Capitolo 35

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DANTE

Vengo assalito dalla strana morsa che mi preme il costato. Non manca niente. Provo tutto. Diventa persino difficile mantenere la lucidità. «Mi dispiace, uccellino», mormoro accarezzandole distratto la testa, ascoltando il suo respiro lento. «Sei in pericolo a causa mia, della mia debolezza nei tuoi confronti. Avrei dovuto mandarti via, inscenare la tua fuga. Donarti quella libertà che hai cercato la notte in cui hai tentato di salvarti da sola. Invece sono stato egoista. Un gran figlio di puttana. Ti ho permesso di sostare e poi restare nella mia vita incasinata al punto da farti male».
Più la guardo, più mi innamoro. È bella come le cose che ti spingono oltre i tuoi stessi limiti. Bella come luce con cui ti scontri, ti bruci, ci riprovi, ti riscaldi.
Me ne sto sdraiato sul letto, ore dopo avere vissuto l'inferno e avere sfiorato con mano la vendetta.
Inquieto, fisso il tetto in questa stanza decisamente spoglia, arredata da mobili scuri e pareti dipinte di un tono di rosso simile al sangue. È tutto molto cupo, fatta eccezione per la figura addormentata al mio fianco; dal suo profumo, dolce, tenue e incredibilmente femminile che emana riempendo la stanza, le lenzuola, ogni parte di me, mentre se ne sta rannicchiata tra le mie braccia.
Da poco si è scatenato un temporale. Nuvole scure continuano a inseguirsi, a scontrarsi nel cielo illuminando l'ambiente. La pioggia cade pesante e picchia contro le vetrate. Un tuono rimbomba nell'oscurità della notte e Eden sembra riscuotersi per poi riprendere a sonnecchiare. Le sistemo meglio il lenzuolo sulle spalle e le premo le labbra sulla tempia.
«Uhm, Dante, che succede?»
Il timbro della sua voce raggiunge ogni terminazione nervosa e per istinto stringo appena la presa. «Niente. Dormi un altro po'».
Non ho nessuna intenzione di interrompere il suo sonno per parlarle di ogni mia preoccupazione e della chiamata con Parsival. Anche se è stata breve, quest'ultima, mi ha provocato un nuovo senso di ansia. Proprio quello che lui sperava di trasmettermi mentre mi chiedeva senza giri di parole uno scambio.
Rivuole suo figlio, intero, insieme a dei documenti. In cambio mi darà qualcosa, forse delle informazioni su mio fratello.
Posso fidarmi? Continuo a rimuginarci sopra mentre le ore scorrono veloci e il tempo a mia disposizione si avvicina sempre di più allo scadere.
Eden sporge il braccio, le sue dita vanno a tentoni fino a raggiungere il bottone e ad accende la luce posta sul comodino; facendo una smorfia quando i suoi occhi vengono colpiti dal raggio di luce calda. Sbatte infatti di riflesso un paio di volte le palpebre per mettere a fuoco e quando ci riesce, notandomi preoccupato, mi afferra il viso con entrambe le mani. «Che succede?»
Chiudo un momento gli occhi. Non sono poi così in imbarazzo con lei. Farmi vedere vulnerabile, aprirmi come non ho mai fatto con nessun'altra, mi fa sentire meno solo. Perché so che lei a prescindere da tutto, mi ascolterà. Sarà lì a tendermi la mano.
Eppure, nonostante io sia incoraggiato dal suo sguardo pieno di calore, non trovo le parole. So che si sentirà comunque ferita per non averla svegliata e non averle fatto ascoltare niente delle parole sprezzanti dell'uomo che prima di poche ore fa chiamavo ancora zio. Colui che si è rivelato il peggior uomo esistente sulla faccia della terra.
«Ha chiamato», confesso. Non voglio più avere segreti con lei.
Eden nasconde la delusione, proprio come mi aspettavo, decidendo però di assumere un atteggiamento che mi dà la conferma di quanto lei sia cambiata e cresciuta nel corso dei mesi trascorsi insieme.
«Che cosa vuole? Ha posto delle condizioni?»
«Prima non te l'ho detto perché eri stanca, abbiamo Coleman».
I suoi occhi si spalancano. Cerca qualcosa da dire per non replicare aspramente o rimproverarmi. Apre e richiude infatti la bocca prima di riuscire a balbettare: «Lo avete... rapito?»
«Direi preso sotto custodia. Ci serviva... come dire senza sembrare uno stronzo», gratto la nuca.
«Risparmia la ricerca del termine. Che eri fuori di testa e pronto a tutto lo sapevo già», ribatte come se si fosse ormai abituata. «Vuole lui, mi sembra ovvio. Ma in cambio cosa ti darà? Siamo certi che lo farà?»
Mi stringo nelle spalle. «A dire il vero non mi fido, in quanto è stato vago al riguardo».
Riflette spostando l'attenzione verso la finestra. Il temporale continua ad abbattersi rumoroso ovunque. Come se persino il cielo volesse sommergere chiunque con la sua tristezza.
«E tu lo farai? Lo incontrerai? Potrebbe essere solo una trappola per fartela pagare, Di».
Torno a fissare il soffitto. «Devo parlarne con i miei uomini, anche se non spetta a loro decidere. La verità è che non ho poi così tante alternative, uccellino. Se voglio chiudere questa storia e trovare mio fratello, devo braccarlo. E se per farlo devo usare Coleman, lo farò senza sentirmi in colpa per quello stronzo».
Non replica subito. Ascolta con attenzione e rannicchiandosi contro il mio petto sospira. «Cosa pensi di fare?»
«Dovrò chiamarlo per renderlo partecipe della mia decisione. Ma sarò io a dirgli ora e luogo dell'incontro».
Gioca con i miei tatuaggi soffermandosi sul piercing al capezzolo. «Perché lo circonderai, lo farai confessare e poi lo metterai dietro le sbarre?»
«Il piano è quello. Con Parsival però bisogna sempre fare molta attenzione. Mentre mio padre è sempre stato una sorta di libro aperto quando si tratta di vendetta e punizioni, Parsival è l'opposto».
Rabbrividisce e credendo che abbia freddo le sollevo il lenzuolo sopra le spalle baciandole la fronte in un gesto istintivo e spontaneo. Lei strofina la punta del naso sul mio avvicinandosi alla mia bocca. «Hai un piano B?»
Mi lascio accarezzare dal suono della sua voce, dalla piacevole vibrazione che mi si propaga nel corpo a ogni suo breve contatto. Mi piace il modo in cui riusciamo a capirci al volo. «In un modo o nell'altro, sarà lui quello in ginocchio».
Mi bacia. Lo fa con delicata attenzione. Io ricambio come un tossico, sentendomi sempre più ebbro e bisognoso.
Piegandomi verso di lei, raggiungo quel punto sensibile sotto l'orecchio lasciandovi un minuscolo bacio. A Eden il mio gesto provoca la pelle d'oca. Trema per la sensazione.
Insoddisfatto, ripeto il gesto facendola ansimare sotto le carezze dei miei baci sempre più profondi a contatto con la sua pelle delicata. Le sorrido notando il modo in cui i suoi capezzoli si intravedono al di sotto della seta colorata che indossa. Ma ho intenzione di rispettare il suo corpo. Di non spingermi troppo oltre perché non voglio che si senta usata o abbia una crisi dopo quello che ha passato a causa di quel bastardo.
Le mie mani premono e scivolano lungo la sua schiena, fino a raggiungere le sue natiche. Gliele strizzo appena e dalla sua bocca sfugge un verso che mi fa arrapare così tanto da serrare gli occhi e stringere i denti per non grugnire e agire come un animale.
«Uccellino!»
Il mio ammonimento non sortisce l'effetto sperato perché Eden si sistema su di me e stringendo la presa sulle mie guance, continua a baciarmi e inizia a muovere il bacino facendo scontrare i suoi slip lilla contro la mia dura erezione sotto i boxer.
«Che hai intenzione di fare?»
Morde e tira il mio labbro inferiore. «Sei teso. Arrabbiato. Confuso», ansima. «Hai bisogno di ritrovare il tuo centro e essere lucido».
Le strizzo le natiche con forza maggiore dopo avere infilato i palmi sotto il tessuto. «Uccellino!»
«Lasciamelo fare», quasi piagnucola affannata. «Tu mi salvi sempre. Permettimi di fare lo stesso».
Un timore improvviso mi afferra e mi trascina in uno strano baratro fatto di insicurezza. È del tutto irrazionale quello che mi provoca il pensiero di non vivere ancora la passione che sento per lei. Una paura con cui non pensavo di dovere fare i conti mai più dopo averla quasi persa.
«Di, sto bene. Sono talmente lucida da non avere nessun ripensamento su quello che desidero di più. E adesso, ti voglio. Io, io ti voglio. Ho bisogno di saperti mio. Che io sia tua», parla con calma, ma nei suoi occhi brilla una fiamma.
Mi arde il petto per il significato che sta assumendo questo momento. Per l'amore non programmato che mi ha trovato e mi si è aggrovigliato dentro con le sue contraddizioni, i suoi limiti da superare, e tutte quelle sensazioni da gestire.
Interpretando il mio silenzio come un consenso, sorride. Sollevandosi, sfila dalla testa la canottiera lunga di seta mostrando i suoi seni pieni e sodi. I capezzoli sono duri e la mia bocca per poco non gocciola saliva alla vista del suo corpo nudo con quella nuova cicatrice a renderlo ai miei occhi, unico, mio.
Scosta i capelli dietro la schiena, afferra le mie mani e le lascia scorrere sul suo corpo. Si preme poi sul mio petto guidando il mio palmo tra le sue cosce.
Le mie dita giocano con il tessuto dell'intimo che ha ancora addosso ed è umido.
Mi sorride. «Lo so che lo vuoi», mi provoca.
Chiudo gli occhi sentendomi esposto, eccitato e sul punto di perdere il controllo.
