quattordici

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Harry Styles.

Spalancai gli occhi impaurito e poco importava che fossi talmente sfinito e rintronato da non rendermi neanche conto se stessi dormendo o no

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Spalancai gli occhi impaurito e poco importava che fossi talmente sfinito e rintronato da non rendermi neanche conto se stessi dormendo o no.

Qualcosa grattò di nuovo contro il vetro, con quello stesso rumore sottile e stridulo.

Confuso e imbambolato dal sonno, mi trascinai giù dal letto per avvicinarmi alla finestra, asciugandomi gli occhi pesti e gonfi di lacrime.

Una sagoma enorme e scura dondolava scomposta dall'altra parte del vetro e incombeva come fosse sul punto di sfondarlo. Arretrai di un passo, incerto e terrorizzato, e soffocai un grido.

Victoria.

Era venuta a prendermi.

Stavo per morire.

Oh no, Des no!

Strangolai l'urlo che cresceva pian piano. Dovevo restare in silenzio. In un modo o nell'altro. Dovevo fare in modo che Des non venisse a indagare...

E poi dalla sagoma scura giunse una voce roca che conoscevo bene. «Harry!», sibilò. «Ahi! Dannazione, apri la finestra! AHI!».

Prima di potermi muovere dovetti aspettare qualche secondo per scrollarmi di dosso la paura, ma alla fine corsi verso la finestra e la aprii di scatto. Le nuvole erano illuminate da una luce fioca, quel poco che bastava a distinguere i contorni delle cose.

«Cosa stai combinando?», chiesi d'un fiato.

Ezra penzolava pericolosamente dalla cima dell'abete che svettava nel giardinetto di fronte a casa di Des.

Con il suo peso aveva inclinato l'albero verso il muro e ora si dondolava - con le gambe ciondolanti a più di sei metri da terra - a un palmo dal mio naso. I rami sottili, sulla punta, grattarono e scricchiolarono di nuovo contro la parete.

«Sto cercando di mantenere», ansimò, penzolando su e giù assieme all'albero, «...la promessa!».

Sbattei gli occhi umidi e annebbiati, sicuro che fosse un sogno.

«E quando mai hai promesso di suicidarti buttandoti dall'albero di Des?».

Sbuffò, niente affatto divertito, scalciando nel vuoto per non perdere l'equilibrio. «Togliti di mezzo», ordinò. «Cosa?».

Un altro dondolio delle gambe, all'indietro e in avanti, per prendere lo slancio. In quel momento capii cosa volesse fare.

«No, Ez!». Ma fui costretto a farmi da parte, perché era troppo tardi. Con un grugnito, si lanciò verso la finestra aperta.

Sentii nascere un altro grido, temendo che si ammazzasse nella caduta, o si facesse male dopo lo schianto contro i pannelli di legno che ricoprivano la parete. Con mia gran sorpresa, s'infilò agile nella stanza, atterrando sui talloni con un tonfo sordo.

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