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L'effetto di un motto di spirito
nasce dalla confusione
seguita dall'illuminazione.

Sigmund Freud


Arrivata in camera mi sorpresi della persona che vidi riflessa allo specchio, così serena e viva, che quasi faticai a riconoscermi.
Mi soffermai a guardarmi, con le guance arrossate e le labbra umide che involontariamente avevo mordicchiato con la speranza di colmare l'insoddisfazione fisica che l'avvocato mi aveva lasciato addosso.
I capelli spettinati, ancora raccolti nel mollettone che a fatica li teneva in un minimo di ordine, eppure non stavano male ed anzi sembravano sani e luminosi; i miei occhi dalle pupille grandi e dilatate erano ora svegli e meno spenti, meno spaventati.
La maglia stropicciata di Mitch che mi arrivava fino alle cosce copriva quei lineamenti che accarezzandoli pareva l'avvocato avesse rimodellato, e allora, presa da una strana eccitazione la sollevai e osservai poco sopra all'elastico dei leggings, laddove la mia pelle era ancora rossa. Non ebbi nemmeno il coraggio di riservarmi alcuna carezza, quasi spaventata che toccando dove Rivera aveva toccato avrei potuto cancellare il suo tocco e sporcare il mio corpo dal piacere che lui gli aveva regalato.
Quasi dispiaciuta che lui non mi avesse toccata a tal punto da lasciarmi un segno che forse sarebbe stato il promemoria della netta divisione tra realtà e illusione mi persi in quel pigmento di un rosso ancora vivo.
Intanto l'avvocato passeggiava tranquillo tra salotto e cucina, calpestando la linea immaginaria che divideva i due locali del mio piccolo appartamento da universitaria.
Ricordo che amavo il mio bilocale, moderno e ben curato, ma per qualche strano motivo per un attimo me ne vergognai: la sua auto era probabilmente costata più dell'intero mio appartamento. Non avrebbe mai guardato una ragazza così giovane e per giunta di un ramo sociale inferiore al suo.
Ma perché pensi alla possibilità di essere presa in considerazione da lui? Cosa vuoi da quell'uomo?
Nemmeno mi impegnai per sentire cosa stesse raccontando a Mitch, mi preoccupai solamente quando lo scoprii osservarmi, impassibile e serio, mentre io controllavo la sua piccola opera d'arte che aveva esposto nella parete spoglia che per lui, in quel momento, era stato il mio corpo pallido.
Arrossii imbarazzata quando mi resi conto che come una ragazzina impaziente, sotto gli effetti che soltanto pizzicandomi il fianco lui mi aveva provocato, non avevo saputo resistere alla tentazione di guardarmi il fianco.
Consapevole di tutto, a partire dall'effetto che mi faceva e concludendo con i miei particolari gusti che lui aveva conosciuto prima che io stessa li scoprissi, avanzò verso di me, ed io indifesa trattenni il fiato. Una scossa mi colpì il basso ventre, le mie viscere si contorsero e l'addome si contrasse quando sentii il suo profumo farsi più intenso.
Mi bloccai con le braccia inermi lungo il corpo che improvvisamente trovai scomodo, a capo chino presi a giocare con le mani, mentre lui si faceva sempre più vicino.
Mi toccò il mento, lo prese tra due dita e mi alzò il volto che scoprì accaldato.
«Stavi controllando non ti avessi scorticata?»
Scossi la testa e borbottai una risposta. «Volevo solo guardare.» E di nuovo l'abbassai.
Sostenere il suo sguardo talvolta era più complicato di quanto si possa credere. I suoi occhi attiravano a loro ogni attenzione, ma al contempo intimavano di restargli lontano, di non guardarli troppo. Mettevano soggezione, pretendevano rispetto e imponevano una tale autorità che io, una giovane ragazza di soli ventitré anni, non ero ancora in grado di sopportare. E quindi, come se il pavimento fosse una calamita per i miei occhi, abbassai nuovamente lo sguardo.
Come spesso faceva, fece schioccare la lingua al palato, due volte e vicine tra loro, in segno di negazione. «Voglio vederti, non hai motivo di vergognarti.»
Ma non l'ascoltai, e tenni bassa la testa.
«Posso dare un'occhiata anche io?» Domandò senza attendere risposta.
Rivera prese il lembo della maglia e la sollevò, la macchiolina rossastra spuntò nel pallore della mia carne.
«Non resterà alcun livido, se è questo che ti preoccupa.»