Comincia a baciarmi il petto spostandosi verso il piercing. Prende a leccarlo facendomi contorcere dal piacere, specie quando tira appena la pallina e poi fissandomi negli occhi scende giù sparendo sotto il lenzuolo. Sento le sue piccole mani tirare verso il basso l'elastico dei boxer e impugnare il mio membro già duro come marmo.
Provo a parlare, ma è tutto sconnesso quando le sue labbra sfiorano appena la punta.
Nelle vene, al posto del sangue, scorre impetuoso un fiume di desiderio.
Vengo colpito da una fitta di piacere talmente intensa da sentire il fuoco divamparmi sottopelle. Non è niente di semplice, di descrivibile. Il sentimento che mi provoca, sfiora quel lato emotivo barricato per troppo tempo.
«Cazzo!»
La mia mano cerca la sua nuca, l'afferro prima che possa venire nella sua bocca così calda, e con una mossa agile, capovolgo la situazione spingendola sotto il mio peso. Mi avvento sulla sua bocca mentre lei mi si avvinghia e tenendomi stretto mi spinge a desiderarla ancora di più.
«Mia, mia, mia», continuo a sussurrarle mentre con un gesto rude, le strappo gli slip facendola sussultare. Senza fermarmi a pensare, sentendo il nostro bisogno, mi spingo dentro di lei provocando a entrambi un verso roco.
Eden, sentendomi tutto dentro, si inarca e allargando le cosce mi permette da questa angolazione di spingermi con forza maggiore.
Al suo sussulto, chiedo: «Ti faccio male?», mi assicuro che non abbia ripensamenti, che voglia davvero tutto questo. Anche se mi ucciderebbe fermarmi proprio adesso, lo farei per lei.
Nega. «Continua!»
Sentirmi avvolto come un guanto da lei, mi scarica una lunga e potente scossa lungo la spina dorsale. Tenendola ferma per i fianchi, la scopo a un ritmo convulso. Sudore si attacca sulla nostra pelle e il calore si diffonde sulle sue guance.
«Di!», mi avverte affondando le unghie sulla mia schiena.
Lo so. So che è vicina ad avere un orgasmo. Lo sono anch'io. Specie quando le sue cosce mi strizzano i fianchi e la sua bocca mi tocca sotto l'orecchio. Le mordo la spalla mentre fiotti caldi la riempiono tra gli spasmi dell'orgasmo.
Il mio corpo si incendia, torna in vita grazie al suo tocco, al suo sapore, alla sua pelle a contatto con la mia.
«Cazzo, è così bello sentirti, averti tra le mie braccia, possederti».
Annebbiato, la guardo negli occhi e riprendo a baciarla. «Ti amo».
Mi sfilo da lei, mi sdraio e apro le braccia sorridendole come un ragazzino. L'accolgo mentre i nostri respiri fusi in un unico verso distorto, si regolarizzano.
Eden si mette comoda, mi bacia il mento. «Meglio?»
«Mi prudono le mani al pensiero di averti fatto male con la mia irruenza. Prima o poi il tuo sedere avrà un incontro indimenticabile e il colore di una fragola».
Ride. «Finché potrò evitarlo...», di proposito lascia in sospeso la frase, sollevando al contempo le sopracciglia con aria allusiva.
La attacco facendole il solletico. Ride. Ride a pieni polmoni cercando di fermarmi.
Quando smetto, con le dita della mano ancorate ai suoi piccoli polsi, tenuti sopra la testa, il suo petto a sfiorare il mio, per poco non mi perdo.
«Non smettere», le dico.
Non capisce e glielo spiego. «Non smettere di ridere. Non farlo mai. Perché credo di essermi innamorato ancora di più ed è questo di cui ho bisogno. Di te che mi sorridi. Di te che riporti il sole nei miei giorni grigi. Di te che sei cura e vita».
Scuote la testa arrossendo. Non si abituerà mai ai miei momenti di dolcezza. E mi sta bene così. Perché vorrà dire che la sorprenderò ancora e ancora pur di rivedere quell'espressione.
«Lo so che non ti sei davvero rammollito con tutto questo zucchero. Adesso riposiamoci», mi butta giù, per riposizionarsi comoda contro il mio petto.
Notandola pensierosa, le mordo il lobo dell'orecchio. «Dimmi tutto, uccellino».
«Ero così sola e smarrita prima di incontrarti», mormora, giocando distratta con le mie dita. Il movimento delicato mi provoca minuscole scariche elettriche che non hanno niente di tanto intenso del semplice solletico sulla pelle. Premo in risposta le labbra contro la sua tempia.
«Sei riuscito a notare ogni mio vuoto e non ti sei limitato solo a riempirlo. Tu hai reclamato il tuo posto qui, nella mia anima graffiata e piena di segni, e hai acceso la speranza dove c'è sempre stata l'ombra di un dolore permanente», prosegue con voce pacata, spostando le nostre mani intrecciate verso il suo cuore. «Grazie per essere arrivato e per avermi dimostrato che l'amore non ha la forma di un livido», aggiusta le coperte e chiude gli occhi, lasciandomi con il cuore sul punto di scoppiare e gli occhi lucidi.

Cruel - Come incisione sul cuore Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora