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La dignità
non consiste nel possedere onori,
ma nella coscienza di meritarli.

Aristotele


Tornai in ufficio il lunedì successivo per non mancare alla riunione che il capo preannunciava da mesi con ostentata ed eccessiva euforia.
Se non fossi stata presente, il direttore mi avrebbe prontamente richiamata all'ordine, avrei perso tempo nel suo ufficio ad ascoltarlo parlare a vanvera su quanto inadatta fossi per quel lavoro contraddicendosi ogni cinque secondi, ovvero il tempo che avrebbe impiegato nel realizzare fosse stato proprio lui ad assumermi definendomi la più adatta, e sarei stata costretta all'odore asfissiante della lavanda, perché era quello che la sua amante, con l'ufficio appena sotto al suo, amava.
Avrei perso un'intera mattinata di lavoro inutilmente, e non mi andava.
Quando varcai la porta dell'ufficio e mi sfiancai salendo le scale quasi fossi stata una donna vicina alla settantina, le gallinelle stranamente erano ognuna nel proprio ufficio, silenziose e falsamente ligie al lavoro, a riordinare le carte per la riunione, e si sporgevano dalle porte aperte che davano sul corridoio mentre io lo percorrevo per raggiungere l'ufficio.
Presi i fogli, lasciai ogni mia cosa nella stanza che chiusi a chiave e uscii nell'ingorgo di colleghe che ostruivano le rampe di scale, uscite dai loro uffici e spostatesi in corridoio come delle lumache smettono di nascondersi e strisciano allo scoperto in una giornata di pioggia, evidentemente già stufe dopo qualche minuto a lavorare.
Sapete, con un cervello primitivo incentrato sull'accoppiamento fugace e l'appariscenza, dopo i sessanta secondi d'attenzione si comincia a mancare di concentrazione.
Come può andare avanti l'azienda, se un terzo di noi non lavora?
Pensate che solo dieci di loro cinguettanti gallinelle avrebbero dovuto partecipare alla riunione, e le altre -che avrebbero dovuto lavorare-, con loro aspettavano l'ora della riunione, forse sperando di incrociare Mitch, Marco, o qualche altra preda, intrattenendosi spettegolando e bevendo l'acqua sporca e calda delle macchinette, che qualcuno osava addirittura chiamare caffè.
Alle nove in punto, parte delle donne schiamazzanti tornarono ai propri uffici, mentre le altre scendevano le scale impedite dai tacchi vertiginosi indossati per l'occasione e si avviavano verso la sala riunione arredata con i nuovi mobili che il capo aveva pagato senza porsi problemi riguardanti alle spese.
Forse soffriva di shopping compulsivo.
Io scesi per ultima, per godermi lo spettacolo delle mie colleghe che tra loro squittivano e alzavano il tono della voce per attirare l'attenzione a mano a mano che si avvicinavano al primo piano.
Otto donne e due poveri uomini -escluso Marco, perché uomo per me non era- furono presto nella stessa stanza, tutti riuniti nella sala nella quale ancora mancava la presenza dei pezzi grossi, ovvero il direttore, il legale, e il figlio del capo, mentre l'assistente del capo tentava di mantenere invano la calma tra noi alzando di poco il tono e richiamandoci al silenzio.
Povero David, che aveva accettato di viziare il capo portandogli il caffè, accompagnandolo in giro per la struttura e riempendolo di fintissime sviolinate in cambio di una buona paga, ma che veniva ignorato da tutti, e svalutato oltre l'immaginario.
Seduta alla sinistra di Mitch Reed, il brand manager dell'azienda, e con accanto un posto libero riservato al figlio del direttore, riordinai i miei appunti, accavallai le gambe e salutai con un sorriso sornione il responsabile business development che mi mandò un occhiolino complice: noi due lavoravamo spesso insieme, ci consultavamo e accettavo volentieri i suoi consigli frutto di una matura esperienza.
Il capo fece il suo ingresso, chiamò il povero assistente David, suo servetto prediletto fra tutti i precedenti durati poco più di un mese e l'incaricò di portargli un caffè.
Sollevai il volto dai fogli.
Il cuore mancò un battito.
