Capitolo 19

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DANTE

Ho capito di essere fottuto la prima volta in cui l'ho vista. Eravamo davvero piccoli e lei non conosceva ancora le atrocità del mondo in cui viviamo. Le rinunce fatte per la famiglia. Le scelte prese per evitare una guerra sanguinosa e dolorosa. Le regole di un gioco pericoloso da seguire senza mai arrendersi.
Dubito che ricordi qualcosa di quei pochi momenti, ma basto io a conoscere la storia. Il modo in cui il mio mondo è cambiato da allora.
Siamo talmente diversi ed è estenuante giostrarsi tra la voglia di strozzarla e quella di baciarla e toglierle il respiro in modo tutt'altro che dolce, perverso. Eden riesce a premere in quei punti dove sono vulnerabile, e ora il desiderio che ho per lei, rischia di detonare con la potenza di un'esplosione.
È per questo che ho continuato a tenermi a debita distanza. Da una settimana me ne sto nascosto qui a casa di mia madre, a incassare frecciatine, domande inopportune e occhiatacce da ogni membro della famiglia.
In particolare dalle mie sorelle, le quali non hanno preso bene la presenza di Eden, e a cena, per tutto il tempo, si sono proprio comportate come se fossero tornate al liceo. Non hanno un reale motivo, non è neanche riconducibile alla notizia data da mia madre prima del suo arrivo. Questo è solo un altro problema inutile da risolvere.
Sto cercando di tenere sotto controllo la situazione prima che degeneri. Conosco le mie sorelle, sono delle vere stronze, non si limiteranno soltanto a stuzzicarla.
Solo Regina ha accolto Eden a braccia aperte. No, non ha una cotta fulminante, conosco ogni sua espressione; guarda uccellino come non ha mai guardato le nostre sorelle: con dolcezza, affetto e protezione. Almeno lei sembra dalla mia parte e sa esattamente quel poco che c'è da sapere sul rapporto che ho realmente con la figlia di Rose.
Appoggiato alla porta, incrocio le braccia al petto e fisso Eden attentamente. Si è irrigidita nel medesimo istante in cui ho chiuso entrambi dentro la stanza.
«Adesso parliamo», pronuncio usando un tono abbastanza contenuto.
«Perfetto, parliamo di quanto tu sia stronzo. Sai, ti riesce proprio bene usare quella maschera di indifferenza».
«Non è una maschera».
Inarca un sopracciglio. La rabbia non le è ancora scemata, il suo corpo è sul punto di scattare per qualsiasi cosa. «No? Che strano...»
Prima che possa continuare mi stacco dalla porta per avvicinarmi a lei. «Sei stanca e hai bisogno di riposo, uccellino. Domani ci rideremo tutti su. Funziona così in famiglia», provo un approccio diverso.
Si abbraccia. Un gesto che fa sempre quando si chiude a riccio. Sto iniziando a conoscerla. «Ma io non faccio parte della vostra famiglia».
Il sangue mi arriva dritto al cervello. «Credi che mia madre ti avrebbe fatta entrare in casa sua se non ti considerasse già una di noi?», sbotto, incapace di trattenermi oltre. «Non fare l'ingrata, uccellino».
«E tu smettila di usare quel tono con me. Non funziona! La verità è che ti sei comportato da stronzo dopo avermi fatto un pippone sul doversi comportare in un certo modo. Sei incoerente! E sei... sei davvero una delusione».
Come un proiettile, le sue parole raggiungono il mio petto forandolo sempre sullo stesso punto. Una mitragliatrice di battiti mi scuote e spalanco gli occhi cercando di non annaspare visibilmente. Massaggio il dorso del naso. «Non potevo intervenire».
«Perché? È stato meglio farmi umiliare? Oppure cercavi di rimettermi al mio posto usando qualcosa che mi ha distrutta», strilla, accusandomi. «Ti sei goduto lo spettacolo, non è vero? Sapevi che mi avrebbe fatto male!»
«Non intendevo...»
«Sei incredibile! Un vero sportivo come nemico. In fondo che cosa mi aspettavo? Non conto niente per te. Sono solo un gioco, una pedina!», scrolla la testa indietreggiando di un solo passo. «Avrei dovuto darvi filo da torcere. Invece, sono stata buona e zitta, in attesa di qualsiasi vostra mossa. Perché... perché sono solo un lavoro. Ammettilo e chiudiamo subito questa storia!»
Il suo tono di voce stridulo non mi piace, neanche la sua espressione torva e puntata addosso come un'arma. «Mi credi così meschino?»
«No, solo privo di sentimenti», ribatte aspra e talmente in fretta da freddarmi sul posto.
«Guarda che non sono una macchina come credi».
La mia voglia di dimostrarle che si sbaglia è più forte dell'istinto che mi urla di non avvicinarmi quando faccio un passo nella sua direzione. «Ti sbagli», comincio, azzerando la distanza che ci separa. Le afferro la mano e mi premo contro il petto il suo palmo freddo. «Credi che una macchina sia in grado di provare questo?», alzo il tono. «Le emozioni che mi provochi mi squarciano il petto di continuo, rischiano di distruggere il mio mondo, quello a cui ho lavorato per tanto, troppo tempo. Non vorrei sentire niente di questo spaventoso fracasso, credimi. Ma è impossibile, perché ormai sei lì. Tu sei ovunque».
Notandola immobile, faccio un altro passo avanti. Mi è subito chiaro ogni suo pensiero. I suoi incredibili occhi sono come portali aperti, dirottano alla sua anima. Nonostante sia sorpresa, non mi crede.
La rabbia prende il posto della calma. Passo la mano tra i capelli e la scrollo in un gesto spazientito.
«So cosa stai pensando».
«Non credo».
«Sai che ti dico? Trovarmi qui con te, è sbagliato. Le ragioni sono tante per cui non dovremmo stare insieme. Ma c'è una parte egoista di me che sente tutt'altro».
«Perché?», mi incalza, mettendomi in difficoltà. Non sono solito parlare così tanto, esprimere quello che penso e che tengo dentro è quasi estenuante. Non ho mai dovuto farlo.
«Perché è fottutamente perfetto, ed eccitante. Sfidiamo il destino, la famiglia, il passato, non ti basta?»
Morde appena il labbro. «Non credo. Sono ancora arrabbiata e convinta che tu sia uno stronzo della peggiore specie».
«Che cosa pretendi da me, uccellino? Ti avevo espressamente detto che non volevo nessun tipo di problema».
«Incredibile. Non mi stai neanche ascoltando», urla. «Ti ho detto che avevo bisogno di te, del tuo appoggio, e cosa hai fatto e continui a fare? Mi rimproveri come se avessi una bambina davanti e continui a ignorare la mia richiesta di aiuto. Be', sai che c'è? Veditela da solo con la tua famiglia! Preparati a tutto, perché ti renderò la vita un inferno, fino a quando non mi riporterai a casa mia!»
«Attenta a quello che dici», ringhio minaccioso, mentre davanti mi si para lo scenario in cui tutti prendono coscienza della realtà: ho rapito Eden, l'ho costretta a stare insieme ai Blackwell per arrivare a suo padre, alle risposte che merito di ottenere. Il mio piano non può andare a farsi fottere per delle minuzie. Soprattutto lei non può tornare a casa.
Eden mi affronta a testa alta. «Sei solo adesso».
«Lo vedremo».
Guardandomi intorno comincio a sentirmi soffocato, non vedo altro che una gabbia. Abbiamo entrambi bisogno di una boccata d'aria. Di smettere di urlarci contro. Non posso prendere a pugni o distruggere niente qui dentro. «Preparati, usciamo».
Mi fissa come se mi fossero appena cresciute tre teste. In effetti non ha tutti i torti. Ho sbraitato per gran parte del tempo e adesso me ne esco con quest'ordine; il tutto dopo che mi ha detto che non intende aiutarmi.
«Uscire?»
«Hai un minuto, poi trascinerò il tuo bel culetto di sotto, ti farò sedere nella mia auto e ti porterò in un posto».
Il sospetto si palesa sul suo volto stravolto dal panico che prima le ha annebbiato la mente. «Dove?»
«Meno di un minuto», la avverto, controllando l'orologio al polso.
Si agita. «Se è uno scherzo...»
Mi avvicino e lei squittisce allontanandosi. «Non è uno scherzo. Verrai vestita in quel modo?»
«Credevo ti piacesse. Non hai fatto altro che abbassare gli occhi sulle mie gambe durante la cena e forse anche sul mio seno».
«Ti esibirai su un palco per me?», la rimbecco, ignorando lo stupore. Credevo di essere stato cauto quando si è presentata con addosso un fazzoletto talmente sexy da avere solo voglia di strapparglielo di dosso a morsi.
Tutto quello che indossa, le dona. Tutto in lei è perfezione. Ha ammaliato il mio patrigno con la sua educazione, i miei cognati con le sue battute. Ha conquistato mia madre buttandosi tra le sue braccia come se avesse ritrovato una vecchia amica o un punto di riferimento.
«E tu stai per andare al cimitero di notte?», ribatte, lasciando scivolare i suoi occhi color tempesta lungo il mio corpo.
«Metti qualcosa di comodo».
«In pigiama potrei stare comoda».
Inspiro profondamente. Con lei è una continua battaglia. È eccitante e sfiancante allo stesso tempo.
«Anche nuda sul mio letto».
Avvampa. Ghigno perfido, intuendo di avere vinto. «Non hai portato dei vestiti normali?»
«Per normali cosa intendi? Posso uscire con le ciabatte che ti piacciono tanto, se ci tieni».
Inarco un sopracciglio. «Non oseresti...»
Punta il mento in alto. «Dici? Non starebbero bene con quello che indosso?», fa una lieve giravolta, di proposito.
I suoi fianchi ondeggiano un po', la stoffa le si solleva sulle cosce toniche e il mio cazzo riceve uno spasmo. Chiudo brevemente le palpebre, stringendo i denti. Mi sta provocando?
«Non sei normale», borbotto.
«Non voglio esserlo».
«Almeno su qualcosa siamo d'accordo. Allora andiamo, uccellino».
Lei fa un passo incerto quando apro la porta e mi scosto. Di passaggio, afferra la borsetta lasciata sul mobile e mi segue tenendosi a distanza.
In auto nessuno dei due parla. Lei si volta verso il panorama che ci circonda, senza commentare. I suoi occhi però assorbono tutto.
So che ancora una volta sto rischiando di essere scoperto, ma saremo entrambi lontani dalla famiglia e se dovesse succedere qualcosa, saprò come reagire.

Cruel - Come incisione sul cuore Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora