Capitolo 9

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DANTE

Ogni volta che penso di essere pronto, di avere ogni cosa sotto controllo, tutto si capovolge e il destino mi riporta nell'oscurità. In quel baratro profondo in cui ho vissuto fino a sentirmi a casa.
Nel mio petto, continua a pulsare qualcosa a cui non riesco a dare un nome. È un groviglio di sensazioni che rischiano di annientarmi, di ridurmi la mente in macerie.
Quello sguardo duro, accusatorio. Quelle parole... sono state talmente affilate da strapparmi come carta qualcosa dentro, e da non riuscire a rispondere come avrei dovuto per riportare il giusto ordine nel mio mondo.
Non ho osato mettere piede in casa per affrontare la situazione, il lieve imbarazzo che ne è derivato dalla sfuriata di Joleen in auto di fronte alla mia reazione tanto impulsiva quanto aggressiva, mi ha fatto desistere. Troverò un modo per discutere la mia posizione in merito con lei. Adesso però devo chiarire una cosa importante con quella testa di cazzo di Coleman.
Lui non può e non deve ostacolare in alcun modo la mia vendetta sui Rose. Soprattutto non può usare il suo repellente atteggiamento per mettere le mani su una donna.
Mai. Non dovrà farlo mai più.
Non è solo la sua mancanza di rispetto quella ad avermi fatto ribollire il sangue nelle vene. È stato lo scambio che ne è conseguito quando sono sopraggiunto in quel vicolo e gli ho impedito di fare qualsiasi cosa avesse in mente dopo avere appena iniziato. Ho agito d'impulso e a dire il vero non mi pento.
Accendo una sigaretta dietro l'altra, incurante del limite di velocità per raggiungere il locale in cui sono certo di trovarli in una situazione come quella che si è creata. Ne ho conferma quando Terrence mi invia la posizione esatta, senza neanche il bisogno di chiedere. Perché sa che arriverò da loro. Sa che sto andando a cercare quel coglione per farlo a pezzi.
"Il Blackout", è un altro dei nostri club. Il posto in cui passi la serata e il giorno dopo non ricordi come sei finito nudo su una spiaggia o in una stanza d'hotel con tre persone; dato che non è solo l'alcol la cosa principale a circolare.
Entro come una furia. Non mi perdo in convenevoli, non mi fermo al bar, non scambio nessun saluto o chiacchiera di circostanza con chi ci lavora da tempo. I due buttafuori posizionati in fondo alla sala, quando li raggiungo, mi lasciano passare senza battere ciglio.
Non appena spalanco la porta della sala privata, molte paia di occhi mi si puntano addosso per capire che aria tirerà.
Faron sta urlando addosso a Coleman. Proprio come farebbe qualsiasi capofamiglia infuriato e un uomo al quale hanno osato fare del male alla propria donna.
Di mio padre o di Parsival non vi è traccia. Il che è un bene, perché sto per dare spettacolo e un cattivo esempio al nostro gruppo.
Non appena si accorge della mia presenza, Faron smette di sbraitare, provando subito a ricomporsi; seppur con scarsi risultati. «Le hai lasciate a casa?», domanda aggiustando il colletto aperto della camicia. «Stanno entrambe bene?»
Annuisco.
Faron può incutere timore, può essere spietato. Ma a suo modo è anche innamorato di Joleen; l'unica persona al mondo a metterlo in ginocchio. Ha dei solidi principi nella vita, in parte anche dei sogni diversi da quelli ambiziosi di nostro padre.
Le guance in fiamme, lievemente alticcio, forse anche strafatto, Coleman invece se ne sta stravaccato su uno dei divani. La camicia aperta sul davanti, macchiata di chiazze rosse; gli occhi lievemente assonnati e le pupille dilatate. Un lungo graffio copre parte del gomito fino alla zona del polso. Il segno evidente della reazione della sua vittima.
Non lo perdo di vista neanche per un secondo. Attendo paziente la sua prima mossa per sfoderare il mio arsenale.