Una figura massiccia dall'immensa altezza, vestita di tutto punto e con il collo stretto nel nodo di una cravatta si muoveva con leggiadria ed esperta eleganza, guizzando di sensualità mascolina e rompendo l'equilibrio della stanza con l'ineffabile virilità nascosta dalla camicia bianca infilata nei pantaloni neri stretti alla vita da una cintura di cuoio.
Percorsi l'ombra fino ai suoi piedi. Solo una volta avevo visto quelle lucide scarpe stringate e laccate di nero.
Quasi scordai di respirare; tossii e ansai, tentai di riempire i miei polmoni -che parevano seccati dalla morte- d'ossigeno, quasi disperata, Mitch si voltò verso di me interrogandomi con lo sguardo, accanto a me venne a sedersi Marco, del quale nemmeno avevo notato l'ingresso, si chinò su di me e mi baciò una guancia mentre le gallinelle ci guardavano invidiose.
Lo volete? Ve lo cedo volentieri.
Ma non solo loro si erano perse a guardarci. Lo sguardo di un altro uomo mi bruciava addosso, ma non avevo abbastanza coraggio per alzare il capo e ricambiare le sue crude attenzioni.
L'avvocato Rivera allontanò la sedia dal tavolo e si sedette.
Storsi il naso mentre la mia pelle assorbiva l'umido delle labbra di Marco e aspettai che il direttore aprisse bocca.
«Permettetemi di presentarvi quello che per il prossimo periodo sarà il nostro responsabile legale e che gestirà la Rubini, delegato da Valentini, che a causa di motivi salutari dovrà assentarsi dal lavoro.» Poi il direttore si rivolse verso l'avvocato che appoggiò i gomiti al tavolo e unì le mani predisposto all'ascolto.
Tranquillo avvocato, inutile prestare attenzione: da quella fogna non uscirà nemmeno una parola interessante.
«Qui abbiamo l'analista programmatrice Daniela, il responsabile business development Giulio...» Il direttore mi indicò, gli occhi dell'avvocato Rivera luccicarono su di me.
La camicia gli aderiva al corpo ad ogni piccolo movimento, quasi stretta con avidità ai suoi muscoli.
Non era come la sera in cui mi aveva riportata a casa: ogni bottone era allacciato e niente che avesse potuto accennare i suoi pettorali si vedeva. Una cravatta ne assicurava la chiusura, stretta al suo collo da un nodo valente, e non c'erano le macchie del mio sangue laddove io avevo posato i palmi con le abrasioni, spingendoglieli contro il petto per allontanarlo da me qualora avesse voluto farmi del male.
«La nostra giovanissima responsabile amministrazione e finanza» fece Rubini per presentarmi, le labbra dell'avvocato si mossero senza emettere un suono nello stesso attimo in cui la voce del capo mi presento: «Anastasia» disse, e intanto la lingua dell'avvocato batté una volta contro il palato ed una sui denti nel labiale del mio nome, l'angolo della sua bocca si sollevò in un sorriso provocante. Solo chi lo stava guardando con scrupolosa attenzione avrebbe notato il modo in cui mi fece intendere di essersi accorto di me.
Io lo so il tuo nome, questo mi stava dicendo.
Mitch si voltò verso di me e mi si avvicinò con la bocca all'orecchio: «Vi conoscete?»
Annuii debolmente.
La mano di Marco intanto mi accarezzò la coscia nascosto dal tavolo scuro. Mi irrigidii, appoggiai una mano al bracciolo sul lato di Mitch come a mandargli un segnale d'aiuto, le unghie raschiarono sulla superfice dura, le mie gote si fecero rosse come se qualcun altro avesse potuto vedere la scena e dunque giudicarmi, ed il blaterare del direttore passò in secondo piano, sovrastato dal panico che si stava diradando nell'intero mio corpo con epicentro al mezzo del petto.
Sta' calma, blocca l'attacco di panico ancor prima che inizi.
Percepii l'attenzione di Mitch su di me, finse di doversi sistemare una scarpa per controllare cosa stesse accadendo sotto al tavolo mentre io ero ad un passo dal crollare.
Resisti, resisti.
Si sporse ancora verso di me, all'orecchio mi consigliò di accavallare le gambe e avvicinare la sedia al tavolo coprendo interamente le cosce, così che la mano di Marco non sarebbe riuscita a passare tra il tavolo e le mie gambe.
