I giorni passarono veloci dopo che mi chiusi in camera quel giorno.
Quel ragazzo non l'avrei mai capito.
Era lui che voleva baciarmi.
Era lui che mi ci aveva fatto credere.
Ed era sempre lui lo stesso che il giorno dopo fece finta di niente e si rimangiò tutto.
Incoerente.
Pensavo ormai da quando era successo.
Non volevo vederlo o parlargli.
Mi avrebbe soltanto infastidito.
Non potevo sopportare il suo comportamento.
A cui neanche aveva dato una spiegazione valida.
Anzi.
Non aveva proprio dato alcuna spiegazione.
Come avrei dovuto reagire.
Giorni dopo arrivai alla conclusione che non ero io quella che avrebbe dovuto chiudersi in camera tra i due.
Non avevo nulla di cui pentirmi o di cui vergognarmi.
Lui aveva davvero fatto lo stronzo stavolta.
Trattandomi come una bambola di pezza.
Ed io non lo potevo sopportare.
Qualche volta, poi, però, mi detestavo perché sembrava far cose come per cercare di riavvicinarsi, ed io, anche se fortunatamente ebbi la decenza di non darlo a vedere, ne ero felice.
Non sapevo cosa mi avesse fatto quel ragazzo.
Qualche volta, qualche sera, durante qualcuna delle mie nuotate notturne, come se avesse dentro di lui una sveglia che lo avvertisse quando ci fossi io, si presentava sempre quando già c'ero io.
E capite da voi che se non me ne fossi andata tutte le volte, dandogli modo di scusarsi, come era palese che volesse fare, la mia dignità avrei anche potuto buttarla nel cesso direttamente.
Lo si capiva dal modo in cui provava a parlare, dal fatto che balbettava leggermente quando provava ad accennare di dire qualsiasi cosa in mia presenza.
E giuro che in 18 anni di vita, mai l'avevo sentito parlare in questo modo prima.
La cosa peggiore era che ogni volta me ne pentivo.
Ogni volta che andavo via, mi dispiaceva.
E lui non era nella condizione di meritarselo.
Ma io non ci potevo fare niente.
Era più forte di me.
Nonostante mi avesse trattata di merda, io non riuscivo a volergli male.
Andò avanti così per una settimana.
Fino a due giorni fa.
Era mattina e stavamo facendo colazione tutti insieme
"Julie, per quale associazione di beneficenza darai il ricavato di dopodomani della partita di pallavolo?"
Mi chiese Susannah così tanto entusiasta da non potermi non farmi coinvolgere.
"Per le donne senzatetto, la tua"
Mi rendeva felice il modo in cui lo diceva.
Sembrava tenerci tantissimo
"Io e Shayla vi faremo mangiare la polvere"
Disse Steven con enfasi
"Steven, tu sei allergico alla polvere"
Disse Belly facendomi ridere
"Io e Taylor vi stracceremo"
Continuò lei
"Mike è bravo a giocare?"
Chiese Laurel
"Emh, si, sicuramente lo è"
La verità?
Neanche gliel'avevo chiesto.
Era solo che non avevo proprio nessun altro a cui chiederlo.
Jere purtroppo non era tra i migliori giocatori che conoscessi.
Il migliore era Conrad, come praticamente ogni sport praticabile sulla terra, ma non c'era neanche bisogno di dirlo.
In quel momento chiederglielo era escluso.
Sapevo che in quel momento l'imbarazzo sul mio viso era ben evidente.
Conrad, invece, sembrava soltanto scocciato alle mie parole.
Qualcuno sembrò accorgersene
"Emh, tesoro, tu invece hai intenzione di iscriverti al torneo?"
Gli chiese Susannah
"No"
Disse secco e senza alzare gli occhi dal piatto.
Sembrava infastidito ed io non ne capivo il perché
"Perché non ci pensi? Faresti..."
Susannah iniziò, ma venne interrotta proprio da lui
"No, mamma, non lo farò"
Disse secco
"Caspita, che fine ha fatto il buon umore di qualche mattina fa?"
Disse Jeremiah, facendomi corrugare le sopracciglia
Qualche mattina fa?
L'unica mattina che l'avevo visto di buon umore era la mattina di quando avevamo litigato quello stesso pomeriggio.
Possibile che fosse per quel che era successo?
"Di molte parole"
Mi sentii di dire.
Senza aggiungere altro.
Lui alzò lo sguardo immediatamente riservandomi uno sguardo assassino.
Che anche se non volendo ricambiai
"Emh... Cleveland ieri mi ha detto che vi sareste visti presto per sistemare la barca stamattina"
Disse mia madre con il palese intento di voler cambiare discorso ed anche l'aria che girava in quella conversazione
"No"
Disse freddo
"Perché tesoro?"
Susannah era come se cercasse di farlo parlare.
Peccato che non sapeva che l'avrebbe fatto alterare ancora di più
"È inutile andarci se il legno di cui è fatta non è buono, o mi sbaglio?"
Sbottò lui all'improvviso, come per dare il contentino e dire più di due parole di seguito
"Ok, forse dovresti darti una calmata, fratello"
Disse Jeremiah fermandolo
"Si, lo pensò tanto anche io"
Disse lui, per poi alzarsi bruscamente dalla sedia per dirigersi velocemente verso la porta.
Sapevate cosa intendevo sul fatto che non riuscissi a volergli male?
No?
Beh, il fatto che non passarono neanche 5 secondi che lo seguii a ruota, bastava per rendere l'idea?
"Conrad"
Lo chiamai quando ormai entrambi eravamo fuori, ma lui sembrò non sentirmi visto che continuava a camminare davanti a lui
"Conrad"
Ripetetti, ma il risultato fu lo stesso
"Puoi fermarti perfavore?"
Alzai il tono della voce.
E fu lì che lo vidi fermarsi
"Perché dovrei"
Gli sentì dire dopo pochi secondi.
Era ancora di spalle e non accennava a volersi girare dalla mia parte
"Perché alterarti così non ti fa bene"
Gli dissi io seria.
Purtroppo lo sapevo fin troppo bene.
Era proprio così che era iniziato il mio incubo.
Lui si girò.
Dopo una buona manciata di secondi.
Si girò e potetti giurare di aver sentito le mie gambe cedere.
Aveva gli occhi rossi.
Ma così rossi che li vedevo dalla distanza a cui ero.
Saranno stati 10 metri.
Era sul punto di piangere ed io ero lì davanti a lui.
Ad osservarlo preoccupata.
Ci volle poco affinché l'incubo iniziò anche per lui
"Hey, hey, hey... Okay. Okay, adesso devi calmarti"
Corsi verso di lui e lo aiutai a sedersi per terra nel modo più cauto possibile.
Aveva il respiro irregolare.
Stava avendo un attacco di panico.
Davanti ai miei occhi.
Vederlo così mi faceva venire la pelle d'oca
"Dai, respira con me"
Gli presi le spalle e iniziai a respirare molto piano.
Cercai il suo sguardo e dopo averlo trovato, continuai ancora di più
"Inspira ed espira"
Gli dissi in tono calmo
"Inspira ed espira. Esatto, così"
Dissi cercando di farlo calmare per quanto me ne era possibile
"Adesso continua a fare quello che faccio io"
Presi un grande, grandissimo, respiro.
Molto più lungo degli altri.
E poi espirai.
Ancora più lentamente di poco prima.
Mi assicurai che si fosse ripreso completamente.
Lasciandogli il suo spazio.
Fece un ultimo respiro.
E poi mi guardò
"Grazie"
Mi disse.
Io deglutii a quella vista
"Di niente"
Risposta più orrenda non potevo darla
"Come facevi a sapere come..."
Mi chiese lui con un'aria confusa
"Ero abituata, ecco"
Gli dissi, lasciandogli intuire quale fosse la ragione per il quale avessi frequenti attacchi di panico che facevo fatica ad affrontare.
Sempre per cercare di dimenticarlo il più presto possibile.
Lui mi guardò, come se fosse dispiaciuto di questa cosa.
Ma davvero
"Ti ringrazio"
Mi disse di nuovo.
Io gli sorrisi leggermente.
Comprensiva.
Non gli chiesi perché fosse così agitato.
Non mi spettava.
Anche se avrei tanto voluto farlo.
Cos'era che lo turbava così tanto?
"Come ti senti?"
Gli chiesi io.
Sempre il più cauta possibile
"Emh, meglio"
Mi disse lui guardandomi negli occhi per qualche secondo, serio
"Se ti avessi versato dell'acqua addosso, saresti andato in cortocircuito per quanto ribollivi"
Si, non eravamo in uno dei nostri momenti migliori in quel momento, ma non potevo non provare a farlo sorridere un attimo.
Sempre detto che l'ironia salva ogni situazione.
Niente mi farà cambiare idea.
Raggiunsi il mio obbiettivo.
Sorrise leggermente.
E ne fui felice.
Peccato che quel sorriso allegro, dopo poco si trasformò in uno amaro.
E sapevo bene dove volesse andare a parare.
Nonostante tutto però eravamo pur sempre in quella situazione.
Mi aveva comunque trattata di merda.
Ed il fatto che l'avessi aiutato non significava che avessi alzato bandiera bianca con lui.
Aveva fatto la sua scelta.
Di merda.
Ma aveva fatto la sua scelta.
Ed io di conseguenza la mia
"Julie, io..."
