18. Ricordi

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Jamie:

Siamo nel quartiere italiano, la Little Italy di New York. Non ci sono mai stato, è la prima volta ed è come essere ripiombato in Italia, riportando a galla anche i vecchi ricordi.
Stavolta ho portato Jillian con me.
Non voglio più che ci siano segreti tra noi e dopo il lavoro le ho detto di dover incontrare Luca e se avesse voglia di accompagnarmi.

Ho fatto passare tutta la giornata di ieri senza cercarlo, ma poi mi sono dovuto decidere.
Rimandare è inutile.

E quindi, sono le sette di sera e stiamo raggiungendo il locale dove lo dobbiamo incontrare. Sta alloggiando in un hotel qui in zona.

Le strade sono ricche di gente che passeggia chiacchierando allegramente con la propria lingua.
E il fatto di capire ogni cosa che dicono, mi ricorda invece il primo periodo, quando sono arrivato a Roma e non capivo una parola di quello che dicevano, mi sembrava complicato anche un semplice "come stai".
Dovevo usare il traduttore per qualsiasi cosa.
Imparare la lingua è stato quasi obbligatorio, peccato non averla sfruttata in modo diverso.

Fare il ladro e rapinare banche, o vendere soldi falsi non sarebbe mai dovuto succedere e se oggi sono qui, è proprio per questo.
Chiudere quel capitolo della mia vita.

Google Maps ci avvisa di essere giunti a destinazione, quindi lo chiudo e metto il telefono nella tasca dei miei jeans chiari.
«Siamo arrivati.»
Alzo lo sguardo e leggo la scritta del posto "Bar Roma".
Il fatto che abbia scelto proprio questo, non è un caso. Roma. Ricordi.

Chiudo un istante gli occhi e in un flash mi viene in mente la prima volta che abbiamo rapinato una banca e che ho preso una pistola tra le mani.
Non era carica, non avevamo intenzione di far del male a nessuno, ma l'ho dovuta puntare verso persone totalmente impaurite, ignare del fatto che non avrei mai e poi mai fatto fuoco. Eppure si sono viste la loro vita scorrere in un lampo, tutto per colpa nostra. Non dimenticherò mai quei visi carichi di terrore.
"Fermi o sparo."
Sono stato così convincente che non appena ho puntato l'arma in aria, tutti si sono buttati per terra, chi urlando, chi pregando.

«Ehi, tutto bene?»
Jillian mi appoggia una mano sul braccio che mi riporta velocemente alla realtà. Apro gli occhi di scatto e guardo quelle iridi bellissime. Di un azzurro spettacolare.

Scuoto la testa accennando un no come risposta e Jillian mi fissa, aprendo leggermente le labbra, come fosse sorpresa. Non capisco la sua reazione, sin quando non poggia un dito sulla mia guancia e asciuga una lacrima che non sapevo nemmeno fosse uscita. Me ne sto accorgendo solo in questo momento.

«Cosa succede?» chiede, a questo punto, molto preoccupata.
Mi sento in colpa per quelle persone. Mi sento in colpa di aver pensato solo a me stesso e a condurre una vita che non mi apparteneva.
Se lo sapessero mio padre e mia madre, probabilmente non mi guarderebbero più allo stesso modo.
Mi amano, eppure non lo merito, così come non merito Jillian. La ragazza che mi ha rubato il cuore, è che ormai amo più della mia stessa vita.

Sono così tanto egoista che la voglio solo per me e non riesco ad immaginare di passare tutta la mia vita senza di lei, o peggio ancora, che un giorno possa crearsi un famiglia tutta sua dove io non esisto.

Jillian afferra la mia mano. «Vieni un secondo» inspira aria e mi trascina in una stradina laterale, di fianco al locale. Cammino senza fiatare, facendomi trascinare come un cagnolino.
Siamo soli, non c'è nessuno se non l'odore dei cassonetti della spazzatura non molto lontani da noi.
Faccio una smorfia disgustata «Non è il posto ideale per stare» borbotto. «Sto bene.»
«Non stai bene, non mentire» Si ferma e incrocia le braccia al petto.
Ora siamo uno davanti all'altra.

Respiro forte e mi passo una mano tra i capelli folti, spostando il ciuffo all'indietro. Sono cresciuti troppo.
«Dannazione. Devo tagliarli» dico, sovrappensiero.

Io, tu e un lavoro. (Vol. 2)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora