ventisei

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Harry Styles.

Non era affatto contento, glielo si leggeva in faccia

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Non era affatto contento, glielo si leggeva in faccia.

A ogni modo, senza perdere altro tempo a discutere, mi prese tra le braccia e saltò leggero dalla finestra, atterrando leggero, come un gatto. Era un po' più in basso di quanto avessi immaginato.

«D'accordo», disse ribollendo di disapprovazione. «Salta su». Mi aiutò a salirgli in spalla e iniziò a correre.

Era passato molto tempo dall'ultima volta che mi aveva portato in spalle attraverso il bosco, eppure mi sembrò un gesto normale. Facile. Come andare in bicicletta: una volta imparato non te lo scordi più.

Sfrecciava nella foresta, in silenzio e nelle tenebre, il respiro lento e regolare. Il buio era tale che quasi non vedevo gli alberi che ci sfioravano e soltanto il soffio del vento sul viso mi dava l'idea della velocità.

L'aria era umida, ma non mi bruciava gli occhi com'era successo nella grande piazza, ed era un sollievo. E così la notte, dopo la luce terrificante di Volterra. Come la trapunta spessa sotto cui giocavo da piccolo, la notte era un riparo familiare.

Ricordai che, all'inizio, correre in quel modo nella foresta mi terrorizzava tanto che tenevo gli occhi chiusi. Ormai mi sembrava una reazione sciocca.

Avevo gli occhi spalancati, il mento appoggiato alla sua spalla, la guancia sul collo. La velocità era inebriante. Cento volte meglio della moto.

Affondai le labbra nel suo collo marmoreo.

«Grazie», disse mentre le sagome nere e indefinite degli alberi sfrecciavano via. «Significa che ti sei convinto di essere sveglio?».

Mi lasciai andare a una risata spontanea, naturale, schietta. Giusta. «Non proprio. Più che altro, sia quel che sia. Non voglio risvegliarmi. Non stanotte».

«In qualche modo riconquisterò la tua fiducia, Harry», mormorò tra sé. «Fosse l'ultima cosa che faccio».

«Ma io ti credo», lo rassicurai. «È di me stesso che non mi fido». «Spiegati, per cortesia».

Rallentò fino a camminare - me ne accorsi perché il vento cessò - e intuii che eravamo nei pressi della casa. Anzi, già distinguevo il suono del fiume che scorreva nei dintorni, nascosto nel buio.

«Be'...». Mi sforzai di trovare le parole migliori. «Non sono certo di poter essere... abbastanza. Di meritarti. Non c'è niente in me che potrebbe trattenerti».

Si fermò e si voltò per farmi scendere dalle sue spalle ma le mani delicate non mi lasciarono andare e, dopo avermi rimesso in piedi, mi strinse forte al petto.

«Il mio legame con te è permanente e indissolubile», sussurrò. «Non dubitarne mai». Come facevo a non dubitarne?

«Non mi hai ancora detto...», mormorò. «Cosa?». «Qual è il tuo problema più grande».

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