Signorina Wood, di nuovo qui

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Si era svegliata come suo solito prestissimo: erano le 5. Si mise seduta sul letto, aspettando l'alba. Appena riuscì a scorgere le prime luci che trapassavano dalle finestre di casa sua decise di buttarsi in bagno: l'acqua calda l'avvolse del tutto, dandole un senso di protezione e di tranquillità.
Scelse a caso i vestiti da indossare, vedendo se non fossero troppo sciupati o stropicciati.
Optò per dei classici jeans a palazzo (di moda in quel periodo), una felpa grigia di un paio di taglie più grande, le sue insuperabili Converse alte nere, un po' sbiadite dai troppi giorni passati ai suoi piedi. Non portava particolari accessori: aveva vari buchi sulle orecchie dove spiccavano degli orecchini argentati, una catenina girocollo, il suo orologio e qualche anello.

Raccolse lo zaino da terra, preparato già la sera precedente, prese una mela ed uscì.
Si incamminò quindi verso scuola: nel mentre addentava il frutto, tutto per evitare di svenire dopo due ore per glicemia bassa.

Per tutto il tragitto aveva avuto una strana sensazione: si sentiva osservata, inseguita.
Difatti decise di cambiare strada, infilandosi nella vegetazione del bosco: poteva sembrare una scelta stupida e avventata, ma Medea conosceva quel posto come le sue tasche ed era sicura di poter seminare chiunque le stesse dando quella sensazione.
Camminò a passo spedito fino ad uno spazio aperto, dove troneggiava un piccolo tavolo da pic nic.
Si avvicinò e si sedette: sul legno erano incisi tre numeri, in particolare tre zeri. Passò il dito delicatamente sull'incisione, ma questo gesto le provocò una piccola ferita, data da una scheggia.
Ritirò immediatamente la mano, imprecando a bassa voce e stringendosi il palmo ferito.
Ormai era tardi per tornare indietro, quindi decise di andare direttamente a scuola, e di farsi medicare prima dell'inizio delle lezioni.
Quando riprese a camminare sentiva ancora quel senso di "occhi puntati addosso", ma lo ignorò. Si diede della paranoica e lasciò il bosco.

Medea arrivò a scuola una mezz'oretta circa dall'inizio della prima ora. Si avvicinò all'uomo che controllava l'entrata principale, e chiese di poter entrare e di andare in infermeria.
L'uomo dopo aver constatato che effettivamente era ferita, la lasciò entrare, chiudendo subito dietro di lei la porta, evitando così che due ragazzetti più piccoli potessero entrare, forse per combinare qualche scherzo.

Raggiunse la stanza adibita, salutò l'infermiera che ormai non si stupiva più di vederla là.

"Signorina Wood, di nuovo qui... cosa le è successo stavolta?"

"Salve Signora Klark, mi creda, è molto meno grave dell'ultima volta che ci siamo viste" disse Medea ridendo leggermente.

"E ci mancherebbe, l'ultima volta avevi un taglio di 6 centimetri sul fianco" la rimproverò l'infermiera.

"ero cadut-"

"si, eri caduta nel bosco e un ramo ti ha tagliata" la interruppe "sai già che non me la bevo".

Medea non sapeva cosa rispondere: si limitò ad abbassare lo sguardo, colpevole.
La signora Klark era la figura più vicina ad una madre che avesse mai avuto: si preoccupava per lei, la faceva ridere e la rassicurava.
E lei si sentiva estremamente in colpa per averle mentito, ma non poteva dire la verità.

La donna le estrasse con delle pinzette la scheggia dal palmo, e le fasciò delicatamente la mano. Le prescrisse degli antinfiammatori, raccomandandosi di venire da lei nel caso la ferita si fosse infettata.
Medea ringraziò l'infermiera e si avvicinò all'uscita, quando la donna la fermò.

"Dimmi la verità ora Medea, come stai?"

La ragazza non si aspettava una domanda del genere, tanto che rimase sbalordita per qualche secondo, prima di avere la prontezza per rispondere.

"Sto...bene".

"Sai che se c'è qualche problema, qualsiasi, puoi parlarne con me" la incalzò la signora Klark.

"Lo so, grazie" le sorrise grata Medea.

"Dai ora vai a lezione, non vorrai arrivare in ritardo alla lezione del signor Culson" ridacchiò.

"Dio no, sia mai. Quell'uomo già mi odia, come io odio la sua materia, se faccio in più ritardo mi boccerà" la seguì lei con la sua risata.

"Già, ma resisti ancora questi ultimi mesi... poi la matematica non ti servirà più. Ciao Medea, spero di rivederti il più tardi possibile" la congedò l'infermiera.

"Non le posso promettere niente" esclamò Medea mentre usciva di spalle.

Inevitabilmente andò a scontrarsi contro qualcuno: l'urto la fece traballare, tanto che le cadde lo zaino per terra.
Lei istintivamente si abbassò per raccoglierlo, mentre continuava a chiedere scusa.

"No scusami tu, ti sono praticamente venuto addosso" ridacchiò scusandosi una voce a lei familiare.

Le bastò rialzarsi per avere davanti il viso di Eddie Munson che la scrutava.

"E io uscivo senza guardare...direi che è colpa di entrambi" rispose saccente lei, sfoderando un piccolo ghigno.

"Anche se tecnicamente tu sei sbucata fuori all'improvviso...quindi forse un po' più di colpa ce l'hai tu" la provocò lui.

"Starei davvero qui a litigare con te tutto il giorno, ma non posso arrivare in ritardo... perciò ciao Eddie"

"Ehi, ci vediamo in mensa come al solito?" le chiese lui, in attesa di una risposta.

"Certo contaci" e se ne andò in classe.

A Medea parve strano quel comportamento da parte di Eddie: sapeva che ormai da un anno lei lo raggiungeva sempre al loro tavolo. Quindi non si spiegava quella richiesta. Ma ormai il professor Culson aveva iniziato a spiegare l'ennesima lezione incomprensibile alle orecchie di Medea sulla matematica, e lei si costrinse ad accantonare Eddie e ad ascoltare la lezione.

Dear Eddie, it's me, MedeaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora