CAPITOLO 11 - MENTA E MELOGRANO

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Mi lasciai guidare dal tocco esperto del giovane poeta. Le mani di Cebete erano morbide e gentili, la sua bocca declamava Omero con passione e, presto, ai versi si unirono i baci.

Sapevo che era un'illusione: lui non mi conosceva e ogni sguardo languido, ogni carezza, ogni respiro mozzato faceva parte di una recita. Ma non importava. Era bello anche senza mettere in gioco il cuore.

"Mi tengo stretta l'anima" pensai, quando non ebbi più abiti in cui nascondermi "Non ti farò del male e tu non ne farai a me".

Cebete parve leggermi dentro. Abbozzò un sorriso, si sdraiò sul bordo a mosaico della vasca e mi tirò a sé, mentre il mondo intorno a noi diventava confuso.

Io esitai un ultimo istante. Forse gli chiesi ancora se fosse sicuro, forse biascicai parole sconnesse che lui non sentì nemmeno.

È dolce dimenticare nel luogo giusto.

"Dolce. Sì. Dolcissimo" inspirai il suo profumo di melograno e menta e, appena fui certo che non avrei immaginato Sabino o la nostra prima notte insieme, chiusi gli occhi.

Sentivo Cebete muoversi sotto di me. Petto contro petto. Labbra contro labbra. Uniti in una danza che, per un attimo, mi parve perfetta. E poi... una nota stonata: tra i sussurri e i gemiti lievi, udii un singhiozzo.

«Lasciami! Non voglio!»

Mi bloccai di colpo. «S... scusa» farfugliai, spalancando le palpebre «Non credevo, non...» nell'incrociare il suo sguardo, tacqui.

Cebete mi scrutava perplesso. Aveva il respiro irregolare e la pelle pervasa dal calore degli amanti, però, in lui, non c'era traccia di dolore né di paura. «Cosa succede, domine

«Tu hai detto... hai chiesto...» mi massaggiai le tempie e ripensai alla voce che avevo sentito. «Maledizione!» sibilai a denti stretti "Il fanciullo". Stava diventando insostenibile: lo vedevo in sogno, ne cercavo un significato a Vicus Tuscus, ero attratto dalla sua bellezza irraggiungibile e adesso mi tormentava persino nei momenti di svago.

Cebete prese la mia mano. «Sei nervoso?» bisbigliò, passandosi la lingua sulle labbra «Sdraiati. Penserò a tutto io.»

Di nuovo, non opposi resistenza e cercai di concentrarmi sul piacere che quel giovane mi dava, ma l'incanto era spezzato. Per quanto mi sforzassi, non riuscivo a scacciare la voce del fanciullo.

Lasciami

Non voglio

Quando dovetti rivestirmi, rimasi immobile a fissare la toga. Avvertivo il bisogno di fare un bagno. Mi sentivo... sporco. Colpevole. Come se al posto del giovane poeta ci fosse stato il fanciullo. Come se l'avessi costretto.

«Non ti è piaciuto?» s'informò Cebete, notando l'espressione cupa sul mio viso «Ho sbagliato...»

«Sei stato impeccabile» sospirai «Lo riferirò al tuo padrone.»

Lui sbatté le ciglia ammiccante, io risposi con un impacciato cenno di saluto e mi avviai verso il tablinum. Poi tornai indietro. «Posso farti una domanda?»

«Certamente, domine» sorrise, smettendo di allacciarsi i sandali «Se lo desideri, nel frattempo, ti massaggio la schiena.»

Scossi il capo e mi sedetti a bordo vasca. «Il tuo padrone...» "si sta avvicinando ai demoni? Hai osservato situazioni strane in casa? Magari, rituali che vanno oltre ai semplici culti di Cerere? E sai niente del colloquio che ha avuto con Bruto?" «Ti ha detto lui di usare questo profumo? È... singolare.»

Acheronta MoveboDove le storie prendono vita. Scoprilo ora