«Sono arrivati di nuovo i rinforzi. Grandioso!», biascica con finto sarcasmo, ridendo come un imbecille. Indicandomi, aggiunge: «È solo colpa sua se...»
In un attimo sono davanti a lui. Lo faccio cadere dal basso schienale del divano e con un ginocchio lo schiaccio a terra come un verme.
«Non ho sentito ciò che hai detto. Ripetilo. Oppure ti va di riferire a tutti quello che mi hai urlato in quel vicolo, dopo che ti ho impedito di stuprare una ragazza? Se non erro, l'ennesima sulla quale hai mirato il tuo sguardo da maniaco. Una persona che non avresti mai dovuto toccare con un dito», non termino la frase, lo faccio girare a pancia in giù, porto il polso dietro la sua schiena tirandoglielo verso l'alto, in una posa dolorosa. Un solo movimento sbagliato e potrà dire addio all'uso del braccio per un po'.
«Eri a tanto così dal macchiarti di un qualcosa di orribile. Ma questo lo sai già. Non è così?»
Coleman urla dimenandosi. «Lasciami andare, cazzo. Lasciami o mi farò offrire lei come colazione e segno di scuse da tuo padre quando saprà come stai reagendo!»
Rido come un pazzo. «Sai, temo che questa volta il tuo paparino non potrà chiedere neanche a Cristo in persona l'aiuto che ti serve», gli sibilo all'orecchio, al contempo con un tono abbastanza udibile agli altri. «Hai superato il limite e sei andato contro gli ordini della famiglia. Mi hai mancato di rispetto davanti a tutti, pur sapendo quanto e cosa c'è in gioco. Pur avendo giurato lealtà e obbedienza».
«Sei solo un fottuto bastardo, Dante. Un fallito che vive di ricordi e si diverte a torturare chiunque. Hai perso qualcuno e hai sofferto, vero, ma questo non te lo riporterà indietro. Svegliati! Tuo padre ha voluto quella ragazza solo perché era dest...»
«Basta! Non un'altra parola, Cole!», Faron lo mette in allerta, provando allo stesso tempo a fermarmi, perché ha notato cosa sta per succedere. Troppo tardi. Ho già fatto voltare Coleman e gli ho mollato un pugno in faccia talmente forte da rompergli il setto nasale.
Il rumore dell'osso in frantumi sovrasta qualsiasi altro suono nel giro di qualche metro ed è tutto quello che si sente intorno a noi per pochi istanti, seguito dal singulto di Coleman quando gli premo il palmo sulla bocca, ripetendo il gesto che ha fatto a Eden; mollandogli di seguito un altro pugno per vendicare lo schiaffo che le ha dato e che non ho potuto impedire.
Rabbia.
Desiderio di vendetta.
Lascio uscire tutto in maniera violenta.
Senza controllo sfogo la mia furia cieca, mostrando solo briciole di quello che mi divora dall'interno.
È di questo che ho bisogno. Sguinzagliare il lato oscuro della mia anima infuocata dai morsi divoranti della vita.
Di tanto in tanto, sento il forte bisogno di perdere il controllo di tutto, di spegnere le emozioni, di dare uno strattone alla realtà per potere ritrovare il controllo.
È l'unica maniera che conosco. L'unico metodo infallibile per tenere a bada la bestia selvaggia che mi trascino dentro.
Abbasso il viso trovandomi a livello del suo. «Sta' pur certo che se dovessimo incappare in una situazione come dire... spiacevole, non salverò un pezzo di merda e codardo come te! Non lo permetterò e non lo farò neanche sotto giuramento. Non dopo questo giorno».
Prova a reagire, lo placco a terra tenendolo fermo per il collo. Un'altra cosa che ha osato fare con lei.
Non ho ancora finito di impartire la mia lezione.
«Sei un verme e tornerai presto a strisciare in fondo alla scala sociale. Dato che hai toccato qualcosa che non ti è stato neanche offerto, lasciandole i segni, da oggi avrai un bel ruolo nella nostra famiglia», sorrido come un sadico, pregustando la vittoria.
«Cazzo, amico, fermalo!», Nigel, appena entrato, cerca aiuto in Faron chiedendogli di farmi uscire da qui dentro prima che ammazzi Coleman. Anche Terrence interviene facendo un passo avanti, seppur combattuto. Ho notato il modo in cui ha guardato Cole per tutto il tempo in quel vicolo. Sta continuando a farlo anche adesso. So che cosa lo sta trattenendo e so che se solo gli dessi la possibilità, un comando qualsiasi, lo farebbe a pezzi. Ma ci penserò io a farlo, giorno dopo giorno, a partire da stanotte.
«Non riuscirai mai a darmi degli ordini o a sottomettermi. Tu non sei il capo», sibila sprezzante Coleman, ritrovando un po' di fiducia in se stesso solo dopo essersi reso conto della folla di uomini che ci circonda. I suoi due amici, Chip e Chop, sono già stati messi al tappeto al Regency dopo avere toccato Joleen, attualmente non si trovano qui. Penso che non li rivedremo tanto presto al suo fianco. Le punizioni sono punizioni.
Attirati dalle nostre urla, tutti gli altri che ci hanno raggiunto, stanno assistendo inermi alla lotta.
Un passo avanti da uno solo di loro e potrebbe nascere una guerra. Perché farlo, ha tanto il significato di uno schieramento.
Sono le regole della famiglia. Nessuno può aiutare in caso di tradimento o insubordinazione. Ecco perché Faron sta tentando di calmare gli animi con le parole.
Una volta tanto queste regole mi sono utili per rimettere in riga il bastardo che da quando sono entrato a far parte della famiglia non ha fatto altro che mettermi in cattiva luce o nei guai.
«Ho ancora un conto in sospeso con quella puttana. Non avresti mai dovuto intrometterti. La prossima volta me la scopo a sangue davanti a te», mi provoca. «Poi farò fare lo stesso ai miei uomini e alla fine, forse potrai riprendertela. Sempre se vorrai gli avanzi», ghigna.
Faccio pressione sul suo naso e mi godo ogni singolo istante della sua agonia senza battere ciglio. «Quindi stai ammettendo di avere fatto qualcosa che non dovevi?», soffio aria dal naso come un toro, mostrando al contempo i denti come uno squalo. «Hai appena ammesso di avere tradito la fiducia della famiglia anteponendo i tuoi bisogni...»
«Dante!»
«Fermati!»
«Tra un po' lo ammazzi!»
«Qualcuno faccia qualcosa, dannazione!»
«Che nessuno si avvicini! Sono le regole».
Inferocito come sono, non riesco a sentire ragione. Mi abbatto ancora su di lui come un ariete di sfondamento. «Da domani servirai cibo ai cani e ti occuperai dei maiali. Sono sicuro che tra i tuoi simili ti troverai bene. Non scomodarti a venire alle riunioni di famiglia perché fino a nuovo ordine non sarai il benvenuto. Goditi le retrovie, idiota!», mi sollevo mollandogli un calcio talmente forte da non permettergli di aprir bocca. «E se solo ti avvicinerai di nuovo a lei, perderai più di una mano... e un proiettile in testa sarà il tuo unico e ultimo desiderio».
Coleman riesce a non svenire, sputa sangue a terra, strisciando tra puof pieni di bottiglie, divani e persone che ci fissano spaventate, continuando a scansarci per non andarci di mezzo.
«Te la farò pagare!», osa minacciarmi, facendo crollare a terra dei calici. «Aspetta e vedrai!», urla in mezzo al fracasso.
Attendo che si sollevi da terra e gli permetto di caricare e provare a colpirmi. Lo faccio solo per buttarlo di nuovo a terra con una gomitata sull'addome. «Be', che dire, sei stato utile al mio scopo una volta tanto, cugino. Benvenuto all'inferno pezzo di merda!», gli sibilo dopo averlo afferrato per il collo e averlo avvicinato al mio viso.
Prima di perdere completamente la testa, lo lascio andare e mi allontano. Raggiungo il bancone della zona bar proprio mentre due delle guardie scortano fuori dal Blackout Coleman.
