e il rispetto in altri modi.
Perché a questo mondo c'è bisogno di gentilezza. Anche se si impara presto a non dare al lupo la possibilità di sbranarti.
«Che cos'è questo odore?»
Stringo la presa sul bordo della cucina per non mostrare la reazione che il mio corpo ha appena avuto al suono della voce calma e lievemente roca che si è appena diffusa in questo spazio. Ero talmente concentrata a mescolare il riso, da non rendermi conto della presenza di Faron sulla soglia.
Da quanto se ne sta lì a osservarmi?
«Spero non sia un problema», indico la cucina.
So di camminare su un filo sottile e inimicarmeli non farà altro che peggiorare la situazione. Non dimentico il trattamento ricevuto il giorno del mio compleanno, tantomeno le minacce velate da parte di Seamus. Ma non potevo più starmene in camera a farmi le paturnie.
Faron si appoggia al bordo della cucina a poca distanza da me, dopo avere dato una sbirciata al contenuto dentro la pentola. «Chi lo avrebbe mai detto che avrei visto una Rose ai fornelli e in parte a proprio agio nel covo del nemico», gratta la tempia. Schiarisce subito la voce nel vedermi ancora sulle spine e in attesa di una risposta. «Non è un problema. Sentiti libera di usare la cucina quando e come vuoi. Ma niente incendi e niente colpi di testa», tamburella con le dita sul ripiano. Appare concentrato su ogni singolo utensile presente. Come se da un momento all'altro potessi trasformarmi in un ninja assassino. Li sta contando, scommetto.
Mescolo il risotto con una certa foga, fingendomi calma. In realtà ho ancora il cuore in gola. «Non ho intenzione di accoltellarti. Anche se meriteresti uno o due pugni per avermi sedata. Ma non vorrei rovinare quel tuo bel visino, visto che sarebbe proprio a quello che mirerei per primo».
Arrossisce lievemente sorridendo in maniera giocosa, rilassando appena le spalle. «Faceva parte del piano. Non stavi collaborando come avresti dovuto. Non credo di dovermi scusare o spiegare per questo. Al mio posto avresti fatto lo stesso».
Annuisco, comprendo in parte il suo ragionamento. «Lo so. Volevo solo mettere in chiaro che non mi è piaciuto».
Faron, non trovando nient'altro da dire, si sposta dalla cucina verso il corridoio, pronto ad andarsene.
Tutto qua? Mi lascia da sola senza ammonizioni di alcun genere?
«Hai pranzato?»
Resta fermo per qualche istante. Voltandosi non nasconde nemmeno l'espressione carica di sorpresa. Se ne sta lì, con la fronte aggrottata, il sopracciglio inarcato. Sembra incerto quando risponde: «No. Prenderò qualcosa fuo...»
«Ho cucinato in abbondanza. Se ti va, preparo un piatto in più».
Che diavolo sto facendo? Fraternizzo con uno spietato assassino adesso? E se fraintende oppure pensa che abbia qualche piano strategico per scappare?
C'è solo un modo per scoprirlo ormai: attendere. Suggerisce la mia voce interiore.
Faron torna in modalità riflessione, poi indica il tavolo di vetro sul quale al centro è adagiato un bellissimo vaso di cristallo pieno di fiori. «Apparecchio io. Basta anche per tre persone quello che stai preparando?»
Indico la pentola con l'indice. «Credo di avere esagerato con le dosi», mostro un lieve sorriso imbarazzato, portando le mani dietro la schiena dondolo sui talloni come una bambina.
Faron apparecchia la tavola per tre. Lo fa come se fosse qualcosa di nuovo da provare. Notandomi incuriosita storce il labbro. «Solitamente quando siamo tutti presenti mangiamo con mio padre. Ha dei camerieri e dei cuochi eccezionali che preparano anche per noi», spiega per giustificare il suo comportamento.
«Una volta tanto mangerai a casa senza di lui. La mia cucina ti piacerà», unisco le zucchine al riso facendolo mantecare ancora un po'.
«Sei sicura di te», scuote la testa. «Sono molto critico con il cibo, signorina Rose», mi avverte, divertito.
«Ho appreso abbastanza da sapere come si cucina. Si fidi un po' di me, signor Blackwell», lo canzono di rimando.
Assottiglia la palpebra. «Su quest'ultimo punto potrei dissentire, piccoletta. Hai avuto una cuoca speciale?»
«La migliore», non esito a rispondere.
«E che fine ha fatto?», stappa una bottiglia di vino bianco riempiendo i tre calici.
A casa nostra il vino si beve solo dopo il tramonto, mai a pranzo. Papà dice sempre che bisogna avere la mente lucida durante il giorno. Anche se l'ho visto bere di nascosto, più di una volta.
«Ti prepara ancora latte e biscotti quando non riesci a dormire?», Faron sta continuando, ignaro della stilettata che mi ha appena inferto.
«È stata licenziata», mi incupisco e per non fargli notare il mio dispiacere pulisco il ripiano.
La sua mano calda e grande mi si adagia sulla schiena. Mi volto più che rigida e sorpresa dal calore del suo gesto. Ancora una volta il mio cuore sfarfalla prendendo il volo dopo uno svolazzante e incerto balzo.
Faron abbassa il viso. «Perché?», domanda. I suoi occhi sono amichevoli, sinceramente curiosi.
«L'hanno beccata mentre aiutava una ragazzina spaventata. L'ha difesa a seguito di una discussione impedendole una punizione e il giorno dopo è stata licenziata», mi allontano dalla sua presa sfiorando appena la sua mano, guarnisco i piatti e indico con un cenno della testa la tavola. «È pronto», nel superarlo gli do una lieve spallata con la mia e mi siedo prima che le ginocchia possano cedere.
Che diavolo è successo?
Faron prende posto a capotavola, per niente a disagio, nonostante le domande che aleggiano inespresse nell'aria. Annusa il piatto come un segugio. Lo osserva da ogni angolazione possibile, infine solleva la forchetta.
Per tutto il tempo in cui mastica il primo boccone, trattengo il fiato. Appena gli sfugge un verso di apprezzamento, per poco non urlo dal sollievo.
«Incredibile», afferma servendosi un'alta generosa forchettata di riso con gamberi, zucchine e granella di pistacchio.
Osservo il cibo che ho nel mio piatto. «Quando hai tempo, risorse e ti annoi, puoi imparare di tutto», mi limito a dire, cercando di non pensare a quei giorni in cui mi tenevano alla villa per chissà quale assurda ragione e dovevo inventarmi qualcosa per non sentirmi chiusa fuori dal mondo. Ho tentato di scappare, ma le conseguenze sono state dure da affrontare e sopportare.
«Comprendo il tuo stato d'animo. Anch'io ho vissuto così. Abbiamo famiglie diverse che a quanto pare hanno cercato di crescerci allo stesso modo».
Dubito che a lui sia stato negato qualcosa, come uscire con gli amici o andare al cinema all'aperto.
«Molti nemici e la mania del controllo», ribatto quasi brusca, masticando lentamente.
«Quindi ti teneva in casa?»
Deglutisco. «Già. In quell'enorme regia in cui ti sei infiltrato senza problemi. Niente amici, nessun animale domestico. Nessuna via di fuga».
Loro non sanno quello che in realtà ho fatto a ogni boccone amaro che ho dovuto mandare giù fingendomi indifesa. Non sanno che di nascosto ho raccolto quante più informazioni possibili su traffici, affari e tanto altro.
Avevo bisogno di una garanzia per salvarmi la pelle un giorno o molto semplicemente per ottenere la mia libertà. Perché so che mio padre preferirebbe perdermi piuttosto che vedere il suo mondo perfetto distrutto.
Non è stato facile seguirlo di nascosto, carpire da Darrell quante più informazioni possibili, in quei momenti in cui chiacchierava come se fossimo amici veri; aiutato da una buona dose di alcol.
Osando, ho corrotto delle guardie per riuscire a usare il computer nello studio di mio padre in cui ho copiato ogni singola cartella presente per poi fare ulteriori copie in delle penne USB; il tutto dopo avere manomesso le videocamere di sorveglianza.
Un lavoraccio, certo, ma che mi sarà utile.
