Capitolo 8

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EDEN

Bello.
Ipnotico.
Impossibile allontanarsi dalla magia che riesce a creare senza il minimo sforzo, con uno solo dei suoi sguardi. Con quel fascino crudele che ti si incastra dentro non lasciandoti scampo. Dante ha uno strano modo di infilartisi nelle ossa. Non chiede il permesso per incidertisi dentro. E questo... inizia a farmi paura.
Che cosa sia successo pochi minuti prima, non riesco a spiegarlo a quella parte di me che continua a urlarmi di fare attenzione. So solo che non mi aspettavo di trovarmelo davanti tanto presto.
Per tutta la serata, dopo quel giochino psicologico con il chiaro intento di umiliare Coleman e di avvertirmi di non fare cazzate, non ha fatto altro che tenersi a debita distanza. Io... ho solo ricambiato la cortesia. Anche se lo ammetto, ho continuato a guardarmi intorno, a cercarlo, e quando l'ho visto con quella donna che gli si è letteralmente avvinghiata addosso, mi sono lasciata colpire da una fitta. Non di gelosia. Solo una rabbia che non credevo di potere provare. Perché quella donna non ha fatto altro che fissarmi come se fossi l'ultimo biscotto rotto di una confezione perfettamente integra, e criticarmi con le amiche per gran parte della serata, proprio come se non fossi lì. Non hanno avuto neanche la decenza di farlo altrove o in maniera poco evidente. Cosa che avrei gradito.
Ho avuto il sospetto che con quell'atteggiamento cercassero solo l'occasione giusta per generare una rissa. Cosa che per fortuna non è avvenuta né in pista, né dentro il bagno quando quella donna mi ha superata dandomi una spallata di avvertimento.
Andare da Dante è stata la sua dimostrazione di possesso. Forse spinta dal fatto che lui mi ha praticamente freddata al mio posto per tutto il tempo in cui sono rimasta seduta al tavolo.
Quando sono andata a ballare invece, non so cosa sia successo. L'ho visto insieme al fratello, stavano parlando, ma ero talmente felice di potermi muovere al passo di musica senza che qualcuno mi fermasse, da non pensare a nient'altro.
Sciacquo i polsi con acqua fredda.
Questo bagno nel complesso è grazioso, spazioso e pulito. Piastrelle marmorizzate nero e bianco, due lavandini su un ripiano rettangolare incassato alla parete, sulla quale è stato appeso l'enorme specchio dagli angoli smussati.
Posizionata sotto le luci bianche, Joleen estrae dalla borsa il rossetto rosso fiamma e comincia a ritoccare quello già precedentemente applicato sulle labbra. «Non è come pensi».
«Non ho detto niente», infilo la mano dentro la mia borsetta cercando il flacone con le mentine alla liquirizia tra le mie poche cose rimaste all'interno dopo che qualcuno deve averci frugato dentro. Il pensiero che possano avere lasciato le loro impronte su ogni singolo oggetto in mio possesso, mi fa annodare lo stomaco.
So che hanno dovuto controllare per non ricevere altre sorprese da parte mia, ma è come se l'avessero fatto di proposito per annichilirmi. L'istinto quando ho aperto il borsone e me ne sono accorta, è stato quello di buttare via tutto quanto.
La voce di Joleen mi riporta alla conversazione. «Mi riferisco a Dante. Lui... poco fa si è comportato in modo strano con te. Vedi...»
È così insicura da tentennare. La cosa tende a darmi sui nervi. Mi volto e appoggiata al ripiano, incrocio le braccia al petto. «Inutile tentare di giustificare il suo atteggiamento. Mi odia perché sono una Rose. Non è difficile intuirlo. Mentre gli altri sono stati gentili, anche se per portarmi a letto, lui non ha neanche nascosto che non gli piaccio. Adesso che lo abbiamo messo in chiaro, possiamo uscire da questo posto? Inizia a essere deprimente persino per me».
Sto parlando talmente veloce e concitata da non riuscire a trattenere quello che provo. Vista da fuori sto apparendo frustrata, pertanto mi ricompongo avviandomi alla porta. «Non mi interessa che sia gentile o che continui a starmi col fiato sul collo. So che sono una prigioniera», apro la porta. «Mi piacerebbe che tutti sapessero solo che non sono come mio padre, qualunque sia la ragione dell'odio nei suoi confronti».
«Aspetta!», Joleen si scongela dalla postazione per avvicinarsi. «Forse ti sbagli su una cosa».
«Davvero? Illuminami allora», replico con finto sarcasmo e la voglia di alzare un paio di volte gli occhi al cielo.
«Dante ti ha guardato per tutto il tempo e credimi, non è da lui. So che te ne sei accorta. Ti posso assicurare che non l'ha fatto neanche perché doveva tenerti d'occhio su ordine di Seamus. Quello sguardo...»
«Devi imparare ad accettare il fatto che anche tu sbagli nel valutare le persone, Joleen. Lo conosci da tanto, vero, ma non puoi dimenticare che le nostre famiglie si odiano. Solo che lui non nasconde quello che mi farebbe e io, lo accetto. Anzi, lo ammiro per questo. Non è da tutti mostrare con quale carta si sta giocando».
«Ma tu non sai...», la sua voce si affievolisce. Joleen è appena stata messa a tacere dalla mia espressione contrariata e stanca di spiegazioni inutili.
Usciamo dal bagno e veniamo investite dall'olezzo emanato dalla folla e dal locale in generale che deve avere un sacco di anni alle spalle; nonostante sia stato ristrutturato di recente, come ho sentito dire da due guardie impegnate a chiacchierare del più e del meno. L'insegna all'esterno ne è la prova.
Joleen mi indica la porta sul retro. «Andiamo a prendere una boccata d'aria. Ci farà bene a entrambe. Ne approfitto per fumare una sigaretta».
La seguo mentre fruga dentro la borsetta Chanel fucsia.
Osservandola con attenzione maggiore, nelle poche ore in cui ho avuto a che fare con lei, ho appreso che le piace vestirsi alla moda e ha buon gusto. Sono ancora stupita dal fatto che sia un avvocato.
«Merda!», impreca di punto in bianco. «Dobbiamo tornare indietro. Ho lasciato le mie cose sul tavolo. Nel bagno quando ho preso il rossetto non me ne sono accorta».
«Non puoi chiedere a qualcuno di portartele?», domando, incapace di nascondere la mia poca voglia di tornare a quel tavolo e di avere a che fare con tutti quegli uomini. Per fortuna c'era Terrence a sottrarmi dal loro radar. Anche se un po' mi dispiace che sia stato costretto a farmi da balia per gran parte della sua serata libera.
Joleen scruta me poi l'entrata. Mette una mano sul fianco assottigliando la palpebra destra. «Hai intenzione di scappare? Per questo hai così tanta fretta di raggiungere l'esterno?»
«Non so nemmeno dove siamo, dove dovrei andare esattamente? Prima è vero ci ho pensato. Ma ho capito che non siete tutti fuori di testa come volete far credere. Il minimo che io possa fare, data l'accoglienza, è restare con voi», spero di essere convincente. Ho bisogno di uscire da qui, in fretta.
Pesca il telefono. «Avviso Terrence. Fermiamoci un momento qui all'entrata. Vedi di non fare cazzate».
Quando sono sicura che abbia quello che le serve e mi fa cenno di andare, mi accingo ad uscire dalla porta sul retro. Scendo la scalinata in ferro battuto e mi ritrovo in un vicolo chiuso da un lato da un muro di cemento, illuminato e silenzioso.
Mi appoggio all'infferriata. Mi volto e solo ora mi accorgo che Joleen non è scesa.
Questo mi distrae, abbastanza da non sentire il portone al di sopra che si richiude e da avvertire troppo tardi i passi affrettati di qualcuno sui gradini; questi rimbombano intorno, aumentando i miei battiti.
Qualcuno si sta avvicinando e non è Joleen quella a raggiungermi. Rimango impietrita di fronte a Coleman.
In altre circostanze, lui e Darrell potrebbero essere migliori amici. Hanno lo stesso portamento, lo stesso sguardo poco comunicativo e degno di un giocatore di poker, quel luccichio negli occhi scuri che conosco bene. Lo aveva anche Darrell, poco prima di attaccarmi o fisicamente o psicologicamente. Significa solo una cosa nel linguaggio di uno psicopatico: dolore da infliggere.
Sin da quando si è fatto avanti, ho avuto la sensazione di averlo già visto da qualche parte. Ma si sa, a volte la memoria può ingannare. È solo che ha un viso familiare...
«È qui che ti sei rifugiata?»
La paura mi scende lungo la spina dorsale, risale e mi morde lo stomaco quando noto il modo in cui mi sta radiografando, passando lascivamente dalle labbra al petto fino alla mie gambe, senza il minimo cenno di pentimento. Sembra piuttosto divertito dalla situazione. Come se avesse calcolato tutto e fosse pienamente soddisfatto.
«Rifugiata, mi sembra eccessivo come termine. Avevo bisogno di un po' d'aria e Joleen doveva fumare. Era proprio dietro di me...», allungo il collo per controllare.
Lui si volta appena verso le scale, lecca le labbra e abbozza un sorrisetto. «Dubito tornerà a breve. Come dire... è stata trattenuta».
Qualcosa non va.
Merda, merda, merda.
Rimpicciolisco quando mi si avvicina, appoggiandosi con la schiena alla parete della struttura. Accende una sigaretta e mi sorride proprio come farebbe un clown assassino; sta valutando come sferrare la sua prossima mossa.
La sua corporatura è il doppio della mia. Senza nessuno nei paraggi, sono spacciata in partenza. Ma non posso crollare. Non posso dargli la soddisfazione di vedermi spaventata o in lacrime.
«Forse dovrei rientrare. L'ultima volta che stavo tagliando la corda non è andata bene», provo a salire un gradino.
La sua voce mi ferma. «Ci sono io al posto di Terrence o di Joleen. Non preoccuparti. Per quanto riguarda Dante, be', a lui non importa e condivide sempre. D'altronde siamo in famiglia», sibila. Il suo sorriso mi raggiunge alle spalle e trattengo talmente tanto il fiato da rischiare di svenire.
«Davvero?», gracchio, nascondendo il sussulto che mi provoca appena con le dita mi sfiora una ciocca di capelli sfuggita dallo chignon basso. Mi volto lentamente, ritrovandolo a sovrastarmi. Non c'è spazio a sufficienza per il movimento.
Coleman è molto alto. Potrebbe essere bello per definizione ma di una bellezza quasi creata di proposito per fotterti il cervello. È una sorta di impostore silenzioso e, a quanto pare, veloce.
«Uhm, uhm», replica spegnendo il mozzicone. «Possiamo approfittare di questo tempo per conoscerci meglio. Che te ne pare?»
«Devo andare a recuperare la mia giacca. Sento un po' di freddo e non vado d'accordo con le basse temperature», provo ancora a salire le scale, consapevole di essermi esposta.
Questa volta Coleman mi afferra. Lo fa senza delicatezza, riportandomi bruscamente alla realtà dei fatti e spaventandomi a morte.
In modo semplice, mi ha appena immobilizzata senza darmi la possibilità di ribellarmi. La sua mano premuta contro la mia bocca ne è la prova. Non sono riuscita neanche a urlare.
Con la mano libera mi stringe la gola. Lo fa con forza e senza pietà alcuna.
Davanti a me ho un individuo spietato, fatto di acciaio.
Non posso credere che stia succedendo davvero. Dentro, mi si apre il vaso di Pandora e il panico che negli ultimi minuti ho tentato di sedare, prende il sopravvento. Immagini di Darrell, tutto quello che mi ha fatto passare, mi investono. Strizzo gli occhi nel tentativo di scacciare ogni brutto ricordo. Ma sono così radicati dentro di me da non permettermi di uscirne incolume.
«Buona. Sssh, sssh, sta' buona», Coleman annusa la mia pelle.
Desidero così tanto fargli del male. Mi piacerebbe vederlo provare un minimo del dolore che sta infliggendo a me con un gesto. Un unico è distruttivo gesto.
Con un braccio mi circonda il petto schiacciandomi a sé. Il suo fiato caldo sulla spalla nuda mi disgusta così tanto da farmi salire una certa nausea.
Con un ghigno fa scivolare la mano in mezzo alle mie gambe. Quel tocco rozzo, irradia brividi in ogni parte del mio corpo in tensione.
«Fa' la brava», sussurra affondando le unghie nella carne, avvicinandosi sempre più verso il tessuto dei miei slip. «La mia auto si trova proprio dietro l'angolo. Seguimi senza tante storie e non ti farai male, dolcezza».
Chiamalo istinto di sopravvivenza, chiamalo ultimo atto di coraggio contro un sadico figlio di puttana o semplicemente stupidità... reagisco. Per niente al mondo seguirò questo maledetto animale.
Artiglio entrambe le mani sul suo braccio, riuscendo a fargli mollare la presa provocandogli un graffio abbastanza profondo. Il tutto dopo avere caricato e avergli dato una gomitata prendendolo sul fianco.
Non sapendo che altro fare, nel voltarmi e ritrovandolo pronto ad azzannarmi, gli assesto un colpo in mezzo alle gambe con il ginocchio e finalmente ritrovo la voce per urlare.
Ma non sono abbastanza veloce. Non ho la fortuna sfacciata che ho avuto quando mi hanno rapita e ho elaborato su due piedi un piano.
Coleman sembra preparato a tutto. Mi si avventa contro mollandomi uno schiaffo abbastanza forte e sonoro da farmi perdere l'equilibrio e da aprirmi in due l'angolo del labbro. Mi afferra, mi sbatte contro la parete e mi immobilizza entrambi i polsi, facendomeli sfregare contro la parete alle mie spalle.
«Allora non sei una santa come vuoi far credere», ringhia tenendomi le braccia dietro la schiena con una mano sola, affondando l'altra tra le mie gambe. Questa volta riesce a raggiungere gli slip e le sue dita mi toccano, mi invadono, mi fanno sentire sporca e piccola e sciocca.
