1. La scommessa (I)

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Non aveva fortuna, sua madre glielo aveva spesso detto sin da quando era nato. Anche i suoi amici lo avevano canzonato al riguardo, ma lui aveva sempre sperato che si trattasse di incidenti, di casualità e che non fosse nato davvero sotto l'occhio malevolo di una divinità. Eppure non aveva nulla per dimostrare il contrario.

Con la carriera non era giunto lontano, da un lato perché nella Fossa non era facile trovare un impiego serio e regolare, dall'altro perché nessuna banda era stata più intenzionata a prenderlo dopo alcuni incidenti che aveva causato con il suo dono. Aveva dovuto ripiegare come cacciatore di taglie, ma temeva che fosse stato accettato dentro i Corvi solo perché era un caso disperato, come tutti i suoi membri.

Con i soldi, dunque, si era ritrovato ad avere entrate a singhiozzo, talvolta buone e talvolta nulle, se gli capitava di fallire la casiada. Sua madre gli ricordava che fosse meglio di battere le strade e chiedere l'elemosina, ma sapeva che lo diceva principalmente perché preferiva vederlo a cacciare la gentaglia piuttosto che farne parte.

All'amore, invece, non voleva proprio pensarci. La sua non felice nomea aveva allontanato anche le ragazze, che tendevano a deriderlo o evitarlo per timore. Peccato che la sfortuna non si era accontenta di lasciarlo solo come un esperimento rigettato, ma aveva anche deciso di farlo cadere sotto l'incanto di una giovane ragazza.

Non l'aveva chiesto, magari l'aveva in parte sperato, ma, senza risultati, si trovava più a lamentarsi che a gioirne. Eppure non riusciva a dimenticarsi quegli occhi azzurri così vispi, quegli insoliti capelli gialli, che sembravano infonderle ancora più energia, e quel corpicino così minuto e grazioso, contenente però un carattere focoso.

Aveva provato a parlarle, aveva provato ad avvicinarsi in qualche modo, ma doveva aver decisamente sbagliato qualcosa se un giorno la sorella gli aveva tirato un cazzotto sul volto, intimandogli di non farsi più rivedere se non voleva ricevere di peggio. Così non aveva solo perso un dente, ma pure qualsiasi sogno di passare la vita con lei.

Gli rimaneva solo la salute, di quella non si era mai lamentato. In venticinque anni della sua esistenza aveva contratto poche malattie e deboli, mentre i suoi coetanei morivano come insetti. Qualche volta la vita l'aveva rischiata nelle casiade, ma era stato sempre bravo a comprendere quando stesse per attraversare il limite.

Almeno fino a quell'istante.

Aveva deciso di intascarsi la paga per quel mese e, dunque, aveva preferito vedere la cifra e non la taglia in questione. Non si era rivelata una scelta molto sagace perché, oltre alla natura della taglia, avrebbe dovuto informarsi sul mandante.

Aveva sempre avuto fortuna con la salute, ma ora che si trovava davanti a Macula, uno dei baroni più pericolosi della Fossa, aveva il sentore che la malasorte volesse sottrargli l'ultima cosa che gli fosse rimasta.

Si sentiva in soggezione, non solo per la figura dell'uomo, seduta al centro dalla sala su di un pacchiano divano foderato di rosso con le bordure dorate, ricco di elementi decorativi: la stanza era nella media, ma le pareti vicino all'entrata erano più strette, a causa di due grandi acquari. Al loro interno nuotavano i bisati, dei pesci simili a serpenti, così lunghi che parevano attorcigliarsi gli uni sugli altri mentre si muovevano in quell'angusto spazio. Sembravano fissarlo pigramente con i loro occhi verdognoli come le poche piante che si intravvedevano dentro le vasche.

Le lastre dell'acquario erano di un tenue azzurro, che veniva riflesso dalle lucernette sul suo retro. La luce azzurra, però, ricopriva tutto l'ambiente, probabilmente a causa dei vetri colorati posti sui lampadari e sulle lanterne, rendendo l'atmosfera surreale e poco accogliente.

I Racconti della Fossa - I CorviDove le storie prendono vita. Scoprilo ora