Con occhi grandi lo guardai in volto mentre lui dava un'ultima carezza al mio fianco e deglutii a fatica come se stessi buttando giù qualcosa di grande, tipo una grandissima omissione e un particolare che faticavo ad accettare e che io per prima notai solamente quando come risposta gli avrei voluto dire no, avvocato, l'unico mio problema è che lei non abbia giocato abbastanza da lasciarmi un livido in suo ricordo. Non mi ha fatto abbastanza male, e questo mi dà fastidio.
Ma ancora peggio era stato il piacere nella vergogna. Solo quando lui mi aveva colta a guardarmi il fianco affascinata da quell'assaggio di lui ed ero sprofondata nell'imbarazzo, avevo sentito il calore al basso ventre forte più che mai.
Fu da quel giorno che iniziai a conoscermi e a pormi domande su chi realmente fosse Anastasia, e su come si potesse farla rinascere.
Cominciai a domandarmi perché sperassi in un livido piuttosto che in una parola provocante e delicata, perché la vergogna mi agitasse tanto, ma anche cosa significassero quelle voci che sentivo e perché continuavo a vedere oltre alla realtà.
Chi è Anastasia? E cos'ha che non va?
L'avvocato lo capiva, ed anzi lo aveva capito ancora prima che fossi stata io a riconoscerlo, e mi stava presentando la vera Anastasia di proposito, per volere che io mi conoscessi; ma perché avrebbe dovuto aiutarmi a conoscere la vera me? Perché ci teneva così tanto?
Ma soprattutto chi era la ragazza che sentiva un calore nuovo se provava vergogna? Chi era la ragazza che ammetteva di sentire e vedere cose che esistevano solo e soltanto nella sua mente? E dove era stata per tutto questo tempo? Perché era sbucata con l'arrivo dell'avvocato?
E chi era quella che fino a prima conoscevo?
Con occhi grandi lo guardai e chiesi «ora se ne va?» Ma quello che volevo suonasse come un invito ad andarsene nato per il gusto di provocarlo, sembrò più una supplica a restare.
Si mise seduto sul letto sfatto e guardandomi attorno per un secondo ringraziai la mia mania per l'ordine che forse mi aveva permesso di salvare quel poco di dignità che mi restava.
«Aspetto che arrivi il tuo amico e poi vado.»
Sedetti anche io accanto a lui ma a distanza di sicurezza.
«Però per la questione della denuncia ti chiederei di vederci un altro giorno, quando si spera tu sia più lucida.»
Non credeva fossi abbastanza cosciente e aveva ragione a non fidarsi; tuttavia questo mi ferì.
«Anche adesso sono lucida.» Mentii orgogliosa.
Allora scosse la testa. «Non iniziare a controbattere, è comportamento molto più maturo accettare la verità.»
Bipolare quanto me tornò alla sua naturale freddezza schiaffeggiando il mio orgoglio con parole impostate, piegandomi e accartocciandomi come un foglio di carta straccia.
«La smetta di darmi dell'immatura.» A braccia conserte lo rimproverai, ma lui ci tenne ancora una volta a puntualizzare. «Non ti sto dicendo che sei immatura, bensì che il tuo comportamento può essere ancora migliore. Dimostra meno maturità di quella in realtà hai.» Si sistemò i capelli con un fluente movimento del braccio che tese i muscoli e costrinse alla camicia di aderire alla sua carne, poi alzò con arroganza un angolo della bocca. «Devi sempre travisare tutto ciò che ti dico o imparerai anche a comprendere il vero significato dei termini?»
Sgranai gli occhi e lo imitai. «E lei deve sempre essere così presuntuoso o imparerà anche a lasciar scorrere gli errori altrui?»
L'avvocato rise di gusto. «Presuntuoso è colui che presume troppo di sé, che si reputa superiore rispetto a ciò che effettivamente è e che ha eccessiva opinione delle proprie doti, aggettivo che non c'entra con la mia intransigenza.»
Alzai gli occhi al cielo e sbuffai.
Un mugugno di disapprovazione gli graffiò la gola. «Non essere impertinente, signorina.»
Quasi mi venne d'istinto ripetere il gesto per il quale mi ero appena aggiudicata una sgridata, ma mi fermai in tempo e mi limitai ad arrossire in silenzio.
Con la coda dell'occhio lo vidi arretrare con la schiena e appoggiarsi sui palmi.
Inclinò il capo verso l'alto, allungando il collo e inspirando a fondo.
Mi voltai a guardare il suo profilo. Il naso greco tra gli zigomi pronunciati, la mascella squadrata come i lineamenti spigolosi e allo stesso tempo delicati del resto del volto.
Il pomo d'Adamo che si vedeva appena si abbassò nell'atto di deglutire, il petto dell'avvocato si sollevò in un respiro profondo, poi si rimise nella solita sua posa impeccabile, lentamente lasciò uscire l'aria appena catturata mentre pensieroso si massaggiò il mento.
«Evita di lavorare oggi. So che vuoi andare in ufficio e distrarti, ma io preferisco che tu stia a casa a riposare.» Mi disse.
Dedussi dal suo tono che lui fosse certo la sua opinione, ma soprattutto il suo volere, condizionassero a pieno la mia persona.
«È così sicuro che io voglia seguire quello che lei preferisce?»
Non lo dissi con lo scopo di sfidarlo, bensì lo feci per una forma di curiosità: quanto era consapevole del mio asservimento? Ma soprattutto, visto che lui mi capiva meglio di come io stessa mi capissi, fin dove arrivava la sua manipolazione e la mia relativa risposta al suo giochino di controllo?
L'avvocato rimase impassibile. Era sempre di una calma spaventosa e anomala, a tal punto che tanto forte era la curiosità che invogliava a condurlo oltre i limiti per conoscere ciò che lui reprimeva, tanta era la paura di vederlo libero dalle catene del controllo.
Per intenderci: se un uomo tanto sicuro di conoscersi riteneva fosse meglio controllarsi, forse temeva ciò che era nel momento in cui non sarebbe più stato controllato l'animale che gli viveva dentro.
«Quindi?» Lo incitai. «Come può essere così certo che io voglia fare ciò che lei vuole io faccia?»
Alzai la voce, ma lui ancora non si scompose.
«Non ne sono certo, non ti conosco, Anastasia.» Disse quasi ferendomi.
«Però lei crede di non essermi indifferente, giusto?» Dedussi lo stesse dando per scontato.
L'avvocato giocò con la fede distrattamente. «Totalmente indifferente non lo credo, ma ripeto, non ti conosco, potrei sbagliarmi.» Mi scrutò. «Non nego che ai miei occhi sia evidente tu stia cercando una forma di protezione e di approvazione. Non ho la certezza tu la stia cercando in me, né che tu lo faccia cosciente.»
Maturai l'idea che per lui fossi un libro aperto dalla copertina morbida; poteva sfogliare ogni pagina di me, poteva leggere una qualsiasi cosa, poteva ripormi al sicuro su una mensola oppure espormi al baratro del pericolo in una libreria pubblica. Poteva altrimenti iniziare a leggermi per poi stufarsi, saltare da un capitolo all'altro, maltrattare le mie pagine, strapparle o accartocciarle. Poteva avere cura e imparare qualcosa di me, come poteva sfruttare ciò che leggeva per farmi del male.
«Ho ventitré anni, può essere io stia dando un'idea differente da quella che è la situazione.» Sondai il terreno sbattendogli in faccia la mia età per evitare lo facesse lui poco dopo, con lo scopo di rimettermi al mio posto come spesso accadeva.
Fu per me come disarmarlo, ma ugualmente non si ritrovò senza parole.
«Al contrario, proprio perché sei giovane è anomalo che tu sappia fingere così bene.» Stette al gioco facendomi credere di fidarsi delle mie parole. Ci rifletté sopra e poi riprese a parlare. «Cercare l'appoggio di un adulto alla tua età non è poi così strano.»
Riflettendoci, malgrado a lui mancasse poco più di un anno per diventare quarantenne ed io ancora avrei dovuto aspettarne sette per arrivare ai trenta, mi fece strano pensare all'effetto che lui aveva su di me relazionandolo alle nostre età.
Mi lasciai condizionare dalle sue parole e ci credetti.
Volevo sentirmi protetta perché ero terrorizzata dalla vita stessa.
Lui era come le alte mura che proteggevo il castello, lui era come il tetto di casa in una giornata di pioggia e come un ombrellone quando il sole d'agosto aggrediva la pelle.
Era il mio posto sicuro perché quando ebbi paura lui non mi fece nulla, e quando mi trovai in pericolo lui mi portò al sicuro.
Lui e la sua maledetta autorità riuscivano a trasmettermi calma, e quel controllo che esercitava anche su di me mi alleggeriva dai miei stessi pensieri come se mi stesse dicendo hey, ora mi occupo io tutto, non serve che tu faccia niente.
D'improvviso mi venne un gran sonno. Ero sveglia da ore, la mia mente era distrutta e confusa dopo aver ascoltato tutte quelle voci e discusso con mio fratello.
Mi portai una mano davanti alla bocca e sbadigliai, stirai i muscoli e tastai le lenzuola morbide del mio letto.
L'avvocato mi sistemò i capelli dietro all'orecchio, poi tornò a braccia conserte e mi scrutò attento.
«Vedi qualcuno oltre noi?» Domandò.
Scossi la testa. «C'è solo lei qui.» Solo lui.

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