CAPITOLO 9 - MAGGIORENNE

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Marzo, 700 AVC

Libero e felice.

Le parole che mio padre aveva pronunciato a mezza voce ormai quasi un anno fa mi erano rimaste nel petto. Potevo sentirle ogni volta in cui facevo tintinnare i crepundia, e quella notte mi accompagnarono fino al sorgere del Sole.

Non provai nemmeno ad addormentarmi: desideravo vivere minuto per minuto il tempo che mi separava dall'età adulta. Fissavo la toga praetexta che non avrei più indossato dopo la celebrazione, poi abbassavo lo sguardo sulla bulla e i miei occhi si riempivano di lacrime.

"Sto per diventare maggiorenne" era incredibile. Dal mio quindicesimo compleanno, le settimane erano trascorse così in fretta che le Idi di Marzo erano giunte in un soffio. La nascita di Silone, i primi Saturnalia in cinque, le gelosie di Flacco, le lezioni di nostro padre, i lavori nei campi... le ore non bastavano mai e ogni sera crollavo a letto esausto.

«Esausto ma soddisfatto» mormorai. Se gli Dei mi avessero concesso di rivivere in eterno quegli attimi, sarei stato la persona più contenta del Creato. Però, nemmeno gli Dei avevano potere sul Tempo e io dovevo accettare l'inizio di un nuovo capitolo: i Liberalia stavano iniziando.

Aspettai che il Sole sorgesse per intero; quindi diedi una sistemata alla tunica, strinsi la cintura e infilai la toga. Poi andai nel salone, dove la famiglia al completo mi attendeva. C'erano i nonni, in piedi accanto al larario; c'era mio padre che teneva Flacco per mano e c'era la mamma, un passo indietro, ancora provata da una gravidanza più difficile delle precedenti e con Silone in braccio.

Sorrisi a tutti i presenti, inclusi i servi, cercando di mostrarmi sereno: non avrei rovinato una giornata di festa con ansie e preoccupazioni.

Mio padre ricambiò il sorriso sussurrando un flebile «Sono fiero di te». Il nonno, invece, era immobile e osservava la scena serio, tenendo tra le mani la toga virilis che mi avrebbe consegnato di lì a breve. Nel suo viso leggevo la solennità della celebrazione, nella mascella contratta intravedevo un pizzico di nervosismo.

"Stavolta non commetterò alcun errore" provai a comunicargli attraverso lo sguardo "Non ti deluderò".

Mi fermai davanti alle statuette dei Lari e recitai la preghiera, assicurandomi di scandire bene le parole. Dopo, deposi sull'altare la barba della mia prima rasatura e sfilai la bulla. Mentre la posavo sulla pietra, sentii ancora una volta il tintinnio dei crepundia, quasi volessero darmi il loro addio.

"Vi porterò con me per sempre" promisi in silenzio. Non li avrei più indossati, è vero, ma li avrei conservati come il più pregiato tra i gioielli.

Rivolsi una seconda preghiera agli antenati e mi girai in direzione del nonno, pronto a ricevere gli abiti da adulto. Lui aspettò che un servo mi sfilasse la toga praetexta e inspirò a fondo; però, non tese la nuova toga verso di me.

"Ho sbagliato qualcosa?" alzai il capo, lo guardai in faccia e rimasi esterrefatto "Credi di aver sbagliato... tu?". Era assurdo: il nonno non sbagliava mai. Eppure, i suoi occhi erano velati di rimorso e riflettevano tutti i momenti che si era perso. Non mi aveva tenuto la mano mentre imparavo a camminare, non aveva ascoltato le mie prime parole, non c'era stato alle feste, né all'inizio della scuola, e nemmeno nei giorni difficili.

E adesso?

Consegnandomi la toga virilis avrebbe posto la parola FINE alla mia infanzia, un'infanzia in cui lui era poco più che un'ombra.

"Dispiace anche a me" desideravo dirgli. Invece rimasi zitto finché non fu lui a darmi la sua benedizione – una formula ufficiale, lontanissima da quei sentimenti che non riusciva a confessare – e l'abito bianco che avrei indossato di lì in avanti.

Acheronta MoveboDove le storie prendono vita. Scoprilo ora