Capitolo 3

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Era mattina ed il sole illuminò la stanza nella quale il ragazzo tigre ancora dormiva.
Un fascio di luce penetrò dalla finestra, velato dalle fini tende che coprivano il vetro. Gli toccò il volto innocente dall'espressione ancora beata e quieta, come quella di un bambino, interrompendogli il sonno come una dolce carezza. Si stiracchiò e si stropicciò gli occhi con sguardo perso, ancora stonato dal suo riposo e cullato dal tepore del letto. Con gli occhi semichiusi, irradiati da quella tenue luce, prese il telefono abbandonato per terra, così da poter guardare l'ora. Era tardissimo. Cadde dal letto, era in panico. Lanciò via il telefono, girava avanti ed indietro per quel piccolo appartamentino, Kunikida non l'avrebbe di certo presa bene. Tanto il panico che stava per uscire in pigiama, se ne rese conto solamente davanti alla porta di casa. Gli venne quasi da graffiarla come un gatto, quando si ricordò della maniglia di ottone brunito. Scivolando corse a prendere i vestiti che i compagni gli avevano regalato ed uscì finalmente dal suo alloggio. Arrivò all'agenzia con il fiatone e velocemente salí le scale. Iniziò a camminare quatto quatto sul pianerottolo aprendo delicatamente la porta, poi in punta di piedi, si diresse al suo posto. Si posò delicatamente sulla sedia e fece un sospiro di sollievo, i colleghi sembravano presi dal loro lavoro, nessuno aveva notato il suo ritardo, o almeno così credeva. Dietro di lui infatti non aveva notato Kunikida che di certo non pareva contento. Atsushi sentí un fiato caldo sul collo, aveva capito e si girò lentamente tremando.
<< k-k-Kunikida-sa->> Non gli diede nemmeno il tempo di parlare che gli sbatté i suoi ideali in testa, letteralmente, l'aveva colpito con la sua agenda.
<< Sei in ritardo! Ora dovremo rifare il programma! >> il biondo se ne andò infuriato ritornando a lavorare attivamente come sempre. Atsushi si toccò dolorante la testa per la botta, sfregando le dita affusolate nei capelli argentei e si mise a lavorare. L'ufficio però era stranamente silenzioso, tutti lavoravano, rimbombava nella stanza il rumore delle tastiere e del patatine croccanti del giovane Ranpo. Nessuno tranne lui aveva bloccato la tabella di marcia. Mancava di certo qualcosa.
<< Dov'è Dazai? >> chiese il ragazzino ai compagni. Non ci fu nessuna reazione, tranne Ranpo che accennò un sorriso nascosto dietro la busta di patatine.
<< Di che ti preoccupi? Starà provando una nuova tecnica di suicidio>> gli rispose Kunikida interrompendo il silenzio. Poi si girò nuovamente incollando lo sguardo al Pc. Effettivamente Dazai era solito a sparire, ma dopo quello che era successo il giorno prima Atsushi si preoccupava. Sapeva che qualcosa non andava, ma non sapeva cosa gli fosse successo. Dazai non avrebbe di certo avuto bisogno delle attenzioni della tigre, ma Atsushi non riusciva a rimanere tranquillo. Dazai per lui era come un padre, c'era stato quando era solo ed era l'unico capace di capirlo. Ma in fin dei conti non poteva fare niente e ritornò a lavorare.

La tigre però non sbagliava, Dazai non stava pensando al suicidio, forse per la prima volta dopo tantissimi anni, aveva qualcosa di più importante a cui pensare. Ritornava sui suoi passi, non importa per quanto avrebbe dovuto cercarlo, doveva risolvere il mistero che quel semplice bicchiere di vino profumato gli aveva portato alla mente. Quel giorno prima che sorgesse il sole si era diretto verso l'albero che aveva visto il giorno prima con Atsushi. Gli posò sopra la mano, toccando la ruvida corteccia per poi poggiare anche la testa, sfregandosi al suo tegumento, in un dolce gesto che lo aiutava a pensare. Decise di seguire il ricordo per quello che rammentava e si avviò verso un vicolo. Gli pareva quasi di vedere di nuovo Chuuya davanti a sé che camminava dinanzi a lui curvato, con le mani nei pantaloni. Dazai invece come suo solito nonostante le mani nelle tasche aveva una postura composta. Camminavano sempre così, anche se alle volte il moro seguiva il ragazzo al suo fianco, saltellando sui muretti che accompagnavano le verdi siepi. Era in quel momento che i loro occhi si incrociavano, ma nessuno dei due pareva dargli particolare importanza, si limitavano ad abbassare gli occhi o a distogliere completamente lo sguardo continuando a litigare. Nonostante i battibecchi però, quando camminavano in quella strana fila, rimanevano uniti. Chuuya che gli dava le spalle, appena smetteva di sentire il passo del compagno si girava all'istante. Dazai non sapeva il perché di tale riguardo nei suoi confronti, eppure in quei momenti spesso il rosso lo trascinava tirandogli la mano, distaccandolo dalle varie tentazioni al suicidio, come un ponte, una semplice trave, una corda trovata per strada. Solo in quel momento ripensandoci, aveva capito che Chuuya lo guardava con occhi diversi. Nascondeva quegli occhi blu in uno sguardo scocciato, ma Dazai sentiva qualcosa nel suo viso che si colorava leggermente di rosso. Tra i ricordi continuava la sua strada cercando qualche indizio, qualcosa che gli ricordasse quella sera. Da qualche parte doveva pur trovarsi il bar che cercava. Quel vicolo era monotono, gli edifici si ripetevano uguali e tutto era logoro e buio, l'unica luce o almeno l'unico elemento che lo caratterizzava erano le insegne dei vari locali che scintillavano nella notte. Questa uniformità non rendeva semplice riconoscere un bar visto così tanto tempo fa, in fondo non si ricordava nemmeno il nome. Continuò a camminare per molto tempo visitando ogni locale ma nulla, nessuno gli diceva niente. Nel buio di quella notte decise di fermarsi posandosi sul marciapiede. Si sedette con lo sguardo rivolto al cielo. Le stelle si vedevano ben poco per via delle luci umane che le coprivano di gran lunga. Ma a Dazai del cielo poco importava, in quella vastità scura infatti si fece una domanda. Cosa provava per quel piccolo ragazzo dai capelli rossi? Chuuya forse valeva per lui più di tutte le stelle del cielo, ma non lo sapeva ancora.

𝑴𝒆𝒎𝒐𝒓𝒊𝒆𝒔 𝒊𝒏 𝒘𝒊𝒏𝒆 // 𝒔𝒐𝒖𝒌𝒐𝒌𝒖Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora