2. Echi di vallate lontane

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Il sogno di quella mattina l'aveva portata indietro a un tempo remoto, quando ancora credeva che la libertà si trovasse in prati sconfinati o su impervi sentirei montani. Mai avrebbe pensato che invece fosse in un borgo incastrato in una buca, dove l'urbanistica selvaggia cercava ogni appiglio per poter edificare nuove abitazioni.

Un tempo, le avevano detto, c'erano state solo le vie scavate nella roccia e qualche casa sul fondo, vicino ai laboratori, poi gli abitanti si erano spostati sul Ponte Vecchio, nelle zone che separavano le varie arcate, poi sui camini delle fabbriche quando erano stati spenti. Per collegare tutto avevano costruito ponti di ferro e, siccome alcuni erano abbastanza larghi, case erano state edificate anche lassù, in posizioni pericolanti.

Non era un borgo, era un'enorme ragnatela di ferro e mattoni, un labirinto che non perdonava se si perdeva la via. E per perdere la via, c'era sempre la caligo a confonderti, un fumo giallognolo e dall'odore nauseante, un miscuglio creato dallo smog delle fabbriche e dalle esalazioni dei comignoli degli alchimisti.

Si condensava negli strati più bassi, creava una cappa spesso fitta e fastidiosa che difficilmente risaliva fino alla cima. Non era costante la sua posizione, variava con il variare delle giornate e credenza popolare era che la Signora decidesse se spazzarla o meno durante la sua risalita. Era una delle tante divinità di quell'agglomerato di culture, una delle poche che fosse riconosciuta da tutte. Le avevano detto che avesse importanza anche sopra, a Vertigo, siccome gli abitanti della città credevano fosse capace di creare terribili raffiche di vento quando si adirava con la popolazione.

In realtà aveva quasi riso la prima volta, a sentire che una dea del vento fosse così temuta, ma aveva capito che fosse meglio non criticarla, da quanto fosse rispettata anche nella Fossa. Forse era una delle poche cose che la gente là sotto rispettasse, oltre ai soldi che potevano guadagnare.

Le porte dell'ascensore si aprirono e, iniziando a percorrere il ponte davanti a lei, dovette coprirsi gli occhi: era al primo strato, il sole lo raggiungeva e anche troppo per i suoi occhi ormai abituati al buio. Era al Mercato Nuovo, una zona commerciale dove le bancarelle erano stipate su ogni centimetro di ferro disponibile, vendendo sia i migliori prodotti della Fossa, sia cianfrusaglie dei bassifondi, spacciate per meraviglie, soprattutto per gli allocchi di Vertigo che credevano di fare grandi affari, spendendo molto meno rispetto alla loro città.

Stava per proseguire diritta, verso l' Ufficio, se non avesse visto una persona trattare con un mercante di fiori. Era una sua conoscenza e mai avrebbe pensato di trovarla in una situazione simile.

«Ohi Gyza, affari importati oggi?»

La donna si voltò, guardandola trova. Era di pessimo umore, non propriamente una novità nel suo caso.

«Se avessi una sorella che si sposa, non saresti così ironica, Gnes»

Capì il suo problema, era lo stesso che riguardava la maggior parte di loro: le terribili spese in eccesso che creavano ulteriori fastidi. Aveva mal pensato per la scuola di sua figlia, ma un matrimonio era forse peggio.

«Buona fortuna allora» le disse, prima di voltarsi e proseguire.

Fece solo pochi metri prima che Gyza la raggiungesse, forse più crucciata di prima.

Aprì bocca, ma la donna la bloccò con un gesto della mano.

Obbedì e attese, sapendo che a breve sarebbe caduta una valanga.

«Non ne posso più, sto solo che tirando su taglie giorno dopo giorno. Se vado avanti così crollerò in ufficio. Sì, lo so, è per il bene di mia sorella, ma dannazione! Lei si trova il buon marito che la fa vivere bene, mentre io mi spacco e rischio l'osso del collo perché si sistemi bene. Con te invece come va?»

I Racconti della Fossa - I CorviDove le storie prendono vita. Scoprilo ora