Capitolo 2.

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Circa un quarto d'ora fa, Carlos mi ha inviato dei messaggi.

La sto riaccompagnando a casa, quindi puoi tornare se vuoi.

Però aspettami, che quando ho fatto passo un po' da te.

Ah, e non entrare nella camera degli ospiti.

Così, abbastanza spaventata da quest'ultima raccomandazione, ho salutato le mie amiche, con cui avevo organizzato all'ultimo minuto una piccola rimpatriata settimanale per bere qualcosa insieme, e sono tornata a casa.

Stranamente, l'ho ritrovata esattamente come l'ho lasciata stamattina prima di andare a lavoro. Ogni singola stanza è in assoluto ordine. Bravo Carletes, ti comporti come un signorino.

Ovviamente, non posso resistere ed entro anche nella camera degli ospiti. Sembra sia esplosa una bomba, qua dentro. Ritiro quello che ho appena pensato. Non sei affatto un signorino, Carlos.

Neanche a dirlo, il letto è completamente sfatto. Ci sono vestiti sparsi ovunque, due bicchieri con della birra appoggiati sulla scrivania e, ciliegina sulla torta, un tanga e l'involucro di un preservativo buttati a terra in un angolino.

Sospiro mentre sulla mia faccia si forma un'espressione di disgusto e mi passo una mano tra i capelli.

Proprio in quel momento, sento il campanello suonare. Ora lo sistemo per le feste.

Afferro velocemente le mutandine e la bustina e vado a passo svelto verso la porta. Quando la apro, rivolgo subito uno sguardo arrabbiato a Carlos, che invece mi fissa sbattendo le palpebre come se fosse un cerbiattino indifeso. "Ti avevo chiesto di non andare nella camera degli ospiti" dice entrando in casa, superandomi.

Sbatto la porta ed alzo gli occhi al cielo prima di girarmi a guardarlo. Se potessi, adesso lo brucerei con uno sguardo. "Seriamente, Carlos? Ha lasciato qui le mutande!" esclamo, sventolando davanti al suo viso quel pezzo di stoffa striminzito.

Lui stringe le labbra per trattenere una risatina, poi le afferra e le accartoccia nella sua mano. "Ha detto che voleva lasciarmi un ricordo di questa serata" spiega, mentre si dirige verso il cestino della spazzatura. "Ma comunque, non saprà mai che non le ho tenute" aggiunge, gettandole.

"Peggiori di giorno in giorno..." mormoro chiudendo gli occhi e passandomi una mano sul viso.

Lui ridacchia, poi apre le braccia e mi viene incontro, avvolgendomi in un forte abbraccio che come sempre, sa di casa.

"Non mi avevi ancora salutato come si deve" sussurra, lasciandomi un bacio fra i capelli.

"Ruffiano..." mormoro contro il suo orecchio facendomi sfuggire una risatina mentre ricambio l'abbraccio.

"Allora" esordisce poi, staccandosi da me. "Vuoi che ti racconti la mia serata?" chiede, entusiasta.

"Non è necessario, sai?" chiedo, pregando che non insista. Come se non lo conoscessi.

"Io credo di sì" afferma lui, annuendo.

"E va bene" cedo alla fine. "Però vieni in bagno almeno intanto mi strucco"

***

Per una lunghissima mezz'ora, Carlos mi racconta nei minimi dettagli la sua avventura con questa Valeria, davanti alla mia espressione a tratti schifata, a tratti annoiata.

"È andata bene direi..." commento alla fine, entrando in camera per cambiarmi e mettermi il pigiama.

Carlos non entra e rimane appoggiato allo stipite della porta, girato. "Sì, assolutamente" conferma, annuendo. "Grazie per avermi prestato di nuovo casa tua, Esti" sussurra quando esco dalla camera, sorridendomi e lasciandomi un lieve pizzicotto su una guancia.

Subito dopo, mi squadra dalla testa ai piedi e scoppia in una fragorosa risata, guadagnandosi un'occhiataccia da parte mia. "Che c'è da ridere?" dico accennando anch'io una risatina, contagiata da lui.

"Mi fai ridere così" dice solamente, facendo spallucce.

In effetti, la mia vestaglia di pile con gli orsetti rosa e le ciabatte pelose con le orecchie da coniglietto non mi rendono proprio la persona più seria del mondo.

"Vuoi una tisana?" gli chiedo andando in cucina e iniziando a scaldare l'acqua in un pentolino.

Lui scuote la testa e contrae il viso in una smorfia. "Lo sai che non mi piacciono le tisane"

"Le mie sono buonissime. Se le avessi assaggiate almeno una volta, non la penseresti così!" esclamo, prendendo un infuso ai frutti rossi.

"Stavo pensando, Esti" esordisce lui, ignorando palesemente le mie parole. "Domani sera io e alcuni miei colleghi avevamo pensato di vederci in un locale qui a Madrid per bere qualcosa. Ti va di venire?"

Aggrotto le sopracciglia e mi giro a guardarlo, mentre verso l'acqua calda in una tazza. "Perché mi stai invitando ad uscire con i tuoi colleghi? Che ti serve, Carletes?" gli chiedo ironica.

Carlos lavora come meccanico in un'officina molto frequentata della nostra città. Conosco qualche suo collega ed è capitato, a volte, che li incontrassimo, ma non mi aveva mai chiesto di unirmi a loro per un'uscita, prima d'ora.

Lui fa spallucce. "Abbiamo organizzato questa serata perché c'è un ragazzo nuovo che ha iniziato a lavorare da noi da un paio di settimane. Pensavo ti andasse, tutto qua" mi spiega. Sembra un po'... offeso?

Mi avvicino velocemente e mi siedo accanto a lui sul divano, stringendo la tisana in una mano. "Ehi, guarda che stavo scherzando" gli dico, accarezzandogli una guancia. "Mi va di venire con te, è solo che non mi avevi mai invitata ad uscire con i tuoi colleghi quindi non me l'aspettavo" gli spiego.

Lui si gira a guardarmi con quegli occhioni grandi color caffè e mi sorride dolcemente. "È che ultimamente non ci siamo visti tanto e mi dispiace non passare del tempo con te..." mormora.

"Vieni qui" lo abbraccio, ridacchiando. "Sei carino quando fai l'affettuoso, sai?" lo prendo in giro, guadagnandomi un pugnetto sulla spalla.

"Allora ci stai?" mi chiede poi, sorridendo.

Annuisco. "Ci sto"

"Perfetto. Ceniamo insieme prima di andare?" propone.

"Pizza?" chiedo entusiasta.

Lui storce il naso. "Hamburger"

"Mangiamo solo hamburger quando siamo insieme!" mi lamento, sbuffando.

Lui alza gli occhi al cielo. "Va bene, andata per la pizza. Ma solo per stavolta" mi asseconda, alzandosi dal divano e osservandomi divertito mentre sorrido come una bambina.

"Affare fatto" confermo io, bevendo un sorso della mia tisana.

"Vado a casa, Esti. Ma domani passo a sistemare il casino che ho lasciato di là" dice, indicando la camera degli ospiti. "Ora non ce la faccio, sono stanchissimo" aggiunge poi, sbadigliando.

"Povero piccolo Carlos. Sfruttato e costretto ad alzarsi presto per lavorare ed uscire con mille ragazze a settimana... Dura la vita, eh?" ridacchio, mentre lo osservo stropicciarsi gli occhi.

Lui mi guarda male mentre indossa la giacca e decide di ignorare le mie parole, limitandosi a sospirare leggermente.

"Buonanotte, Esti" mi saluta, lasciandomi un bacio sulla guancia.

"Ciao Carletes, dormi bene" sussurro, scompigliandogli i capelli prima di vederlo uscire di casa.

Il filo rosso del destino - Carlos SainzDove le storie prendono vita. Scoprilo ora