Prologo - Pezzetti piccoli

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Ci sono tante cose che nella vita diamo per scontate.

Per quanto i genitori facciano del loro meglio per far capire ai figli di dover dare valore anche alle più piccole cose, si finisce molto presto per vivere con la certezza che, alcune cose che abbiamo, nella vita ci spettino di diritto. Come quando scegli il menu fisso al ristorante e non sei proprio pronto ad aspettarti qualcosa di diverso da quello che hai ordinato.

Crescendo impari che non tutti vivono la tua stessa condizione economica, che non tutti hanno i capelli, la pelle o gli occhi del colore uguale ai tuoi, che ognuno a scuola prende un voto diverso dall'altro e che devi ritenerti fortunato se ogni giorno hai il piatto in tavola, perché ci sono bambini che vivono in Paesi che sono in guerra e che non possono dire lo stesso.

Frasi che da bambini ci sentiamo ripetere almeno un migliaio di volte e va bene, perché è giusto così, è giusto tenere a bada i capricci dei figli in questo modo e metterli davanti alla realtà dei fatti per impedire loro di crescere viziati e superficiali.

Per quanto un genitore ci provi ad impedire che questo accada, però, qualcosa che nella vita darai per scontato alla fine ci sarà sempre.

Guardare un film sul divano con la famiglia, farsi accompagnare a scuola da mamma o papà, mangiare una pizza in armonia, fare l'albero di Natale con canzoncine stupide in sottofondo, guardare la neve dalla finestra, ricevere il bacio della buonanotte prima di dormire e così via.

Gesti meccanici che fanno parte della vita quotidiana della maggior parte dei figli, cose a cui ti ritrovi a fare poco caso perché sembrano naturali come respirare.

E, tra le tante, c'è anche quella di sedersi a tavola con i propri genitori e farsi raccontare la storia di come si sono conosciuti.

Se Willow fosse un bambino normale, con una famiglia normale che racconta storie normali, tra qualche anno ascolterebbe papà Louis - perché è lui quello che gli legge le favole per farlo addormentare - raccontargli come ha conosciuto l'altro suo papà.

Saprebbe che papà Louis aveva solo tredici anni quando lo ha incontrato.

Saprebbe che non è stato facile, soprattutto i primi anni, perché quando ti innamori a quella età di un ragazzo che invece di anni ne ha diciotto, ti ritrovi a fare i conti con una carrellata di pregiudizi e di accuse che forse in un certo senso non sono poi così sbagliate, ma che ti sembrano soltanto una forte e tremenda forma di invadenza quando sei un adolescente accecato dall'amore.

Papà Louis gli racconterebbe di essersi sentito dire mille volte la frase "sei solo un bambino e lui un uomo", di aver incassato il colpo ogni volta e di aver atteso con pazienza che il tempo passasse e che la differenza d'età diventasse meno inquietante.

Quattordici e diciannove. Quindici e venti. Sedici e ventuno. Diciassette e ventidue.

Poi, gli racconterebbe di quella volta in cui era in ansia per gli esami dell'ultimo anno e l'altro suo papà aveva deciso di trascinarlo via dai libri per portarlo a cena fuori.

E di come, davanti ad un panorama mozzafiato, lo aveva visto inginocchiarsi e chiedergli di diventare suo marito.

Gli racconterebbe certamente questo aneddoto un migliaio di volte, sarebbe quello in cima alla lista dei più belli e da tirare fuori ogni tanto durante i pranzi della domenica, quando sorge un qualsiasi dettaglio che ricorderà quel momento ai suoi genitori e che li porterà a parlarne ancora, ignorando i suoi lamenti in sottofondo perché: "basta, papà, questa storia la conosco a memoria".

E quando crescendo Willow nella vita avrebbe finito anche lui inevitabilmente per inciampare nell'amore, sarebbe stato lui stesso, con un principio di timidezza, a chiedere di raccontargli ancora quella storia per poterla ascoltare bene - forse per la prima volta, cogliendogliene ogni dettaglio e ogni sfumatura - e capire com'è che funziona l'amore quando è vero.

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