«Tranquilla, va tutto bene.» lo sentii sospirare. «Ci sono io.»
Alzai gli occhi sull'avvocato che colsi scrutarmi inespressivo.
Forse stava cercando di capire cosa stesse accadendo, forse aveva notato che qualcosa non stava andando come di consueto.
«Io le consiglio di domandare un parere ai responsabili business development, marketing e amministrazione e finanza.» Sorrise arrogante. «Il suo discorso è ben costruito e senza dubbio è frutto di una buona riflessione, ma mi permetta di dirle, signor Rubini, che sta sottovalutando un'importante parte, ovvero quella coperta dal calcolo di dati, grafici, e numeri riguardanti all'andamento dei lavori precedenti.» L'avvocato parlò saccente insegnando il lavoro del direttore al capo che assopito si concentrò su di noi; i suoi occhi passavano da me agli altri due e con il gesto per scacciare le mosche seguì il consiglio dell'avvocato. «Anastasia, sarò felice di ascoltarti.»
Rivolsi uno sguardo all'avvocato che provocatorio sorrideva. Capii il suo gioco: mi aveva vista parlare con Mitch, mi aveva colta distratta e ne aveva approfittato per smascherare la mia distrazione di fronte a tutti.
Voleva umiliarmi, ma a che scopo?
Mitch con la matita mi indicò un punto sul foglio che mi ero preparata, ed io lessi.
«Stando ai miei studi sul trend economico, ciò che la gente che si serve dei nostri prodotti desidera, è un capo duraturo con materiali di qualità. Possiamo quindi permetterci di seguire lo schema steso alla riunione per la stagione scorsa e alzare del quindici percento i prezzi per poter garantire una qualità elevata del prodotto.» Tornai a guardare l'avvocato che quasi pareva irritato dal mio successo.
Punto per me: Anastasia 1- odioso avvocato Rivera 0.
«Ma sarei curiosa di conoscere l'opinione di Giulio, in quanto con più esperienza nel settore.» Aggiunsi. Colpo di classe.
Mitch rivolse due secchi colpetti di tosse come a soffocare un risolino, poi per gratitudine dovetti girarmi per ringraziare il ragazzo che mi aveva parato il culo con una classe indiscutibile, e subito dopo gli occhi dell'avvocato Rivera su di me ripresero ad ardere, quasi infastiditi, intimidatori e prepotenti, mi crearono una tale soggezione da intimarmi ad abbassare lo sguardo sul foglio, persa nel silenzio arso della mia mente.
Era inutile anche provarci: non sarei riuscita a seguire nemmeno una parola di quella riunione, viste le circostanze. Ricordo solo che firmai un contratto che nemmeno lessi, e poi il tempo volò fino alla fine della riunione.
Mitch si alzò prima di me, mi circondò la vita con un braccio per evitare che Marco mi si avvicinasse, e aspettò che tutti fossero usciti, conoscendo bene i residui della mia, sebbene lieve, ansia sociale.
Sentii a malapena l'avvocato, impegnato in discorsi profondi con il signor Rubini, chiedere al direttore un momento, e poi con la coda dell'occhio lo vidi allungare verso di lui una mano, come a voler fermare il loro discorso.
«Anastasia.» Un richiamo austero, tanto freddo quanto pieno mi costrinse a rivolgergli l'attenzione.
Mi voltai, Mitch si staccò gradualmente da me mentre l'avvocato Rivera percorreva il mio corpo con lo sguardo.
I suoi occhi si fermarono alle mie décolleté nere, un angolo della bocca gli si alzò insolente dimostrando la sua innata arroganza e uno scintillio di pungente divertimento gli illuminò le iridi.
«Vedo che ami sfidare la sorte.» Mi schernì ricordandomi la caduta di qualche sera prima con un leggero cenno del capo verso le mie scarpe.
Perché lui? Perché tra tutti gli avvocati proprio lui?
Mi guardai i piedi, magri, venosi e piccoli, slanciati dai tacchi neri che aderivano perfettamente ai lati.
Tornai a guardarlo, sfidandolo. «Il rischio è più allettante di qualsiasi altra banalità prevedibile.»
Lui venne verso di me, mi guardò dall'alto mentre il suo sguardo severo mi fulminava. «Non fare la spavalda.»
«Perché, avvocato Rivera? Non è abituato alla sua stessa presunzione?» Avanzai di un passo e alzai il mento per poterlo guardare negli occhi.
Scosse leggermente la testa mentre due lievi schiocchi della lingua tra denti e palato, lenti e delicati, furono versi di negazione. Lui si chinò su di me per avvicinare il volto al mio, i suoi occhi turchesi fissarono con freddezza i miei. Tornarono la timidezza e la soggezione scaturiti dalla sua autorità che mi imponeva con una strana violenza morale.
Quando l'avevo vicino ero confusa; ogni mio piccolo aspetto del carattere pretendeva di comandare sulla mente, e litigavano, si contrastavano dando il via ad una vera e propria guerra interiore.
Deglutii. Come fa a manipolare la mente delle persone?
«Spavaldo, Anastasia, è colui che ostenta un'eccessiva sicurezza, spesso sfrontata o temeraria. Non ha a che fare con il tenermi testa.» Si permise di sistemarmi una ciocca di capelli dietro l'orecchio, non per un gesto di tenerezza, bensì per dimostrare di avere controllo su di me. «Sai chi è uno sfrontato?»
Annuii.
«Dillo allora.»
Sapevo cosa significasse, ma non avevo idea di come spiegarlo.
«Non lo so spiegare.» Ammisi a testa bassa.
«Se non lo sai spiegare non lo sai abbastanza bene.» Mi rimproverò rigoroso. Einstein gli avrebbe battuto il cinque.
Poi parve tornare indietro sui suoi passi, mollando sebbene di poco la presa stritolante che mi stringeva il cervello. Sospirò. «Si tratta di una persona sfacciata e senza ritegno, che manca di rispetto. Ѐ ciò che vuoi essere?» Rispose lui per me e chiese dell'altro.
Scossi la testa.
«E sai chi è un temerario?»
Sapevo cosa volesse dire, ma le parole mi morirono in gola, e immobile, non fui in grado nemmeno di muovere la testa per annuire, dunque si rispose ancora una volta da solo. «Ѐ chi non valuta il rischio evidente in un atteggiamento o comportamento, per incoscienza o sprezzo del pericolo.»
Mi svegliai dalla trance. Capii che mi stava manipolando, e non avevo intenzione di sottostare al suo controllo. Non di nuovo.
Ancora la guerra che avevo dentro mi confuse. Ancora con arroganza, riunendo ogni mia cellula di coraggio, gli risposi a tono, ponendo resistenza alla sua manipolazione.
«Mi sta minacciando, avvocato?»
Scosse la testa con un sorrisino di scherno, tornando dritto, mentre il mio naso gli stava ad un passo dal petto e il suo profumo tentava di soggiogarmi.
Avrei voluto affondare la faccia tra il collo e il petto di quell'odioso uomo, non so per quale motivo, non so come facesse ad avere il pieno controllo di me e non so quale fosse il gioco che proponeva alla mia mente, ma ero spaventava, mi sentivo vulnerabile e volevo soltanto che smettesse di controllarmi.
«Ti sto dicendo di non ostentare una spavalderia che non ti appartiene sfidandomi, Anastasia, nulla di più. Non gradisco essere sfidato, specialmente perché il tuo astio è cosa infondata. Vuoi tenermi testa? Allora fallo dimostrandomi di aver preso consapevolezza delle nostre due differenti posizioni.»
Differenti posizioni? Come può aver dimenticato come quella sera mi ero avvinghiata al suo collo? Come può aver scordato la vicinanza che quella sera avevamo? Come mi ero fidata di lui, e concessa alle sue cure?
La bolla in cui eravamo racchiusi si ruppe. Alle sue spalle trovai il capo esterrefatto, mi voltai, e alle mie Mitch, appoggiato allo stipite della porta con espressione sfacciatamente divertita, mi fece cenno con la testa di andare; mi avvicinai a lui rivolgendo un ultimo sguardo all'avvocato e al direttore.
Un «arrivederci» mormorato fu l'ultima cosa che dissi loro, mentre mi rendevo conto di averlo accontentato e lasciato umiliarmi.

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