Lo schiaffo sulla guancia, il bruciore sulla pelle lesionata, non lo sento pulsare come il mio battito sempre più scostante.
«Lasciami!», strillo cercando di allontanarlo. «No! Non voglio!»
«Credi che ti sentirà qualcuno?», affonda il viso sul mio collo. Inala di proposito facendomi accapponare la pelle, in particolare quando prova a leccarmi il rivolo di sangue che sta raggiungendo il mento.
«Fermati! Basta!»
«Qui non sei nessuno. Non hai alcuna protezione. Sei mia quanto di ogni singolo uomo presente lì dentro», morde il mio collo. «E io ho intenzione di godermi ogni singolo morso di questa pelle delicata e profumata alla rosa. Ho intenzione di averti tutta per me prima di lasciarti agli altri come un avanzo. Rifletti bene, Eden. Hai due opzioni. La prima, continui a usare tutte le tue forze per combattermi, con il chiaro risultato di farmi eccitare ancora di più. La seconda, ti arrendi e mi offri spontaneamente ciò che voglio. Sarà indolore, lo prometto», ghigna leccandosi le labbra. «Forse».
Ho capito che è una trappola. In ogni caso a pagarne le conseguenze, sarò io.
Provo a spingerlo, non riuscendo nell'impresa allora gli sputo in faccia. «Lasciami, lurido animale!»
Ride in maniera sinistra. «Che ti avevo detto, piccolo bocciolo di rosa?», serra la presa tra le mie gambe e dalla mia bocca sfugge un singulto seguito da un urlo strozzato quando con un dito prova a penetrarmi mentre il suo pollice fa pressione sulla carne sensibile.
Mordo forte la lingua.
Chiudo gli occhi.
Smetto di dimenarmi contro di lui.
Aspetto che tutto finisca.
«Non impari mai, piccolo Cole?»
La voce vicina di Dante mi spezza il respiro. Posizionandosi sotto il lampione, appare come un Dio arrabbiato.
Afferra Coleman per il bavero della camicia, lo solleva come un pupazzo allontanandolo da me e lo sbatte contro l'inferriata, tenendolo abbastanza in bilico da poterlo fare precipitare da circa una rampa.
«Questa volta hai superato il limite».
Coleman reagisce. «Come osi...»
Indietreggio. Scivolo sul gradino, picchio i palmi e mi faccio male, ma riesco a superare parte dello shock e a non vomitare percependo ancora la sensazione della mano di Coleman nella mia intimità, per salire di corsa le due rampe e chiedere aiuto.
Entro nel locale barcollante e corro alla ricerca disperata di Terrence o Faron.
Il mio fiato corto e le lacrime sull'orlo delle palpebre, mettono in allerta quest'ultimo. I suoi occhi scandagliano il mio corpo. Appena vede il resto dei graffi tra quelli in via di guarigione, si incupisce.
Non attendo neanche che me lo chieda. Non c'è altro tempo da perdere.
«Fuori...», tremo, mi abbraccio. «Coleman, lui mi ha... allora Dante...», non riesco a parlare. Mi sento una stupida mentre mi agito senza voce e senza più aria, continuando a gesticolare.
Ma Faron deve avere colto il messaggio perché richiama con un fischio Terrence e Nigel. Chissà come tra musica, risate e bicchieri che cozzano sui tavoli, i due lo sentono e scattano nella nostra direzione.
«Joleen, dov'è?», chiede Faron con la fronte corrugata, controllando intorno a sé per avvistarla. Ma di lei non c'è alcuna traccia.
Adesso che faccio lo stesso, mi rendo conto che all'appello mancano i due bestioni che ho visto affiancarsi costantemente a Coleman.
«Lei... mi teneva d'occhio. Mi sono distratta un attimo quando sono scesa le scale e...», porto le mani sul viso. «E se le fosse successo qualcosa?»
Faron sentendo le mie ultime parole per poco non strabuzza gli occhi, ma ha la decenza di mantenere il controllo. «Sa badare a se stessa. Tu piuttosto hai bisogno di essere medicata», mi rassicura e mi redarguisce, ancora in parte sorpreso dal fatto che io possa essere preoccupata per uno di loro più che per me stessa. «Al momento abbiamo un problema più grosso da risolvere dei miei lividi», ribatto con voce stridula.
«Dove si trovano Cole e Dante esattamente?»
«Coleman stava tentando di prendermi con la forza. Ho reagito, si è fatto violento e quando pensavo che fosse tardi... è arrivato Dante».
Non ho modo di concludere il resto del racconto. Non che ci sia poi così tanto da dire, a parte il fatto che sono stata tanto ingenua e spaventata da arrendermi. Questa sconfitta probabilmente continuerà a bruciarmi dentro, proprio come le altre che ho accumulato per anni restando in silenzio.
Faron parte verso l'uscita secondaria del locale. Terrence lo segue a ruota.
Siamo quasi alla porta quando Joleen appare in mezzo alla folla scapigliata e sconvolta. «Qualcuno mi ha afferrata, mi ha tappato la bocca, trascinata, spinta e rinchiusa dentro il fottuto sgabuzzino! Non ho avuto neanche il tempo di...», si accorge del mio terrore, dei miei lividi e anche lei, senza fare domande, esce fuori di corsa. I suoi tacchi ticchettano sui gradini, preannunciando qualcosa di funesto quando raggiunge il vicolo al di sotto. Ma si ferma, proprio come gli altri.
«Tu...», indica rabbiosa Coleman. «Mi hai davvero fatta toccare da quelle due bestie? Sei fuori di testa! Pagherai per quello che hai fatto a me e a Eden!»
«Volevo solo farmi un giro con il nostro bottino. Non pensavo facesse tanto la difficile». Coleman mi sorride osando persino farmi l'occhiolino; scrollandosi al contempo le mani di dosso di Faron solo per portare il dito in bocca. Lo stesso che stava per...
Distolgo lo sguardo disgustata e umiliata.
Faron se ne accorge, intuisce e irato sbraita: «Tocca ancora la mia donna e Eden e ti faccio fuori!», lo avverte strattonandolo.
«Era solo per tenerla impegnata. L'ho fatto per gioco. Rilassati, Far. Andiamo ragazzi, erano partite le scommesse. Volevo vedere se riusciva a resistere. Ma con voi tra i piedi è impossibile anche solo avvicinarsi alla principessa».
Stringo i pugni in vita. «Resistere a cosa? Nessuno ti ha mai insegnato che un no è un no?», pronuncio ogni parola con rabbia crescente. «Sei una bestia! Uno psicopatico! Avvicinati ancora a me e ti faccio fuori!»
Coleman non si lascia intimidire. «Ripeti quello che hai detto, puttanella. Ripetilo e ti strappo la lingua a morsi».
«Andiamo», Faron lo spinge. «Noi due dobbiamo fare quattro chiacchiere. Ti sei perso le ultime riunioni di famiglia e a quanto pare sei andato contro un ordine. Anche se conoscendoti penso che tu sappia già tutto e hai solo creato questo casino di proposito per stuzzicare Dante».
Coleman sputa a terra del sangue.
«Regole del cazzo. Non ci servono per toccare quella piccola troietta!», mi manda un bacio volante. «Tranquilla tesoruccio, riprenderemo presto da dove siamo stati interrotti. Non ci vorrà molto e sarò dentro di te», ride, mentre Nigel lo trascina via dal vicolo spingendolo un paio di volte, urlandogli di smetterla.
«Viscido pezzo di merda!», ringhia Terrence affiancandosi. Preme delicato la mano sul mio fondoschiena. «Eden, stai bene?»
Mi divincolo e mi scuso silenziosamente per la reazione quando noto che ha appena sussultato allontanandosi con le mani bene in vista.
Massaggio i polsi arrossati, apro bocca per rispondere, ma Dante avanza con intento predatorio. Così tanto che per un momento dimentico persino chi sono e di respirare.
Alto, fiero, spietato.
Dannatamente attraente.
Trattengo il fiato fino a quando non me lo ritrovo di fronte.
«Da qui in poi, penso io a lei», usa un tono di voce profondo. Raggiunge le mie spalle e mi scivola lento, come una gocciolina di pioggia, lungo la schiena. Mi si stringe lo stomaco, mi sento in bilico. Ma so che non posso precipitare ancora una volta in quel dirupo profondo e pieno di insidie della sua anima.
«Ci vediamo tra poco. Recupera Andrea e portala da Nigel».
«Ma...», Terrence smette di parlare e si allontana, continuando a controllarmi a ogni passo.
Joleen che ha rimesso in ordine la sua chioma bionda, con un cenno mi chiede di seguirla senza protestare.
«Torniamo a casa».
Non riesco a smettere di fissare Dante. Ha la postura di chi sta per esplodere. Rimango per tutto il tempo in cui ci scorta in auto come un soldatino di piombo, ad attendere il momento della deflagrazione. Cosa che ad un certo punto succede.
«Mi dispiace tanto, Eden».
Dante si volta di scatto verso di lei. «Ti dispiace? Non sarebbe accaduto se solo non ti fossi fatta cogliere alla sprovvista e avessi fatto maggiore attenzione. Neanche se qualcuno di voi una volta tanto si attenesse a delle fottute regole da parte del sottoscritto! Inoltre è lei che dovrebbe scusarsi. Non avrebbe dovuto fare gli occhi dolci a chiunque stasera! Non avrebbe dovuto attirare così tanto l'attenzione su di sé!», sbraita premendo il piede sull'acceleratore, l'auto balza in avanti e sono costretta a reggermi al bracciolo per non farmi male.
«Dante, non credo sia il momento», lo ammonisce Joleen.
«Smettila di giustificarla! Non è tua amica! È la nostra cazzo di...», impreca picchiando il pugno sul volante abbastanza violentemente da farmi emettere uno squittio.
«Smettila di urlare! Smettila di urlare contro di lei perché è scossa. Non lo vedi? Cole le è stato addosso per gran parte della serata, tanto che Terrence, pur dovendosi divertire perché ti ricordo era una delle sue poche serate libere, le è rimasto accanto per non farlo avvicinare. Ecco perché. Lei fingeva», spiega. «Non l'ho portata al locale priva di munizioni. Per chi mi hai preso? Sapevo benissimo cosa sarebbe successo. Solo non mi aspettavo che Cole alzasse un po' troppo il tiro!», inarca un sopracciglio. «È evidente che tu l'abbia stuzzicato a tal punto da farlo agire. Parli tanto di compito, ma sei stato il primo a non svolgere il tuo facendoti distrarre da tutt'altro».
Dante smette di parlare. Guida ancora come un pazzo e riflette mordendo più volte quel labbro inferiore carnoso.
Non ha riportato un solo graffio dalla colluttazione con Coleman.
Posteggia di fronte all'enorme villa stringendo il volante. Si volta e io non volendo sentire nient'altro uscire dalla sua bocca, spalanco la portiera. Prima di scendere dalla vettura mi blocco. Ci provo a non dire niente, ma non riesco proprio a trattenermi: «Adesso puoi sentirti il coglione che sei. Dio, sfoga le tue cazzo di frustrazioni su un sacco da boxe. Non farlo mai più sulle persone», gli urlo sbattendo la portiera. Allontanandomi il più possibile da lui.
Gli eventi nel corso della serata sono stati abbastanza da reggere senza avere un momento per prendere fiato. Mi fa male il cuore, la gola continua a stringere come se una mano invisibile stesse premendo con tanta forza con l'intenzione di soffocarmi. I miei polmoni cominciano a bruciare e le mie ossa si appesantiscono come se il peso sostenuto fino a ora stesse per schiacciarmi tutto d'un colpo.
Barcollo in avanti, intenzionata a porre fine a questa assurda situazione, a mettermi a letto e a gestire meglio ogni nuovo evento, a organizzare un piano per una possibile fuga dopo una dormita. 
Ma Dante non ha ancora finito. Mi rincorre, mi ferma afferrandomi per un braccio, facendomi voltare con un certo impeto. Allora non riesco proprio a trattenermi.
«Sai una cosa, oltre a essere un pezzo di merda, sei un vero codardo!»
Pura e gelida furia attraversa e colpisce in un guizzo le sue iridi.
Non mi pento di ciò che ho appena detto. Oltre a essere ancora spaventata sono anche stanca di farmi trattare come un oggetto da lui. Mi deve almeno un po' di rispetto, oltre alle scuse che so non arriveranno mai. Sono una persona che ha appena vissuto un momento orribile e lui deve capire che non sempre si riesce a lottare. Non quando qualcosa ha affondato radici profonde dentro di te da lasciarti senza munizioni. Come fa a non capire? Ha davvero un pezzo di ghiaccio al posto del cuore?
«Ah sì?». La sua voce calma non è altro che un gioco ingannevole.
È tardi per tornare indietro e rimangiarmi le parole. «Preferisci guardare tutto come il padrone del mondo, dall'alto. Ma non lo sei. Non sei niente per me. Mi eviti, non riesci a guardarmi in faccia e non sei in grado affrontarmi, perché hai paura di non essere all'altezza del compito che ti è stato affidato e di cui ti senti tanto orgoglioso, perché una volta tanto sei stato scelto da paparino. Non vuoi deluderlo e lo capisco. Ma non hai la minima idea di come approcciarti a me, con una realtà diversa dalla tua. Non riesci a metterti nei miei panni perché sei abituato a crederti nel giusto e forse perché hai vissuto in un mondo a colori senza mai vedere che c'è del grigio a ogni angolo. Tu non puoi e non sai prenderti cura di me ora che ti è stato imposto. Non ci provi nemmeno e preferisci scappare dopo avermi urlato addosso dandomi ogni singola colpa di quello che succede intorno per sedare il tuo potente ego!»
Dentro di me, la voce della ragione comincia ad agitarsi. Il mio cuore, sembra ormai sul punto di uscirmi dalla gabbia toracica e la voce è uno strappo deciso. «Una volta tanto fatti un bagno di umiltà e accetta il fatto che puoi avere fallito. Perché è di questo che si tratta. Tu stasera hai fallito. Non sei riuscito a controllare la situazione perché eri impegnato in una guerra dentro la tua fottuta testa. Ah, oltre che a giocare con quella stronza che non ha avuto il fegato di dirmi in faccia quello che pensava e ha voluto marcare il territorio. Proprio come hai fatto tu a quel tavolo, davanti a tutti».
Chissà come in mezzo alla nebbia dentro la quale sono avvolta, trovo il coraggio di guardarlo dritto negli occhi. Un passo azzardato il mio, che mi fa sentire piccola.
«Stai provando a farmi sentire in colpa e ad ammorbidirmi, che tenera, uccellino. Ma non è sufficiente», esclama dopo un lungo e quasi interminabile momento carico di tensione. L'ombra di un sorrisetto accarezza quelle labbra che ho sentito sulla pelle.
«Se bastassero i tuoi insulti o quelli della gente che pensa che io sia un mostro a farmi cedere non sarei chi sono, non credi? Io non ho affatto fallito. Avevo dato degli ordini ben precisi e adesso chi ha sbagliato ne pagherà le conseguenze», avvicinandosi come un predatore pronto a valutare i riflessi della preda che ha di fronte, mi sfiora la guancia con la nocca, fino al labbro superiore, tracciando la linea del mio arco di cupido e lasciando dietro il calore bruciante dello spesso anello d'argento che porta insieme ad altri a ogni falange. Preme il polpastrello del pollice sul mio labbro inferiore facendolo formicolare. «Cosa vuoi esattamente, uccellino?», mormora con voce vellutata. «Desideri la mia compagnia? Mi vuoi vicino a te così tanto da stuzzicarmi per indurmi a fare un passo nella tua direzione?», prosegue con un tono sempre più piacevole per i miei sensi.
Che... grandissimo pallone gonfiato!
La sua attenzione se la può ficcare su per il culo.
Fuoco indomabile mi divampa dentro facendomi perdere la ragione. La mia lingua, ancora una volta, spinge fuori parole affilate. «Sei davvero così pieno di te da credere che abbia bisogno di averti vicino? Credi davvero che io sia così disperata?», mi rifiuto di abbassare la voce o di avvicinarmi di rimando. «Se avessi una scelta puoi star certo che non saresti neanche sulla mia lunga lista».
Un angolo della sua bocca si solleva e tra la barba gli si intravede una minuscola fossetta.
Buon Dio, e quella da dove sbuca fuori?
«Lunga lista. Dimmi almeno una cosa che viene prima di me».
Mordo il labbro che sta ancora accarezzando senza accorgersene. Il suo sguardo scende su di esso. Le sue narici guizzano e non posso non trattenere il fiato quando il suo profumo mi si attacca addosso, rischiando di confondermi.
Devo trovare una risposta. Non posso continuare a starmene impalata e a permettergli di confondere i miei sensi con uno solo dei suoi gesti.
«I libri», tiro fuori la prima parola che mi viene in mente.
«Uhm», si sporge in avanti fino a quando non è a un centimetro di distanza. «Poi? Dimmene un'altra».
«Le foto e i post-it di mia madre».
I suoi occhi si accendono di sfida. Un formicolio insistente e sensuale mi si incastra sul basso ventre e per poco non sussulto quando accoppa la mia guancia.
I nostri nasi si sfiorano. Il mio cuore protesta. La mia pelle reagisce a seguito del freddo brivido che mi scivola lungo la spina dorsale.
Desiderio. Un richiamo sensuale si avviluppa intorno a noi. Il mio corpo, come richiamato al suo opposto, si protende.
«Poi? Provo a indovinare?», sibila, le parole come potente afrodisiaco per la mia mente.
Cerco con ogni fibra del mio corpo di oppormi al suo soggiogamento. Una sfida ardua data dal peccaminoso sguardo che mi rivolge insieme a quel sorrisetto furbo e vittorioso. «Musica classica. Continuo?»
Provo a negare ma con un braccio avvolge la mia schiena. «Sicura di volere ancora provare a fregarmi?»
«I quadri. Mi piacciono anche quelli e li metterei comunque davanti a te, almeno hanno un'anima».
La sua espressione muta. Dura meno di un battito di ciglia eppure l'ho vista. Ne ho colto il bagliore e la sensazione di avere per un istante battuto l'enorme gradasso che ho davanti.
Molla la presa raddrizzandosi. Non si allontana di molto. Mantiene comunque la sua posizione originaria per intimidirmi.
«Non sono che oggetti. Non c'è nessuno da mettere al primo posto perché nessuno potrebbe eguagliarmi, uccellino», dice sfiorandomi il naso.
«Ne sei così sicuro?»
