Capitolo 12

3.1K 135 11
                                    


DANTE

Sono vestito di tagli sulla pelle e cicatrici nascoste così in profondità da non poterle mostrare. Continuano a intossicarmi come veleno, a rendermi una macchia che non passa, che segna. Sono un marchio inciso a fuoco dal diavolo su un'anima non ancora corrotta.
Ho imparato a tenere nascosto il buono che c'è in me o quel che ne rimane, dopo anni di lotte interiori, delusioni e dolore. Perché quando la gente vede e riceve più del bene che merita, continua a pretendere. Ancora, ogni giorno sempre di più. E io non ho alcuna intenzione di sentirmi usato. Preferisco incassare l'offesa per avere detto di no, piuttosto che soddisfare gli altri e ricevere in cambio solo briciole. I resti amari di una fiducia in frantumi.
«Ripetimi perché ci troviamo fermi in questo posto dall'alba, a bere caffè disgustoso e a mangiare panini insipidi. Per non parlare di quante pisciate hanno raggiunto quel povero albero», mi lamento con Faron, stravaccato sul sedile del SUV.
Ce ne stiamo nascosti da tutto il giorno, a qualche metro di distanza dalla passerella circondata da una serie di yacht e imbarcazioni di vario genere e lusso. Tra le tante, la nostra attenzione è indirizzata proprio sullo yacht più vistoso che si trova a largo.
«Perché prima o poi arriveranno. Togli i piedi dal cruscotto se non vuoi che ti spari un proiettile nelle palle seduta stante. Ho fatto pulire il SUV proprio ieri», con il suo binocolo osserva lo yacht bianco, sul quale un gruppo di ragazzi si stanno divertendo. Il loro non è altro che uno stratagemma per nascondere affari loschi che oggi avranno una battuta d'arresto.
Abbasso i piedi con un grugnito, apro il cassettone e cerco il pacchetto di sigarette di scorta. Ne lascio sempre uno in ogni auto per evenienze come questa. Non trovandone, setaccio il resto dell'abitacolo a denti stretti. «Dammi le mie sigarette o non arriverò a fine turno senza averti spezzato almeno un osso».
Faron sbuffa prendendo un sorso d'acqua. Si volta soppesando il mio sguardo.
«Che c'è?», domando sempre più innervosito dal suo mutismo. «Potevamo benissimo arrivare all'orario prestabilito e risparmiarci questa attesa».
«Non so, sembri più umano del solito in questi giorni. Ti stai trasformando senza luna piena».
Finalmente trovo quello che mi serve. Lo stronzo deve averle nascoste proprio per godersi questa scena. Pesco lo Zippo e accendo subito una sigaretta, prendendo una lunga boccata, avvolgendo l'intero SUV in una nuvola bianca di fumo. «Cosa stai insinuando?»
«Che ti stai ammorbidendo come burro. Non ti sei mai lamentato di nessun appostamento come stai facendo oggi. Sembra che hai le formiche nelle mutande».
Sollevo l'angolo del labbro mostrandogli i denti. «Hai preso troppo sole al porto nei giorni scorsi, Far».
Nega tamburellando con le dita sul volante. «Sai, in realtà penso abbia a che fare con l'incontro che hai avuto di recente con Curt», sorride, ma non c'è traccia di ilarità nella sua voce e la sua espressione è alquanto granitica.
Non so come prendere questa sua reazione. «Adesso che... un momento», mi fermo, «come diavolo fai a sapere che ho incontrato Curt?»
Faron mi suggerisce subito la risposta e sento le orecchie infiammarsi, il petto farsi incandescente. Termino la sigaretta, schiaccio il mozzicone nel posacenere dell'auto immaginando che sia la testa di Curt e mi volto verso mio fratello con aria circospetta. «È rimasto lo stronzo di sempre. Non ti sei perso niente», affermo sondando il campo.
Faron gratta il collo abbozzando un altro sorriso. «Invece tu?»
«Io... cosa?», assottiglio una palpebra. Quanto sa di quei momenti? È stato nostro padre a riferire tutto o qualcun altro ha vuotato il sacco, avviando una sorta di telefono senza fili?
«Non sono stato invitato alle nozze, proprio come Curt. Dovrei sentirmi offeso e obbligarti a pormi le tue scuse. Nostro padre si è fatto una grassa risata dopo che quel figlio di puttana lo ha chiamato con una scusa e di seguito lo ha informato di averti visto con una donna, la quale ha annunciato a lui e alla moglie della vostra relazione. Gli ha detto che era dubbioso, che si sentiva preso per il culo».
«E fammi indovinare, nostro padre gli ha riferito che non era vero. Che teniamo uccellino come ostaggio per far pagare a Rose un debito che non ha mai estinto con la famiglia Blackwell». Vorrei dire, al contrario mi limito a mollargli un pugno sul braccio, facendolo ridere. «Non fare il coglione con me, Far. Ho dovuto prendere una decisione su due piedi, prima che quell'idiota riconoscesse Eden e facesse la spia al nemico per soldi. L'ho coinvolta in un gioco di ruolo», ghigno perfido. «In fondo, si stava annoiando, perché incapace di scegliere e trovare un vasetto di yogurt alla vaniglia».
Faron si rimette composto. La schiena dritta. «Non puoi usare Eden per queste stronzate».
Mordo l'interno di una guancia. «Non ha disdegnato. Anzi, è stata persino brava. Terrence aveva ragione, non bisogna sottovalutarla».
Strabuzza gli occhi. «Dante, non si tratta di questo. Eden è sotto la nostra protezione, e nonostante sia una prigioniera non puoi usarla a tuo piacimento. Non puoi rischiare tutto il lavoro svolto fino ad ora. Curt potrebbe benissimo avere fatto finta di non averla riconosciuta. E se oltre a nostro padre si fosse già messo in contattato con uno dei Rose o uno dei suoi amici con cui fa affari? Se escogita qualcosa per prenderla? Prima di agire mirando all'orgoglio personale, rifletti la prossima volta», si volta e torna a controllare lo yacht. «Non è da te abbassarti a tanto per una scaramuccia. A meno che...», prende di proposito una pausa, «non fosse il tuo piano sin dall'inizio per averla», conclude.
Mi sento messo sotto torchio e giudicato da mio fratello; soprattutto accusato di qualcosa che in fondo, anche se partendo dal sottoscritto, alla fine abbiamo fatto in due.
Passo la mano tra i capelli. «La prossima volta allora porti tu a spasso uccellino. Ho notato come ti guarda. Non mi stupirebbe sapere che ha una cotta per te. Joleen ne sarà entusiasta quando se ne renderà conto. Fate ancora cose a tre, vero? Potreste sempre proporle di partecipare».
Faron si trattiene all'inizio, ma ha assunto quell'espressione da fratello maggiore che fuoriesce dai suoi occhi sotto forma di gelo. Poche sono le volte in cui l'ho visto così. «Ma quale cotta? Finiscila di fare il bambino. Attieniti al piano e non avere colpi di testa. In meno di qualche settimana lei tornerà alla sua vita e noi avremo la nostra vendetta».
Guardo fuori dal finestrino. Sto evitando di pensare a quel momento. «Sei stato tu a prendere l'argomento».
«Solo perché pensavo che avresti compreso. Stiamo eseguendo un ordine, non giocando una partita a scacchi. Le cose possono sfuggire di mano in un secondo se non stiamo attenti».
Gli faccio il gesto militare. «Ai suoi ordini, padrone. Da ora in avanti non mi avvicinerò più alla tua principessa. Come ho più volte ribadito, non sono un fottuto baby-sitter e ho del lavoro da svolgere. Sbrigatela da solo con nostro padre. Ah e la prossima volta che ti inseguono, offri loro più di un gelato o fingi di non vedere il pericolo, proprio come fai sempre. In questo modo lei si farà male e noi non avremo nessun vantaggio su suo padre», gli faccio l'occhiolino ed esco dall'auto. Sento sbattere l'altra portiera, ma sto avanzando e prendendo la giusta distanza da mio fratello, prima che possa esplodere o dire qualcosa di stupido. Sono sempre stato impulsivo.
Faron mi raggiunge, adagia la mano sulla mia spalla per ritrarla subito dopo essersi reso conto che mi sono irrigidito. «Non so che diavolo ti frulla per la testa. Sai che ci sono e ti sto dando lo spazio e il tempo che ti serve per poterne parlare. Ma tieni fuori da ogni tuo problema personale Eden. E per favore, togli dalla testa di potertela portare a letto solo perché è stata definita tua da nostro padre».
Sto per replicare e rettificare quanto ha appena detto ma non ha ancora finito.
«Ho anni di esperienza, Dante. Non prendere in giro la mia intelligenza. So riconoscere un semplice interesse per puro diletto come quello per Trisha, da una fatale attrazione. Anche se non lo ammetterai mai, neanche sotto tortura, so che Eden ti ha colpito. Non è caduta ai tuoi piedi e dentro la tua testa incasinata si è aperta la caccia. Perché sei un fottuto animale selvaggio che ha sentito l'odore della sua preda preferita».
Faron è sempre stato un buon ascoltatore e sa osservare come un falco, certo, eppure non riesco a capacitarmi di come abbia fatto a capire. Credevo di avere nascosto bene ogni cosa.
La verità è che ha ragione, non lo ammetterò mai, ma continuo a ripetere a quella parte di me ostinata, di non permetterle di insinuarsi nella mia vita, di metterla a soqquadro, di raggiungere il mio cuore. Perché ho imparato a mie spese la lezione.
Una piccola imbarcazione si avvicina allo yacht. Avvistandola in tempo chiudo il discorso indicandola a Faron con un cenno. Richiamo anche i nostri uomini appostati intorno e pronti al fuoco contro una delle bande di Rose, giunte nei nostri confini.
Lo scopo è quello di depistarlo dalle ricerche su sua figlia, oltre a sottrargli il carico che ha trasportato senza permesso in una zona non sua.
Una bella lezione non gli farà male. Capirà presto chi è che comanda veramente e l'errore che ha commesso quel giorno.
Passiamo all'azione raggiungendo furtivi il molo. La nostra barca è già pronta e saliti a bordo non ci rimane che spingerci verso lo yacht come se fossimo semplici turisti che stanno per fare un giro, mentre gli altri attendono il segnale.
Sto osservando tutto con attenzione.
Non appena siamo vicini, l'azione si svolge talmente in fretta da cogliere impreparati i tizi da poco saliti sullo yacht e i ragazzi che stavano festeggiando; i quali però riconoscendoci, mettono da parte l'allegria, sfoderano le loro armi e fanno partire i primi colpi.
Tiro dal fodero la mia pistola, quella appartenuta a mio fratello e come un cecchino colpisco parti non vitali delle guardie mettendole fuori combattimento.
I nostri uomini raggiungono lo yacht e fronteggiano le persone rimaste e armate.
«Arrendetevi e nessuno si farà male!», urla loro Faron. «Vogliamo fare solo quattro chiacchiere».
«Figli di puttana!», sputa fuori qualcuno.
Altri colpi di pistola partono e le pallottole sono dirette nella nostra direzione. Mi lancio verso mio fratello schiacciandolo a terra, facendogli scudo con il mio corpo, poco prima che una raffica di proiettili si conficchi nel legno forandolo in un zig zag storto, colpendomi di striscio la spalla.
Dopo essermi accertato che Faron non sia ferito, infuriato, in parte dolorante e sanguinante, salto sullo yacht e cerco i sei che sono scappati dentro.
Buttarsi in acqua sarebbe stata una fortuna per loro. A quanto pare lo sarà per me quando gli avrò fatto vedere chi stanno attaccando.
Nigel compare con il primo. L'ha pestato per bene e lo schiaccia contro una parete, mentre Terrence ne ha appena atterrato un secondo. Le ragazze, scosse ma illese, vengono spinte e condotte verso un'altra imbarcazione, per essere portate via dallo scontro e messe sotto torchio. Alcune di loro potrebbero avere informazioni utili. Non possiamo lasciare niente al caso.
«Nella cabina», mi fa cenno Nigel, affannato. «Portiamo via questi due bastardi», prosegue rivolgendosi a Terrence, tornato dalla villa dei Rose solo poche ore prima per fare rapporto e unitosi alla mischia. «Dante, sei ferito?»
«Adesso tocca a me», rispondo, ignorando l'ultima domanda.
Arma in pugno, calma omicida, mi avvio verso la direzione indicata da Nigel. Mi schiaccio alla parete e avanzo senza fare rumore; dopo avere controllato di essere munito di proiettili a sufficienza.
«Chi è stato? Chi ci ha tradito?», urla uno di loro. «Cazzo!»
«Siamo circondati! Che cosa facciamo?»
«Nessuno di noi dirà niente, intesi? Rose... noi non lo conosciamo e non facciamo affari con la sua famiglia. Soprattutto nessuno sa niente del rapimento della figlia. Se qualcuno lo viene a sapere, avremo più di un problema. Chiunque inizierà a cercarla per mettere in ginocchio il nostro capo. Soprattutto i fottuti Blackwell. Non aspettano altro quei bastardi».
Non ne sarei tanto sicuro.
Con un calcio butto giù la porta e senza attendere premo il dito sul grilletto. Quattro colpi in tutto, sparati con precisione: uno sulla gamba, uno sul braccio, uno sul piede destro e uno sulla spalla sinistra. I quattro uomini non hanno il tempo di reagire e urlano di dolore accasciandosi al suolo. Afferro quello pronto a fare fuoco, lo disarmo senza grosse difficoltà e gli pianto una ginocchiata sulle costole, poi gli stringo il collo con una mano e lo minaccio con la pistola piantata sulla tempia. «Per chi lavorate esattamente e cosa ci fate qui? Voglio un nome e lo voglio subito», fingo di non avere ascoltato la conversazione.
Non ricevendo risposta, sfodero un sorriso. Uno di quelli che suggeriscono poco e mettono quasi sempre in soggezione chi si trova dall'altro lato. Con un calcio, chiudo la porta alle mie spalle. «Risposta sbagliata. Vediamo se con le cattive tra poco sarete disposti a parlare, sacchi di immondizia che non siete altro», mi avvento su ognuno di loro.

Cruel - Come incisione sul cuore Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora