4. Gli occhi del nemico

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Aveva tenuto a mente le parole di Landrin e aveva cercato informazioni sulle abitudini della sua preda nel Soket, dopo che aveva individuato la sua casa. Aveva dei malandrini, ogni tanto i vicini li avevano visti, in particolar modo in quel periodo, ma dalle loro descrizioni non sembravano essere pericolosi.

Aveva dunque deciso di attenderla, appostata su di una rozza panca del giardino di fronte, un banale pezzo di legno che serviva ai più piccoli per stendere i panni.

La caligo non era troppo densa, poteva vedere chi passava nel vialetto attraverso quella coltre giallognola. Non distingueva perfettamente le loro figure, parevano simili tra loro e sperava che lo stesso valesse per lei, che potesse essere scambiata per uno dei tanti abitanti di quelle strette case.

Aveva atteso a lungo, tanto che qualche ricordo era tornato a galla, quello giusto, avrebbe detto, per l'occasione. Non sceglieva la poca gente esule di Aschengeboren casualmente, aveva troppi conti in sospeso con loro e doveva chiuderli a modo suo. C'erano alcuni che erano davvero fuggiti come lei, ma gli altri erano puri parassiti, annidatisi dentro quella città. Trattavano i suoi abitanti come se fossero già una loro proprietà, credevano che Vertigo e la Fossa fossero loro, in vista di una sognata invasione. Peccato che l'Impero non avesse alcuna intenzione recente di conquistarle, non con il peso di una passata sconfitta su di una spalla e della risposta dei fastidiosi vicini di Vertigo, i nebovidari, sull'altra. Abitavano i territori a est della Marca e li custodivano con gran gelosia. Poco avrebbero tollerato gli intrusi e non sarebbero stati clementi nei loro confronti. La gente di Aschengeboren li riteneva dei selvaggi, ma preferivano attaccarli a parole piuttosto che sul campo di battaglia.

Era solo vanagloria, la loro, e lei avrebbe fatto tutto pur di togliere loro quella certezza di onnipotenza.

Una figura apparve nella nebbia e l'analizzò, come tante altre. Era una donna, magra e leggermente più alta della media, con metà capelli biondi legati malamente, mentre gli altri le ricadevano lungo la schiena. Le vesti erano troppo larghe per la sua esile corporatura, in particolar modo la gonna, sorretta da un'ulteriore cinghia rispetto la norma. Si guardava attorno circospetta e china: aveva paura, sapeva di essere in guai seri.

Sorrise, soddisfatta e, non appena entrò nel suo cortile, ai alzò e la seguì, prendendo lo sclope in mano. Sarebbe bastato un singolo colpo, diretto alla testa, e avrebbe avuto la sua taglia.

Non avrebbe perso tempo ad accendere una miccia. Gli armaioli della Fossa erano terribilmente abili nel modificare le armi e lei aveva sfruttato le loro doti: l'archibugio che aveva sottratto dall'esercito di Aschengeboren ora possedeva una carica a pirozoino. Non era immediata, ma le bastava tirare una piccola leva laterale per far fuoco.

Entrò nel giardino silenziosa, pronta a caricare lo sclope, ma altre due figure raggiunsero la donna, uscendo dalla casa. Erano due bambini, che la raggiunsero e la cinsero in un abbraccio.

La sua mano si bloccò sulla leva, paralizzata: erano un elemento di cui non aveva tenuto conto. Margi non le aveva parlato di figli, nemmeno Landrin e tanto meno i vicini di casa.

Esitò, troppo, e uno dei due bambini la notò e urlò. La donna si voltò e la guardò, terrorizzata. I suoi occhi castani erano solcati da profonde occhiaie, rendendo la sua magra figura ancora più misera.

Cercò di nascondere i figli dietro di sé ed estrasse un coltello dalla veste puntandoglielo contro. Era inutile, ma probabilmente in quel momento non voleva proteggere se stessa.

Deglutì e ritentò il colpo, ma quando incrociò ancora quegli occhi spauriti, la sua mano non si mosse. Cercò di vedere la freddezza dell'ufficiale al suo interno, tentò di intravvedere l'impassibilità del caporale, ma infine vide solo che il suo riflesso.

I Racconti della Fossa - I CorviDove le storie prendono vita. Scoprilo ora