Detesto questa sua imponenza. L'espressione che assume quando mi fissa come se fossi una briciola masticata, sputata e schiacciata dalla sua scarpa. Mi limito ad alzare la testa. Ancora una volta lo affronto. «Io non ti servo più di tanto. Non ho niente da offrire. Ancora non hai capito che è inutile tenermi qui? Riportami a casa mia e cerca qualcos'altro da fare per tormentare mio padre».
Dante si accende una sigaretta. I suoi movimenti sono veloci, automatici. Il suo nervosismo è evidente, nasconde una risata dietro uno sbuffo di fumo. Tiene poi la sigaretta tra i denti di davanti e mi sorride. «La seconda e ovvia arma da usare. Puoi fare meglio di così».
«Avete più volte ribadito che non sono una prigioniera».
Aspira una boccata di fumo più lenta del normale, crea una bolla bianca e ci gioca con le dita mandandola in frantumi. «Termine sbagliato», si giustifica, lo stronzo. «Non abbiamo mai detto che sei veramente libera di andare fuori dalla villa. Sei un'illusa se lo credi».
Sto respirando sempre più in fretta. I miei polmoni cominciano a bruciare, così come le mie guance e le mie orecchie. Mentre i miei occhi tremano.
Ci provo a restare calma, a essere forte, a reagire di fronte a tanta arroganza. Ma quando vivi qualcosa che ti segna, basta un soffio a far oscillare il tuo controllo. Per quanto le trattenga, le lacrime scivolano lo stesso lungo le mie guance.
Mi ero promessa di non permettere a nessuno di loro di vedere quanta fragilità accumulata per anni io abbia dentro.
Fisso Dante e non vedo altro che un muro di cemento impossibile da abbattere. Fisso l'uomo che si è preso tutto senza permesso, senza gentilezza e non vedo altro che un destino segnato con un inchiostro fatto di oscurità.
«Ma puoi liberarmi. Puoi...», sento un nodo in gola. «Puoi fare la cosa giusta».
Dante si irrigidisce. O così mi è parso di vedere.
«La cosa giusta?», butta la cicca a terra schiacciandola con un certo impeto. «Mi parli di cosa giusta solo perché ti sei ritrovata in una situazione sgradevole in cui non hai saputo essere forte. Perché non ti hanno insegnato a saperti difendere da...», smette di parlare, forse intuendo di avere appena commesso un grosso errore.
Mi avvicino a lui e sembra colto alla sprovvista, in particolare quando le mie piccole mani impattano sul suo petto ampio e solido. «Sei proprio un animale! Scommetto che se al mio posto ci fosse stata Joleen o qualcuno a cui tieni davvero non avresti di certo detto una cosa tanto... orribile», la voce mi trema.
Dante fa un passo indietro, dandomi lo spazio che mi serve per respirare, per sfogare la furia generata dalle sue parole. «Sei un ipocrita. Ingiusto e un vero idiota. Non mi stupisce il fatto che hai solo nemici. Tu puoi essere il solito e duro che sei sempre stato e dimenticarti di me fino a quando non ti fa comodo».
Altre lacrime continuano a scivolare, a bagnarmi il viso contratto da una smorfia. «Tanto puoi vivere nella tua casa, in mezzo alla tua gente. Che importa se la persona che hai sottratto dalla sua famiglia non si trova a suo agio o rischia di essere stuprata da un cugino. In fondo è solo un oggetto».
Dante strizza una palpebra. Sto urlando talmente forte da fare sussultare persino i sassi.
«Calmati».
Faccio un passo indietro quando prova a toccarmi. «Vaffanculo! Mi calmo quando lo dico io. E non toccarmi!».
«Smettila», mi intima, allunga la mano e con un tocco gentile, in contrasto con la sua freddezza, mi asciuga le lacrime.
«Smettila tu di essere così stronzo e insensibile nei miei confronti da farmi infuriare», tiro su con il naso, scansandomi dal suo tocco.
«Non piangere, uccellino», mi sovrasta tornando ad accarezzarmi il viso, concentrato su qualcos'altro. Ha lo sguardo un po' perso. «Sono incazzato quanto te per quello che è successo. Credimi».
Scuoto la testa ma lui blocca il movimento prendendo il mio viso tra le sue mani. «Pensi che io abbia tutto. Ti sbagli. La mia vita è cambiata tanto quanto la tua, da prima che arrivassi», raggiunge la mia fronte e ci preme sopra un bacio. «Tu sarai la mia condanna, Eden Rose», mi sussurra sulla pelle facendomi tremare. «Adesso non te ne accorgi, ma presto lo farai».
«Fare cosa? Ucciderti?», provo ad allontanarlo da me.
Sorride e facendomi l'occhiolino si incammina. «Forse. O forse imparerai a stare al tuo posto e a non accusare senza sapere la verità».
«Scordalo!», dico al buio.

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Cruel - Come incisione sul cuore Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora