Zero-Mahmood

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Simone quella notte era andato in automatico: dopo essersi calato una quantità di alcol sproporzionata, accompagnata da pasticche in quantità esorbitante-pasticche che in teoria doveva smerciare per conto di Manuel, la stessa persona che in un lasso di tempo brevissimo lo aveva respinto "tu per me manco esisti" e che poi gli aveva svelato l'esistenza di Jacopo, a cui aveva dato un senso a vuoti nella sua vita che incolmabili erano e incolmabili sarebbero rimasti, ma almeno il quadro era più completo. Era andato in automatico sotto casa di Manuel, quello stesso Manuel che lo aveva distrutto poco tempo prima. Ma lui era lui, ed io ero io. Il rumore che aveva fatto mentre si schiantava aveva attirato l'attenzione dell'amico e di sua madre, i soccorsi erano arrivati tempestivamente e lui era entrato in coma.
Quell'incidente fu come un secchio di acqua gelata nella vita di Manuel, già in precario equilibrio, la valanga che nessuno preannuncia, ma che puntualmente nelle stagioni invernali miete qualche vittima innocente. Manuel aveva visto davanti ai suoi occhi passare i loro momenti insieme e aveva iniziato a pentirsi amaramente di tutto quello che gli aveva gridato contro. Che per lui, Simone esisteva eccome, da sempre. Che forse esisteva in lui ancora prima di litigarci in classe, ancora prima del tatuaggio, ancora prima dei casini con Sbarra. E coricato nelle sedie di ferro dell'ospedale dove Anita lo osservava preoccupata e Dante faceva avanti e indietro tra la sala di attesa e la stanza di Simone, capiva il senso di ogni cosa, di sé soprattutto. E allora si era reso conto che una vita senza Simone non la voleva, che in qualche modo dava senso a tutto, anche se un senso non c'era. La sua mente correva veloce, in quei giorni, e quando Simone si era svegliato, tutto si era fermato.
Era stato il secondo ad entrare e quando aveva visto l'amico con la cannula nel naso, la testa fasciata e anche qualche arto, completamente immobilizzato a letto, ma che gli sorrideva come se si fosse sbucciato un ginocchio durante nascondino, Manuel aveva pianto un po'. Simone lo aveva perculato, ma nei suoi occhi così profondi e lucenti, Manuel leggeva tanta tenerezza, gratitudine e-non sia mai che si sbilanciasse- una certa felicità. <Simò io non penso che tu nun esista, anzi>, lo sussurrò, mentre il bip dell' elettrocardiogramma collegato a Simone aumentava. Ed in un attimo erano di nuovo nel corridoio di scuola, Manuel lo sta sfottendo per essere un perfettone e Simone un po' si innervosisce. <Non lo dico come una cosa negativa, anzi>. Ma che vuol dire anzi? E il cervello del più piccolo, già lento, aveva iniziato a rallentare ancora di più, perdendosi in mille giri.
<Ma me stavi ad ascoltà?> domandò l'amico e Simone tornò alla realtà. Annuì impercettibilmente, per quanto gli sia concesso, mentre si faceva raccontare aneddoti simpatici. Poi l'orario delle visite era finito e era tornato solo con i suoi pensieri.

L'epifania però arrivò due settimane dopo: Simone, fuori pericolo, ormai a casa, stava per tornare a scuola, Manuel lo aspettava sulla moto fuori dal cancello di Villa Balestra. Si era salutati frettolosamente, poi Simone si strinse a lui. In un batter d'occhio era davanti a scuola. Manuel lo fissava di sottecchi mentre sistemava i caschi e la moto, Simone fissava il portone, come se non lo avesse mai visto e dietro si nascondesse chissà quale pericolo. Nello sguardo spaventato dell'altro, Manuel sentì i sentimenti più forti e negativi con l'istinto di protezione che si coagulavano all'altezza dello stomaco, annodandolo. <Simò respira, tanto manca poco alla fine dell'anno e poi so' quelli di sempre, no?> smorzò la tensione il maggiore. Balestra annuì insicuro.

E allora su di me
Le tue paure puoi lasciarle cadere su di me, su di me
Su di me
Quello che senti puoi lasciarlo cadere su di me, su di me
Su di me
Quello che posso fare? Provare a non mentire

Nella testa di Manuel rimbombavano queste parole quando vede gli altri che lo accolgono di una delle canzoni che ha ascoltato per caso nella playlist in ordine casuale prima di uscire. Le ragazze piangevano e lo stesso Dante era commosso, quel giorno in prima ora. <Bene ragazzi sedetevi, iniziamo la lezione di oggi accogliendo Simone che sta bene, per fortuna. Oggi parliamo della salute mentale in generale, facciamo così> disse più a se stesso che agli alunni. <Cos'è la salute mentale?> domandò poi. In classe cala il silenzio, Simone spostò lo sguardo assente da suo padre ai suoi compagni, Manuel lo sfiorò per sbaglio con gli occhi, ma non lo vide realmente, anche se Manuel osservava lui e la sua angoscia, il sentirsi fuori dallo spazio e dal tempo circostante, essere altrove. <Come sta a' cappoccia nostra> mormorò dal fondo dell'aula. Alcuni sbuffarono una risata, ma Dante intervenne prontamente: <Potevi esprimerlo meglio, ma sì, il concetto è un po' questo> commentò, tornando immediatamente alla carica, mentre Manuel scrutava come un angelo custode l'amico, che sembrava essere tornato partecipe di ciò che gli accadeva intorno.
Era la prima epifania della giornata: vorrebbe caricarsi il dolore di Simone sulle spalle, sul petto, ovunque, quel senso di smarrimento che da tempo ha sentito e con lui si affievolisce, quasi scompare. Mentre la discussione proseguiva, Manuel continuava a guardarlo, a volte accarezzandolo impercettibilmente, a volte chiedendogli se avesse bisogno di qualcosa. Simone era muto, ma i suoi occhi no, e il maggiore ormai li sapeva leggere bene.

Playlist/Simone e ManuelDove le storie prendono vita. Scoprilo ora