Se solo Faron o chiunque di loro scoprisse che sono in possesso di una simile arma e dove la tengo, sarebbe la mia fine.
Beve un sorso di vino. «È solo lavoro. Tuo padre non è di certo un santo, Eden».
Abbasso la forchetta. «Credi che non lo sappia? Ho vissuto abbastanza situazioni spiacevoli a causa sua. Non mi ha tenuto di certo in disparte come si pensa. Ero lì a guardare mentre faceva a pezzi psicologicamente qualcuno o si comportava da padrone del mondo. Ed ero lì quando mi ha venduta come un pezzo di carne», so di avere detto abbastanza, caccio in bocca due forchettate di riso e mastico senza fretta.
Faron prende un'altra porzione. «Be', una cosa è certa, sei brava a cucinare», afferma smorzando la tensione. «Dante si rifiuta e Joleen, be', all'inizio bruciava tutto. Ecco perché ordiniamo o accettiamo qualsiasi invito».
Una risata riempie e rallegra l'ambiente intorno. La tensione si scioglie dai muscoli di Faron non appena proprio Joleen fa la sua comparsa in cucina. Si avvicina e gli molla un colpetto sul braccio. «Possiamo dire che vengo viziata, ma ho preso qualche lezione da quando è successo».
Indossa un tailleur aderente nero e una maglietta di seta di uno sgargiante fucsia. I suoi capelli sono legati morbidamente in uno chignon basso e alle orecchie ha delle grosse perle rosa. Tacchi vertiginosi ticchettano dentro questo spazioso soggiorno che non solo profuma di cibo, adesso anche della sua costosa colonia floreale.
Mi ritrovo a osservarli trasognante. Impossibile non farlo. Sembrano due calamite. Anche se c'è qualcosa di sbagliato nel loro rapporto. Come se stessi guardando due tessere impossibili da incastrare.
«E per essere precisi, lo abbiamo deciso quando è successo l'incidente dell'uovo».
Faron ride prendendola tra le sue braccia. Lei di rimando avvolge le sue intorno al suo collo, stampandogli un bacio sulla guancia.
«Hai bruciato la padella e attivato l'allarme antincendio rischiando di allagare l'intero piano quando sono partiti i getti. Era il minimo farti prendere qualche lezione e nel frattempo viziarti per evitare qualche altro disastro».
Continuano per qualche minuto a ricordare aneddoti di disastri avvenuti in cucina. Joleen poi viene interrotta da una chiamata da parte del suo ufficio legale, e dopo avere ingurgitato una forchettata di riso e avere emesso un gemito di piacere, si sposta verso la vetrata a parlare sommessamente; il tutto dopo avere detto al suo interlocutore: «Spero sia importante perché le mie papille gustative stavano assaporando il paradiso».
Tolgo i piatti vuoti portando a tavola il secondo proprio mentre una strana sensazione pervade il mio corpo e sollevo lo sguardo accorgendomi che appoggiato allo stipite della porta scorrevole, a distanza dalla tavola e dal soggiorno, c'è Dante.
È a torso nudo; i capelli scompigliati come se non avesse fatto altro che passarvi le dita, una catenina d'argento con una piastrina a prendergli dal collo fino all'addome scolpito; un vero spettacolo di muscoli, vene in evidenza, tatuaggi intricati su tutta la parte sinistra del suo corpo e...
Oh buon Dio! Quello... quello è un piercing al capezzolo sinistro?
Ci provo a non fissarlo, ma è una sfida. Una grossa sfida.
Impongo a me stessa di non mostrargli alcuna reazione, nonostante sia difficile ignorarlo del tutto. Specie quando si avvicina senza mai staccarmi gli occhi di dosso; invadendo, con quell'aura minacciosa, tutto il mio spazio.
Ogni minuscola molecola del mio essere si ribella e strilla: allontanati prima di precipitare in un abisso senza fondo.
Chiudo di scatto la bocca, abbasso la testa, anche se ormai è tardi per nascondere il calore che ha invaso la mia pelle, accendendo le mie guance.
Avvicinandosi al bancone, come ha fatto il fratello, lancia un'occhiata carica di sospetto al contenitore con le porzioni extra di riso e dopo avere riempito un piatto si sposta a tavola, prendendo posto proprio al mio fianco.
Anche Joleen, termina la chiamata con una scusa e si siede. Un sorrisetto beffardo mirato verso Dante. «Ti sei alzato, finalmente. Sonno di bellezza o post-sbronza?»
Le piace punzecchiarlo. Da quando sto qui con loro non l'ho mai vista trattenersi.
I miei occhi si spostano sulla mano di Dante, ancora coperta da una fasciatura che lui prontamente le mostra poco prima di alzarle il dito medio in faccia. «A quanto pare per qualche altro giorno mi sarà concesso dormire. Anche se gli affari sono affari. E per la cronaca, non ho bisogno del sonno di bellezza. Sono sempre meraviglioso. Non è vero, uccellino?», caccia in bocca una generosa cucchiaiata di riso.
«Sei anche umile a quanto vedo», dico più tra me e me.
Faron scuote la testa. Non riesco a capire se il suo trattenersi sia dovuto alla mia presenza a tavola. Fatto sta che tutti e tre osserviamo Dante come se fosse un animale raro.
Lui se ne accorge, manda giù il boccone e gli punta il cucchiaio mentre beve un sorso di vino. «Dovresti provare anche tu a prendere un giorno o due per rilassarti. Non avresti quelle cazzo di rughe sulla fronte». Mi sorprende allungando la mano tatuata verso i miei capelli che si sono ribellati dallo chignon, cominciando ad avvolgere distrattamente una ciocca intorno al dito.
Come osa toccarmi dopo avermi detto in maniera chiara di essere una pedina, una spina nel fianco da estrarre e gettare al momento opportuno? Come osa toccarmi e far reagire il mio cuore come se stessi correndo a perdifiato?
Detesto il modo in cui mi guarda. Ancora di più come mi odia.
Arrogante.
Intrattabile.
Irascibile.
Odio persino il modo in cui mi rende incapace di respingerlo.
«Dove avete ordinato questo pranzo?»
Joleen si riempie il piatto. «Mi faccio la stessa domanda da quando ho assaggiato questo riso», mente, fingendo di non sapere. I suoi occhi si spostano verso la cucina. Non propriamente in ordine, ma abbastanza da indurre a pensare che siano cibi pronti e da riscaldare quelli che hanno nei loro piatti.
«Buono, vero?», domanda Faron con un sorrisetto, facendomi l'occhiolino quando nessuno dei due lo guarda.
«Delizioso!», biascica Dante leccandosi le labbra.
Abbasso il viso arrossato e mangiucchio in silenzio, come un uccellino, in attesa che Faron dica la verità sul pranzo e lui vomiti sul lungo tavolo, inveendo contro di me, fino a rispedirmi in camera e tenermici per molto tempo.
«È stata Eden a cucinare».
Com'era prevedibile, Dante allontana il piatto vuoto, gratta la tempia, pulisce gli angoli della bocca e passa la lingua sui denti, facendola schioccare un paio di volte. «Uccellino non sa cucinare. Non prendermi per il culo. Poi chi cazzo le ha dato il permesso di uscire dalla sua stanza? Ero stato chiaro».
Faron raccoglie la salsina con una fetta di pane, godendosi la sua espressione senza dire niente. I suoi occhi però si spostano più volte nei miei. Così come quelli di Joleen e infine si aggiungono anche quelli dell'individuo che rifiuta la mia presenza pur avendomi presa in ostaggio.
«Sicuro che non ha avvelenato tutto?»
Mi alzo, in un primo momento non rispondo alla provocazione. Gli metto davanti il secondo. Grosse fette di pescespada con erba cipollina e contorno di peperoni, pomodorini secchi e patate.
Non riuscendo proprio a trattenermi, mi abbasso all'altezza del suo orecchio e sussurro: «Paura di morire? Sappi che non porto rancore neanche quando i bastardi senza cuore mi trattano con condiscendenza. E per la cronaca, ho il permesso di muovermi dove e come voglio. Puoi anche essere il padrone di casa, ma non sei a capo della famiglia».
Faron comincia a tossire. Joleen nasconde la propria sorpresa dietro il calice dopo avergli passato il suo per farlo smettere. Trattiene a stento la sua risata per non spezzare il contatto visivo tra me e Dante.
«Non ho paura di morire. So con certezza che non verrò ficcato dentro un sacco blu per essere esaminato dal petto in giù. I miei succhi gastrici non verranno riversati dentro delle fialette per essere esaminati. Faron mi farà cremare seduta stante. E tu... mio piccolo uccellino, ti ritroverai in un carcere femminile correttivo, e per essere chiari: il tutto dopo essere stata sculacciata a dovere».
Avvampo immaginando le sue mani sulle mie natiche. Mi agito sulla sedia. So che se ne accorge e prima che possa provocarmi, dico: «Hai già stilato un testamento? Questo significa che sai che prima o poi qualcuno ti farà fuori?», lo affronto senza paura, mettendo a tavola una grossa ciotola di macedonia. «Coscienza sporca?»
Dante grugnisce qualcosa continuando a mangiare voracemente.
In un certo senso, mi ritengo soddisfatta. In futuro potrò prenderlo per la gola.
Lancia un verso spazientito. Il suo è un segnale: ne ha abbastanza della conversazione e anche di me.
«Novità da riferire?», cambia argomento, facendosi attento. Incrocia le braccia al petto e fissa i due davanti a sé tagliandomi fuori.
Per lui sono insignificante, una stupida incombenza da portare a termine. La cosa non fa altro che ingarbugliarmi lo stomaco, mi indispettisce persino.
«Rose ha ordinato ai suoi amici di trovare sua figlia con la promessa di un premio sostanzioso. Ancora non ha fatto trapelare niente attraverso i media. Terrence si sta assicurando che nessuno sospetti di noi. Per quanto riguarda Darrell, invece ha dato inizio alla caccia minacciando qualche famiglia rivale. Ma anche lui si trova in un vicolo cieco».
È così strano trovarmi qui, lontana dalla mia famiglia, da casa. Ancora di più essere protetta, in un certo senso, dai miei stessi rapitori.
Impossibile non prendersi una cotta fulminate per Faron. Ha la capacità di non farti percepire il pericolo. Di farti sentire accolta, non a disagio. Anche se so che è pura illusione, che sono solo un oggetto da usare a loro piacimento in una guerra tra famiglie che per tanto tempo hanno smesso di comunicare pacificamente.
Potrei persino legarmi a Joleen. Non ho mai avuto un'amica. Lei ha quei modi gentili e diretti che attirano nella sua orbita chiunque. Adoro il modo in cui affronta tutto con le sue battute, i suoi sorrisi e le sue pose.
«E Coleman?», oso chiedere.
«A lui ho pensato io», ribatte brusco Dante. «Sarà fuori dai piedi per un po'».
«È una torta quella che vedo nel nostro frigo?», Joleen porta a tavola la torta sull'alzatina, osservandola come una bambina di fronte al suo primo impasto con la nonna.
Ho realizzato una crostata al cioccolato fondente con scaglie di cocco, mirtilli, lamponi e ribes sopra.
Mi sembra ancora assurdo avere trovato in frigo e in dispensa tutti gli ingredienti necessari per un pasto completo, dato che hanno più volte ribadito di essere abituati a mangiare fuori o a ordinare al ristorante.
«Mio Dio, non pranzavo così bene da tanto tempo. Mi sembra quasi un peccato tagliare questa goduria», solleva gli occhi dalla crostata, mi sorride e quando non se ne accorge nessuno, mima: «Grazie, Eden».
Dante sbuffa accigliandosi. «È solo un pranzo, non eccitarti troppo», ribatte per minimizzare l'impegno che ho messo in ogni singola portata, ignorando la fetta di crostata e mangiando solo la macedonia di frutta prima di alzarsi da tavola.
Inutile, i miei occhi continuano a posarsi sui suoi muscoli sodi, sfoggiati senza imbarazzo, con una naturalezza quasi invadente.
Adesso comprendo i moscerini e la loro propensione al masochismo.
Oggi appare diverso ai miei occhi rispetto alle altre volte in cui l'ho visto. Sembra più sicuro di sé. Più forte. Più audace. È un tormento ed è magnetismo puro.
Mi becca a osservarlo. «Che c'è?»
«Niente». Rispondo troppo in fretta perché il bastardo ne ha approfittato, e non nascondendo il divertimento mi mette in una posizione di svantaggio. Proprio come ha programmato sin dal principio.
Il suo è un modo come un altro di darmi una lezione per avere disobbedito agli ordini ed essere uscita dalla stanza in cui mi aveva confinata fino a qualche ora fa. Ho osato sfidare la sua autorità e adesso mi toccherà pagarne lo scotto.
«Sbavare non è niente, uccellino?»
«Io non... Non hai una maglietta?», riesco a correggermi appena in tempo.
Le sue narici guizzano come quelle di un toro pronto all'attacco. «Non dirmi che ti imbarazza». Sfodera un sorrisetto perfido con quelle labbra gonfie e perfette.
Per un momento le mie gambe tremano e la mia convinzione vacilla; a tal punto da potergli permettere di farmi qualsiasi cosa. Non dimentico che mi ha protetta e so che si aspetta da me qualcosa in cambio. Ma non sono disposta a cedere. È fuori discussione che io...
Vedendomi distratta allunga una mano in maniera fulminea afferrando la mia. Preme il mio palmo lungo il suo addome partendo dalle clavicole. Alzo lo sguardo e vengo inghiottita dall'oscurità nascosta dietro quel verde delle sue iridi, spietate e intelligenti. Sto annaspando mentre brancolo in un abisso che non conosco e che in parte rischia di non darmi scampo, perché Dante continua a sfidarmi senza sosta.
In un attimo è come se mi avesse tolto ogni capacità. C'è solo lui e ci sono io.
Quando finalmente sfuggo dalla nebbia, mi preparo a combatterlo.
Lotto, ci provo a ritrarre la mano dalla sua pelle calda, liscia. Purtroppo appena tocco il piercing il contatto è devastante su di me. Una scossa elettrica attraversa il mio cuore, i suoi muscoli si contraggono in maniera impercettibile, come se anche lui avesse subìto la stessa scarica.
«Sono solo muscoli. Non sei di certo il primo uomo a petto nudo che vedo o pronto a pavoneggiarsi. Il mio commento è riferito al contesto. Siamo a tavola, non in uno strip club! Sarebbe educato che indossassi qualcosa», riesco a spostare la mano dal suo corpo e a tenerla nell'altra, in grembo, per nascondere il tremore.
Dante solleva l'angolo del labbro. «Mi stai davvero facendo una lezione, saputella?»
Il disprezzo emanato dalle sue parole è più che evidente.
«Una volta tanto qualcuno dovrebbe strigliarti a dovere».
«Ehi», interviene Faron, in parte accorgendosi della mia espressione omicida. «Basta voi due».
«Che problemi hai?», lo ignoro per affrontare Dante.
«Io nessuno. Tu invece...»
Alzo gli occhi al cielo. «Sei davvero irritante. Toglimi solo una curiosità, come mai non hai mangiato la crostata ma ti sei lanciato sulla frutta? Paura di poter avere un picco glicemico?»
Pare essersi reso conto solo ora del dettaglio. Ancora una volta interviene Faron, il quale spiega: «A Dante non piacciono molto i dolci», detto ciò prende la porzione del fratello e la divora con un ampio sorriso che suggerisce molto più di quanto si possa pensare.
Con la coda dell'occhio mi accorgo che Joleen sta controllando con attenzione la sua agenda, estratta da un'enorme borsa firmata spuntata dal nulla. Lascia scattare la mina e annota velocemente in un svolazzo qualcosa su un foglio.
«So io come farvi passare del tempo», comincia.
Faron si agita sulla sedia scuotendo la testa per avvertirla di non tirare troppo la corda.
«NO!», scatta veloce Dante.
Sussulto sulla sedia.
«Non ti ho ancora detto cosa farete insieme».
«La mia risposta rimane la stessa. No. Toglilo dalla testa, cazzo! Non ho nessuna intenzione di passare un altro minuto accanto a lei. Corro già il rischio di strozzarla. Le mie mani continuano a prudere», comincia a strofinarle per dare dimostrazione di quanto ha appena affermato.
Joleen cerca il sostengo di Faron. Le basta sbattere le ciglia e mollargli un colpetto sotto al tavolo come incentivo per farlo cedere. «Purtroppo oggi sono piena di impegni. Ho una lunga riunione e poi un colloquio con il mio assistito. Non posso stare qui a fare la baby-sitter a entrambi».
La guardo storta. «Ah, Ah, divertente! Ma dovevate pensarci prima di trascinarmi qui».
«Ripeto: NO!», si frappone ancora Dante.
«Io devo recarmi da alcuni fornitori al porto», spiega Faron, celando qualcos'altro in una sorta di codice che non comprendo. «Nostro padre ti ha ordinato...»
«So cosa quel bastardo mi ha ordinato di fare. Ma non è questo il giorno. Possono pensarci altri uomini a lei».
Sentendomi di troppo e in parte un po' offesa, mi alzo e comincio a mettere in ordine.
I tre continuano come se non ci fossi.
«Non rifilarmi la storia dell'ordine e sii più creativo, dannazione. Ma ho anch'io i miei impegni».
Gli occhi felini di Joleen si aprono e si illuminano, facendo comprendere a Dante di avere appena commesso un passo falso.
Li interrompo. «Scusate, posso dire la mia? Resterò qui. Non farò nessuna passeggiata. Potete sempre chiamare Terrence per...»
«Oggi è impegnato ed è lontano. Lo stesso gli altri uomini. Dante invece sta solo accampando delle scuse sottraendosi ai suoi doveri», ribatte svelto come un serpente, Faron.
«Devo andare a trovare mia madre e le mie sorelle».
«Oh, be', sono sicuro che a loro farà piacere conoscere Eden. Pensano che stia rovinando la tua vita con quella stronza impegnata».
Provo subito a rifiutare, confusa sulle dinamiche famigliari. Sembra qualcosa di terribile da fare quando non sei nella posizione di poter decidere. Ma i due, a quanto pare, hanno un piano ben congegnato per fotterci e non potrei essere più contrariata di così.
«Scordalo!», ribatte Dante. «Se la porto lì non ne uscirà viva. Chiederò a una guardia di papà di farle compagnia mentre io mi occuperò di alcuni affari in sospeso», espone il suo dissenso in modo pacato e naturale; ma è impossibile non notare la furia appena celata dietro quelle iridi.
«Sai, credo che invece ti ordinerò di farlo. Mi devi un favore o sbaglio?»
Di fronte a questa carta, Dante vacilla. «Non puoi. Sei mio fratello e non è questo il momento o la situazione giusta per riscuotere».
Joleen interviene piazzando al centro del tavolo, con un certo impeto, un foglio ripiegato. «Dato che a Eden piace cucinare e sono del parere che sia un bene tenerla a debita distanza da vostro padre, ho fatto una lista approssimativa della spesa. Abbiamo bisogno di rifornire gli scaffali. Quindi, voi due, andrete insieme a fare questa commissione al posto del personale e nel frattempo vi conoscerete meglio. Magari scoprirete di avere qualcosa in comune e la smetterete di punzecchiarvi come due adolescenti», chiude la conversazione mettendo in ordine la giacca del tailleur.
Dopo avere dato un bacio a Faron, anche lui in piedi da un pezzo, recupera la ventiquattrore controllando di avere tutto quello che le serve, riempie il termos di caffè e dopo averci lanciato un avvertimento, saluta e se ne va al lavoro. Faron la segue a ruota, quest'ultimo senza perdersi in convenevoli e io, sentendomi di troppo, decido di pulire da cima a fondo questa cucina per distrarmi. Non ho nessuna intenzione di passare del tempo con Dante Blackwell.

♥️

** Buona sera, come state?
Spero vi sia piaciuto questo capitolo. Cosa ne pensate dei personaggi? Adesso cosa succederà?
Ammetto di non aspettarmi chissà quale seguito, ma vi chiedo come sempre di partecipare con commenti, voti e passaparola; sono cose importanti per chi scrive e fanno capire anche il vostro gradimento.
Grazie a chi sta leggendo.
Al prossimo capitolo, nuvole...**

♡♡♡

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