2. Non so cosa pensare

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Ciao ragazze e... ragazzi, se ci siete ;)
Questo è un capitolo che non avete mai letto. Per spiegarmi meglio: da qui in poi saranno tutti nuovi.
Quindi... Spero vi piacciano! :)
Si inizia per davvero e spero che questa, sia la volta buona!😍

Buona lettura!
Ci sentiamo nei commenti😘🥰

Jamie:

Lei è qui, a pochi passi da me. Non ho bisogno di girarmi per saperlo.
Sono teso, rigido, con le mani dentro le tasche dei miei pantaloni. Fisso il panorama, ma non lo vedo nemmeno.
Ho aspettato che Jillian arrivasse, con il fiato sospeso e ora che è qui, non so come dovrei comportarmi con lei.

È scappata sei mesi fa con una stupida lettera che mi ha spezzato il cuore.
Ho sbagliato a nasconderle che ero un ladro e me ne assumo le colpe, ma non doveva andare via.
Non l'ho più vista, sentita, non ho più saputo niente di lei e ora è tornata qui.
Stesso ufficio, maledizione.
Fianco a fianco, di nuovo.

Mi concedo un lungo respiro e appena sento la porta chiudersi, rimango così ancora qualche secondo a rimuginarci sopra, dopodiché mi giro e lei è lì, che non si è mossa di un solo passo. Che mi guarda, mi fissa, mi studia.
Sento il petto pesante, il cuore che martella nel mio petto. È bellissima, come sempre.
Perfetta. In tutto e per tutto.
Mi è mancato quel corpo da favola, quei capelli ondulati che ricadono sulle spalle, quel viso così dolce.
Ma non so più cosa pensare, perché non so se ci potrà più essere un futuro tra noi. È svanito tutto. È andato tutto a puttane.

«Ciao» dico piano, senza avvicinarmi, senza colmare alcuna distanza. Rimaniamo così.
Entrambi. Come se fossimo due maledetti estranei che si vedono per la prima volta.
La mia voce risulta roca, ma ferma e decisa.

Jillian inspira aria, la fa incalanare nei polmoni e dopo mi concede la parola. «Ciao, Jamie. Come... Come stai?»
Mi guarda con malinconia e non riesco a reggere quello sguardo.
Non so come sto, a dire il vero. Da quando se ne è andata non è stato più lo stesso. Mi sono adeguato a vivere senza la sua presenza, convinto che ormai non l'avrei più rivista. E ora è davanti a me, a chiedermi come sto.

«Bene» mento appositamente. «E tu?»
Bel discorso, devo dire.
Dovremmo parlare di come ci siamo lasciati, di come è sparita dalla circolazione, di come ha potuto lasciarmi con una fottuta lettera.
Ma sono orgoglioso e non lo chiederò per primo, dovrà essere lei a farlo.

Jillian avanza di qualche passo, si avvicina e io resto immobile a fissarla, finché non arriva davanti a me. A tre passi di distanza. Il suo profumo mi avvolge le narici, la sua presenza ora la sento forte e chiara.
Guardo i suoi occhi azzurri, mi ci rispecchio dentro.

Ha la testa sollevata per poter arrivare a vedere il mio viso e il mio sguardo segue tutti i suoi lineamenti, a partire dalla fronte, per poi scendere sul naso e fermarsi ad ammirare la sua bocca, facendomi ricordare tutti i baci che ci siamo scambiati.
Dio, quante volte mi sono chinato a prendere quelle labbra e farle solo mie.

Adesso c'è un altro che lo fa al mio posto e la gelosia mi assale. Un crampo allo stomaco che si fa sentire con prepotenza. Maledizione.
Contraggo la mascella e stringo il pugno lungo il fianco, vorrei spaccare qualsiasi cosa mi capiti davanti.
Anche io ho un'altra donna, cazzo. Non dovrebbe importarmi di cosa fa lei, di chi c'è nella sua vita, eppure non è così.
Forse perché so che per me quella donna conta meno di zero. Mi diverto. Non è niente di serio e mai lo sarà.

«Bene...» sussurra.
«Sembriamo due sconosciuti, parlando così» realizza, sospirando.
Siamo due adulti che lavoreranno fianco a fianco senza alcun rapporto e questo ci sta distruggendo allo stesso modo. Consapevoli che è finito tutto.

La tensione si può tagliare con un coltello. Aleggia nell'aria, facendosi sentire forte e chiara.
Tolgo fuori le mani dalle tasche dei jeans e sposto la direzione dei miei occhi sull'ufficio in cui troviamo, la stanza che dovremo condividere. Niente più stage, adesso. Saremo solo noi due qui dentro, tra queste mura.

«Tuo padre ci ha fregato» dico con un mezzo sorriso, che di felicità non ha nulla. Mi ha chiaramente minacciato che se non mi fosse andato bene, potevo benissimo andarmene.
«Non me lo aspettavo nemmeno io. Sapevo che tu eri qui, ma... Pensavo in altro ufficio.»

«Già. Magari in un altro piano, possibilmente lontano da te. È ciò che speravo anche io» dico, freddo.
Le mie parole la feriscono e so che ci rimane male, perché mi fissa infastidita.

«Sarebbe stato perfetto, dato che viviamo già nella stessa casa.»
«Non ti ho costretto io a tornare... Potevi rimanere dove eri!» alzo la voce. Sono crudele, ma se lo merita.

Jillian mi guarda malissimo, fulminandomi un'occhiata di puro astio.
«Se sono partita è stata per colpa tua, ti ricordo!» mette le mani sui fianchi, sfidandomi a contraddirla.
Stiamo litigando e siamo insieme solo da cinque minuti.
Maledizione.

«È stata colpa mia» ammetto, «Ma non ti sei fatta problemi a lasciarmi come un coglione qui da solo, con una cazzo di lettera!» sbotto, con una mano che alzo in aria, gesticolando per la rabbia. Al diavolo l'orgoglio di non dirlo per primo.
Inizialmente pensavo che dovesse trovare l'uomo giusto per lei, ma dopo ho realizzato che sono sempre stato io, e nessuno potrà stare al mio posto.
Sono egoista a pensarlo, ma so che è così.
Ormai però non conta più nulla.

«Ringrazia solo che te l'abbia scritta quella lettera!» risponde a tono, avvicinandosi. «Non ti meritavi niente dopo quello che mi hai fatto passare. E non parlo solo di quella bugia, parlo anche del fatto che per mesi non ci siamo più rivolti la parola.
Io non ne potevo più!» grida con gli occhi lucidi. «E se ora sono tornata, non è certo per te! Ho una famiglia e una casa, qui. New York è la mia città e lo sarà sempre, indipendentemente dalla tua presenza.
Puoi anche sparire del tutto, per quanto mi riguarda!»

Sta parlando come se non tenesse più a me, come se io non contassi più nulla per lei e mi viene da dire solo una parola.
«Stronza» sibilo, ferito e deluso.
Sta cancellando tutto il nostro passato, tutto quello che c'è stato.

Jillian si asciuga velocemente una lacrima sfuggita al suo controllo, poi tira su con il naso e scuote la testa, piano.
«Non volevo dire...» si corregge, rendendosi conto di aver detto una stronzata.

«Volevi dire che se morissi, per te sarebbe anche meglio. No? Era questo che intendevi!» la accuso, gridando.

«No! Diamine no!» grida. «Come ti viene in mente? Vorrei solo che tu non fossi nella mia testa!» si tocca quest'ultima con entrambe le mani, come se avesse un'emicrania.
Mi sta facendo capire che in questo tempo sono sempre stato lì, non mi hai mai dimenticato.
Questa sua frase mi fa calmare all'istante e quando rispondo il mio tono di voce è completamente diverso. Triste e malinconico.

«Vorrei la stessa identica cosa, dato che non ho mai smesso di pensarti» ammetto, sinceramente.
Jillian alza di nuovo lo sguardo verso di me, le mie parole sembrano sorbire il loro effetto. Mi guarda con un misto di incredulità e sorpresa, con gli occhi leggermente sgranati.
Lascia le mani ricadere lungo i fianchi e poi fa un enorme respiro, sconfitta.
Per qualche secondo cala un improvviso silenzio, poi è lei che decide di interromperlo.
Per farlo si gira e mi dà le spalle, si sta nascondendo alla mia visuale.
Forse non vuole farmi vedere gli occhi lucidi, ma li ho già notati.
Fa veramente male.

«Vorrei la scrivania che c'è vicino al muro» dice, piano.
«Io ho già scelto quella vicino alla vetrata.»
«Bene. Su questo siamo d'accordo» sospira e si dirige proprio lì.

Lascio cadere l'argomento su noi due e non parlo più di nulla. Voglio solo finire la giornata e tornarmene a casa.

Io, tu e un lavoro. (Vol. 2)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora