1. Toni Malaroda

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Il luogo non gli piaceva, l'odore di pesce e salsedine nemmeno e non tollerava neppure quel coro cacofonico di voci che riempiva la sala. Non voleva essere lì, ma doveva: suo figlio, come un idiota, si era rotto una gamba e servivano soldi per pagare un medico. Le scorte le usavano solo per il cibo, il carburante e le emergenze gravi, non di certo per un infortunio simile.

Aveva avuto altro in mente, una casiada succulenta che avrebbe ben fruttato, ma che avrebbe richiesto tempo. Invece si era dovuto accontentare di una preda più piccola pur di non sentire i lamenti da femminuccia di suo figlio. Lo studio doveva averlo rammollito, alla sua età le gambe rotte erano state il minimo per lui: la debolezza non era tollerata sulla strada, se si voleva sopravvivere.

Era stato persino tentato di farlo soffrire un po', perché imparasse dai suoi errori, ma era intervenuta sua moglie e, le sue urla aggiunte ai lamenti, l'avevano fatto cedere. Il caos gli dava fastidio, anzi particolarmente fastidio, e, piuttosto che rischiare una crisi di nervi e commettere un omicidio di famiglia, era uscito e si era diretto in Ufficio.

E ora il rumoroso chiacchiericcio di quel locale stava sortendo lo stesso effetto.

Non era un uomo d'attesa, non lo era mai stato, ma in quel caso doveva aspettare, aspettare che la sua preda si fosse riempita di vino per poi prelevarla senza dare nell'occhio. Era al Porto e il Porto non era la Fossa. Vi erano delle leggi là e anche chi le faceva rispettare: prendere di petto l'azione non era una mossa intelligente, poteva attirare attenzioni indiscrete e lui doveva tornare a casa con dei soldi, non farsi pagare una cauzione perché era finito dietro le sbarre.

Aveva anche pensato di scatenare una rissa appositamente, in quell'angolo del rione non erano poi così rare. Il Calcinaccio raccoglieva il peggio che il mare poteva offrire, tra briganti dell'Eptanesos, viscidi affaristi mugeseri, ricchi nebovidari legati ai peggiori traffici e altre genti che non sapeva identificare, ma che di certo non erano i rispettosi commercianti con cui Vertigo si vantava di fare affari. Tutti erano estremamente permalosi e tutti preferivano far pagare i torti subiti in maniera diretta, senta troppi giri di parole.

Sapeva, però, che lui non era uno stratega ed era sicuro che. se avesse fatto scattare la scintilla, l'avrebbero di certo additato. Forse colpa il suo aspetto, difficilmente confondibile a causa di tutti i tatuaggi che tappezzavano il corpo, ma forse anche colpa la sua incapacità di fermarsi davanti ad una scazzottata.

Quindi era là ad attendere sbuffando, costretto a bere una bevanda che sapeva di urina, mentre bramava il crollo della sua preda.

Il sono nome era Toni Maladora. Era un ometto piccolo, smilzo e dal volto rovinato dal cheroson. Era un perfetto nessuno e pure gracile. Aveva commesso il banale errore di vendere dei finti intrugli a un vassallo che, non essendo molto sveglio, aveva speso parecchi soldi per trovarsi con un pugno di cenere in mano. Come nel Porto, anche nella Fossa i torti si riscattavano direttamente, ma se si possedeva un certo capitale lo si faceva fare ad altri. E l'altro in quel caso era lui.

Lanciò ancora uno sguardo a Toni Malaroda ma, da come stava tranquillamente parlando con i suoi compagni di tavolata e da come presentava fin troppo bene le sue finte pozioni, capì che era ancora lontano dall'essere ubriaco. Questa volta, però, uno del gruppo, un uomo dai tratti marcati e dai capelli biondo scuro stretti in una bassa coda, fece un cenno a Toni e poi lo indicò.

Maledisse tre pantheon di divinità mentre la sua preda si voltò, lo notò, divenne ancora più pallido di quanto non lo fosse già e scappò.

Raccolse il suo grosso fucile a ripetizione da terra e se la caricò in spalle, prima di seguirlo. Toni Malaroda si era diretto verso le cucine e per sua fortuna gli stava aprendo la strada, evitandogli di incrociare persone sul suo cammino.

I Racconti della Fossa - I CorviDove le storie prendono vita. Scoprilo ora