5. Vicolo cieco

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Da un lato era sollevato e parecchio: non aveva un armadio a quattro ante che gli stava con il fiato sul collo, minacciandolo di morte, e gli uomini di Gierczak sembravano essere spariti da quando aveva la sua nuova scorta. La divisa dei due giovani doveva effettivamente simboleggiare qualcosa e stava tenendo lontani da loro eventuali minacce.

Si stava pure godendo la compagnia di Sesta, per quanto avesse camminato in silenzio per tutto il tempo. Non avevano una direzione, stavano seguendo le delle vage indicazioni che lui aveva ottenuto per strada, ma lei non aveva dato il minimo contributo, anzi erano stati più collaborativi gli altri due, aiutandolo nella ricerca. Eppure lui desiderava parlarle, di intraprendere una conversazione e conoscere meglio quella meravigliosa creatura a cui aveva stupidamente rinunciato. Forse credeva che avvicinandosi avrebbe avuto una seconda opportunità, una seconda occasione che avrebbe dovuto sfruttare. Al solo pensiero risalì il senso di colpa, ritornando con il pensiero alla giovane dai capelli gialli.

«Senti, posso chiederti una cosa?»

Rimuginando sui suoi problemi aveva trovato un possibile argomento e sperò che funzionasse.

Sesta si voltò e lui notò in quel momento il suo sguardo leggermente spento, come se non stesse bene. Gli fece però cenno di proseguire e lui giocò la sua carta.

«Conosci per caso una giovane che si chiama Decima?»

«Sì, è mia sorella.»

Restò sorpreso da quella rivelazione, per quanto fosse abbastanza ovvia. I nomi erano simili, entrambe erano delle eteree e forse avevano dei tratti simili, forse poteva dire che entrambe fossero attraenti, anche se in modo diverso. Forse doveva essere più sorpreso che fosse imparentata con quella belva che gli aveva fatto saltare un dente: con lei non aveva nulla in comune, se non il colore degli occhi.

Sesta si portò una mano alla tempia e chiuse gli occhi, prendendo un respiro.

«Va tutto bene?» gli chiese, preoccupato.

«Solo un po' di confusione mentale, il malus del mio dono. Comunque, perché me lo hai chiesto?»

C'era qualcosa di strano nella sua intonazione, ma non seppe se fosse dovuto dal suo malessere. Sembrava in parte preoccupata, in parte curiosa, quasi volesse capire cosa lo legasse alla sorella.

«La conosco e mi sembrava strana la somiglianza dei vostri nomi» rispose.

Sesta sorrise amaramente e lui provò un moto di tristezza per lei. Nel suo sguardo e nella sua espressione aveva letto fin troppe emozioni, segno di un passato complicato e che di certo non avrebbe raccontato a lui. Per qualche motivo, però, avrebbe voluto saperlo e magari consolarla per tutte le sofferenze che l'avevano portata ad allontanarsi da Decima.

«La prossima volta che la vedi, dille di non fare cavolate. Talvolta crede di essere più adulta di quanto non lo sia in realtà.»

Provò un ulteriore moto di tristezza nei suoi confronti. Al contrario di Decima, non aveva rancori nei suoi confronti. Forse non sapeva nemmeno quale fosse la disposizione della sorella nei suoi confronti e credeva che magari, un giorno, si sarebbero potute incontrare nuovamente in tranquillità.

Un suono attirò la sua attenzione e quello del gruppo, che si fermò e controllò la zona. Erano ufficialmente usciti dalla Ciacola ed erano in una zona residenziale scavata nella roccia, solamente illuminata dai lampioni. Molte delle luci delle case erano spente e la strada era praticamente vuota, lasciandoli in compagnia di mesti edifici di pietra, composti da tanti piccoli appartamenti. Delle scale li collegavano, percorrendoli in ogni direzione. Qualche parete era crepata e rovinata, qualche porta malconcia, ma complessivamente sembravano più stabili e ben tenuti delle baracche dei bassifondi, dove qualsiasi materiale era ammesso per la loro costruzione.

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