Iniziò lui, abbassando lo sguardo.
Per quanto mi costava, lo interruppi
"Emh, io penso di dover andare"
Lo liquidai lì presto, senza lasciargli modo di dire altro.
Vidi che aprì la bocca per dire qualcosa, ma non emise fiato.
Non poteva biasimare il mio comportamento.
Ed ero sicura che lo sapesse bene.
Da quel giorno, quindi da due giorni fa, non era cambiato molto tra di noi.
Solo sguardi ambigui.
Nessuna parola.
Era il giorno della fatidica partita di pallavolo di beneficenza.
In tutto ciò, Mike mi aveva assicurato di essere bravo a pallavolo.
Al mio contrario.
Non facevo schifo.
Ma non eccellevo neanche.
Mettiamola così.
Non ero la prima scelta, ma neanche l'ultima.
Ecco.
Quindi ero io la scarsa della squadra.
Benissimo.
Ma per beneficenza avrei fatto di tutto.
Soprattutto per la causa di Susannah.
Quella mattina mi svegliai di buon umore.
Pensavo proprio a questo.
A quanto mi sentissi bene anche soltanto a provare a fare del bene a persone meno fortunate di me
"Che cucina la chef?"
Il mio flusso di pensieri venne interrotto proprio dall'ultima persona che mi sarei aspettata.
Anche lui evidentemente di buon umore.
Io, colta di sorpresa, lo guardai un attimo confusa.
Non capendo bene cosa fosse cambiato quella mattina.
La risposta qual'era?
Assolutamente nulla.
Era per quello che non capivo.
Ma decisi di mettere il mio orgoglio da parte per una volta
"Sto dopando il mio panino. Così sarò abbastanza carica per schiacciare in faccia a Steven"
"Chi meglio di te schiaccia in faccia a Steven?"
Disse lui.
Io lo guardai con le sopracciglia abbassate.
Sembrava così imbarazzato nel dirlo.
E se io si poteva capire da lontano un chilometro che stessi scherzando, lui sembrava soltanto nervoso.
Come ogni volta che mi si era avvicinato in piscina.
Lo vidi alzare gli occhi.
Come se stesse pensando al senso, che effettivamente non c'era, della frase appena detta
"Okay, dopo lo dirai anche davanti a lui"
Non volevo metterlo in imbarazzo più di quanto già sembrava sentirsi
"Mike sta bene?"
Mi chiese cambiando argomento
"Si"
Risposi con aria tranquilla e leggermente indifferente
"Emh... È inutile girarci intorno, quindi andrò dritto al punto"
Mi disse lui, mentre io continuavo a "dopare" il mio panino di maionese.
In quel momento, però, mi fece alzare lo sguardo.
Non potevo scappare.
E forse neanche volevo.
Volevo ascoltare cosa avesse da dirmi.
Così lo guardai come per dirgli di proseguire
"Mi dispiace"
Sputò immediatamente.
Come se avesse bisogno di dirlo.
Come se se lo fosse trattenuto dentro per fin troppo tempo.
Ed io lo percepivo bene.
Non dissi nulla.
Così da lasciarlo parlare liberamente
"Sono stato un coglione a fingere che non mi ricordassi che ci siamo quasi baciati"
E forse era proprio questo che volevo sentire.
E anche se avessi voluto dire qualcosa, non feci in tempo perché riprese il discorso
"Io ci penso. Sempre. Continuamente e non faccio che pentirmene ogni volta sempre di più"
Okay.
A questo non ero pronta.
Aprì la bocca come per dire qualcosa.
Ma non emisi fiato.
Le parole mi morivano in gola.
Non me l'aspettavo.
Lui vedendo la mia reazione, riprese la parola.
"Lo so. So che è tardi, ma volevo soltanto che lo sapessi"
Io continuavo a guardarlo fissa negli occhi come una polla
"Buona fortuna per la partita. Tu e Mike spaccherete"
Disse lui dopo qualche secondo, rompendo quel contatto visivo definitivamente.
Io ero restata ferma.
Senza dire nulla.
E posso dire con certezza che forse è stata la cosa più saggia da fare.
Adesso non mi rimaneva altro da fare che metabolizzare quelle parole.
Come dovevo interpretarle?
Come semplici scuse?
Fatte giusto per non sentire più i sensi di colpa che magari aveva a riguardo.
O magari come quello che dentro di me speravo più di qualsiasi altra cosa?
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Dove il cuore batte un pò di più, Conrad Fisher
FanfictionConrad Fisher e Juliette Conklin Juliette, una semplice ragazza di 17 anni, ogni estate da quando è nata la passa dai Fisher, la sua seconda famiglia. Ogni anno Cousins le riservava qualcosa di nuovo. Ma chissà se quest'anno quel "qualcosa" non sarà...