La luce del sole entrava pigra dalla vetrata, tinta dai primi colori ambrati del tramonto. Un perfetto rettangolo di luce si rifletteva nella stanza, tagliando a metà il tavolo di legno al centro. In realtà il rettangolo sarebbe stato perfetto se non fosse stato macchiato dall'ombra di un'alta figura che fissava il panorama, dandogli le spalle.
Il silenzio lo stava letteralmente uccidendo, non gli aveva rivolto parola da quando gli aveva chiesto di restare, come molte altre volte. E come molte altre volte doveva sopportare quello strazio, quella sua fredda e impenetrabile distanza. Non chiedeva molto, solo che per una volta fosse sincera, che gli dicesse cosa la turbasse, ma sapeva che fosse una vaga illusione. Lui non avrebbe mai avuto quell'onore, lui sarebbe rimasto un semplice confidente di piccoli dubbi, la spalla che doveva semplicemente confermare le sue idee come un'eco. Eppure lui, come un povero mendicante, si accontentava pure degli spiccioli, tanta era la sua disperazione.
«Credi che ne sia davvero valsa la pena?» gli chiese, rompendo il silenzio.
Conosceva quella domanda e conosceva pure la risposta giusta, le parole che doveva dire per rafforzare le sue idee, per convincerla che non avevano commesso errori. Eppure quel giorno decise di non assecondarla.
«A cosa ti riferisci?» le chiese a tradimento.
Non ottenne risposta, il silenzio tornò nella stanza e sembrò echeggiare tra le alte colonne scavate nella roccia. Era strutturata in modo strano: era di medie dimensioni, molto slanciata, ma la zona superiore era inutile, non conteneva nulla se non dei drappi rossi. Non aveva senso, come non avesse senso che lui si dannasse per essere cordiale e non aggravare la sua situazione, mentre avrebbe dovuto metterle davanti la verità.
«È un'ottima domanda in realtà», gli rispose, prima di allungare una mano verso il vetro e sfiorarlo con delicatezza, «Dimmi Massi, quando ti guardi allo specchio, cosa vedi?»
Quella domanda era nuova, doveva aver toccato un tasto sensibile, qualcosa che forse l'avrebbe sbloccata, qualcosa che l'avrebbe portata a confidarsi anche con lui. Eppure non seppe cosa rispondere.
La verità faceva male, ma tra le mezze verità non sapeva quale fosse la migliore da giocare.
«Lasciamo perdere, non ti ho trattenuto per disturbarti con i miei problemi.»
Strinse un pugno per la rabbia: aveva perso la sua occasione, ancora. Quelle conversazioni finivano ogni volta così, con lei che si ritirava e parlava semplicemente di affari. Dopotutto lui era la sua spalla, non aveva senso che si avvicinasse, che rafforzasse il loro legame. E lui ogni volta accettava, cadendo in quel circolo vizioso per non indisporla e perderla.
Una volta aveva tentato di andare oltre il suo ruolo, ma aveva scelto il momento sbagliato e l'aveva indisposta. Aveva imparato la lezione, ma aveva ancora quella scena davanti gli occhi: le sue minacce e le sue lacrime di rabbia che, per quanto non fossero rivolte verso di lui, l'avevano lo stesso ferito.
«Qual è la questione?» chiese.
Lei si voltò, lasciando che i raggi del sole la illuminassero come un'aureola. Era bella sotto quella luce ambrata, più di altre volte. I suoi occhi gialli brillavano ed erano chiazzati da piccole pagliuzze verdi, mentre i capelli biondi risplendevano come se fossero tessuti con tanti fili dorati. Il suo volto, per quanto affilato, era incredibilmente delicato. Riusciva a sottolineare una certa autorità e superiorità, quasi appartenesse ad una razza perfetta e irraggiungibile per la gente comune. Eppure nemmeno la luce del sole riusciva a celare la sua stanchezza, quella scintilla di vitalità si spegnava man mano che si avvicinavano al loro obiettivo. Tutti gli altri erano entusiasti, si godevano quanto avevano, mentre lei peggiorava, dimagriva, diveniva più pallida e si isolava sempre di più, apparendo solo quando fosse necessario. Le mancava qualcosa di importante, sapeva che dal momento in cui l'aveva persa tutto era peggiorato, ma lui non voleva ammettere che fosse quella la causa, non voleva cedere a quell'evidenza perché avrebbe reso ancora più misera la sua condizione.
Lei si avvicinò con incredibile grazia e si sedette sulla sedia al suo fianco, senza guardarlo negli occhi. Si spostavano in ogni angolo, in ogni pertugio, quasi temesse che non fossero soli.
«Gli Aureli hanno richiesto una taglia. Anzi, un cliente degli Aureli ha chiesto una taglia e il Vecchio Corvo mi ha detto che ha richiesto il tuo intervento.»
Era sospetto, molto, ma il maggior fastidio glielo aveva dato un'altra questione.
«E perché l'ha detto solo a te?»
«Voleva che ragionassi, come sempre. Spera ancora di rivedere la ragazzina piena di ideali e di convinzioni che si era presentata davanti alla sua porta anni fa.»
Percepì la tristezza nella sua voce e soffrì per lei. Voleva pure lui che tornasse quella di un tempo, che mostrasse la convinzione perduta e che non trattasse tutto come una procedura meccanica, come un obbligo che doveva adempire per non sentirsi vuota.
«Se è una spia la elimino» disse, per chiudere il prima possibile la conversazione.
Era anche quello ormai comune, che non riuscisse più a sopportare di restare a lungo al suo fianco. Si sentiva inadeguato e inutile, una delle tante persone che tappezzavano la sua vita, non una speciale, non qualcuno con cui magari legarsi di più e giungere oltre a una semplice amicizia. Per anni aveva sperato di occupare quel posto, finora tutte le sue relazioni erano state prive di un genuino interesse. Poteva esserci ancora posto per lui, dopotutto la capiva meglio di molti altri.
Invece quella bell'illusione si era infranta, quel posto occupato da anni, anche se tra i due era rimasto lui al suo fianco. Una vittoria vuota, forse persino una presa in giro.
«Non dirlo al Vecchio Corvo se lo fai», lo raccomandò lei.
«Come ogni volta», rispose lui, prima di alzarsi e congedarsi.
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I Racconti della Fossa - I Corvi
Fantasy(SERIE DI RACCONTI) Nella Fossa vige una sola legge: sopravvivere, ad ogni costo. Staccarsi dal dominio di Vertigo ha fatto precipitare il quartiere nell'anarchia e solo i più scaltri sono riusciti a ritagliarsi il loro posto. L'ordine è dettato dai...