Frugo dentro il freezer, tiro fuori un sacchetto di ghiaccio per metterlo sul dorso della mano. Riesco a muovere le dita e da una prima occhiata non mi sembra messa poi così male.
Appoggiato all'angolo inspiro a fatica, tolgo il tappo con i denti sputandolo come un vichingo e tracanno un po' di liquido direttamente dal collo della bottiglia. Non ho scaricato neanche un quarto della rabbia che sento su quel maledetto. Ma le conseguenze sarebbero state irreparabili se solo fossi arrivato un minuto in ritardo in quel vicolo o se non avessi sentito quell'urlo che mi è entrato dentro come un proiettile.
Raggiungerla e vederla lì, inerme, spaventata, sul punto di smettere di lottare, con le mani di Coleman sul suo corpo irrigidito, mi ha trafitto in due come una lama avvelenata. Non ho osato guardarla negli occhi quando l'ho liberata, per non perdere del tutto il senno. Era già abbastanza difficile assistere mentre mi stavo avvicinando a loro.
«Sei sempre il solito». Terrence mi raggiunge passandomi un flacone di crema per il dolore e i lividi. «Ma l'hai fatto a pezzi e per questo ti stimo. Goditi il momento e ricordami di non farti incazzare mai così tanto. È stato spaventoso vederti in azione», con un sorrisetto si allontana dalla mia traiettoria. Sa quando è il momento di lasciarmi solo prima che possa esplodere di nuovo.
Faron prende il suo posto. Il telefono premuto all'orecchio, si appoggia con un fianco al ripiano del bancone, incrocia le caviglie, poi avvicina la bottiglia che ho davanti prendendo anche lui un sorso. Fa una smorfia, riaggancia e infila il telefono nella tasca posteriore dei pantaloni. «Non ti ho mai visto tanto arrabbiato con qualcuno quanto lo eri prima. Non eri più tu».
Sollevo una spalla per sorvolare sull'argomento, tolgo gli anelli e controllo meglio la mano livida.
Non posso dire a mio fratello di essere stato bacchettato dalla ragazza che abbiamo preso in ostaggio, la quale mi ha aperto gli occhi e fatto sentire un coglione quando ho commesso l'errore di sbraitarle in faccia di essere stata tanto ingenua e fragile da non essersi difesa. Avrei voluto prendermi a schiaffi da solo, sotterrarmi, tagliarmi la lingua. Perché so che le parole hanno sempre un peso. Le mie hanno demolito quel poco di sicurezza che le rimaneva dentro.
Aperto il tubetto di crema la spalmo sul dorso gonfio e riuscendo a trovare il kit in uno dei cassetti bassi dietro il bancone, bendo la mano. Infilo poi gli anelli dentro la tasca dei pantaloni. «Mi stai dicendo che sono fuori dal comando per un po' e che gestirai tutto quanto tu? Be', è un'ottima notizia! Non era quello che volevi?», sfodero il mio finto sguardo serafico. «Hai battuto il fratellino non voluto. Nostro padre sarà fuori di sé dalla gioia».
Faron, contrariamente, mi guarda storto. «Tecnicamente sei fuori per qualche giorno dopo quello che hai fatto a tuo cugino, non solo per la mano. Aspettati anche una strigliata da nostro padre, il quale non sarà affatto contento. Per il resto, passa come meglio credi il tempo libero che ti è stato concesso e per favore, evita altre cazzate. Soprattutto cerca di non stuzzicare più Cole e tratta Eden come tratteresti le tue sorelle».
Mi avvio fuori irritato. «Non ti prometto niente. Sappi che ho fatto il mio dovere non solo per lei. Ha toccato anche Joleen e mi ha mancato di rispetto».
Faron mi tira dietro il flacone che prendo al volo. «Se si gonfia sarà un cazzo di casino», indica la mia mano.
Il suo in parte è un ringraziamento velato. Un gesto atto a indicare e a chiedere una tregua tra noi.
«Ho superato di peggio di un osso rotto».
«Lo so. Ma le tue mani servono alla squadra», mi fa intuire il nesso delle sue parole.

Cruel - Come incisione sul cuore Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora