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Io sono destinato ad avere l'anima
perpetuamente in tempesta.

Ugo Foscolo


Mi svegliai stesa a letto con il lenzuolo fino al seno, appoggiata su un fianco, accovacciata, con una mano formicolante sotto al cuscino e con una grande scarica di energia addosso.
Le tapparelle alzate lasciavano entrare i raggi del sole che la tenda filtrava rendendoli di un fioco calore che mi scaldò il volto e che mi costrinse a richiudere gli occhi non appena li aprii.
Era una bella giornata, cominciava a sentirsi il vociare delle persone e il risvegliarsi della città. La strada divenne più trafficata e qualche uccellinò sfidò Milano cantando insieme al suo chiasso.
Mi guardai attorno, sul comodino era appoggiato il mio cellulare con accanto un post-it rosa: uno di quelli che tenevo in cucina e attaccavo al frigorifero per i promemoria.
Mi levai a sedere e mi stropicciai gli occhi; stirai le braccia, inalai l'odore del caffè appena fatto e mi guardai attorno.
Mitch comparve dalla cucina; si affacciò alla camera saltellando, tenendo in mano una tazza e indossando un grembiule.
«Finalmente hai smesso di dormire!» Esultò sparendo nuovamente e trafficando con i fornelli. Si era calato nella parte di babysitter a quanto pare, e aveva fretta che io andassi a fare colazione.
Ebbi giusto il tempo di staccare il foglietto colorato dal comodino e di leggerlo.

Chiamami quando ti svegli,
Alexander.

Solo allora ricordai ogni cosa: Venezia, mio fratello, le tante voci ed infine l'avvocato Rivera.
Ricordai la cattiveria di quella voce che antipatica viveva nella mia testa, la confusione di tanti altri discorsi, toni, parole differenti che violente riempivano le mie notti impedendomi di dormire. Mio fratello mi aveva dato della pazza, avrei giurato fosse stato lì con me, e invece lì non c'era.
Cominciò a diventare difficile scindere il sogno dalla realtà.
Ricordai anche quanto forte mi batteva il cuore mentre il telefono squillava e il numero dell'avvocato luccicava sul display.
Rivera arrivò da me non appena sentì la mia voce tremante al telefono dopo avermi richiamata; avevamo parlato a lungo, rischiato forse di discutere come sempre accadeva tra noi, aveva torturato la mia pelle, e mi aveva fatta gemere di dolore e piacere riportandomi alla vita reale.
«Solamente questo è realtà.» Mi aveva detto, e mio fratello se ne andò insieme ad ogni altra voce nella mia testa.
Solo lui: noi due eravamo finalmente soli. Io ero finalmente sola.
Mi sentivo così tanto al sicuro che mi venne un gran sonno, le palpebre si chiusero cullate dalla voce profonda dell'avvocato. L'avevo sentito sollevarmi e poco dopo ripormi a letto con la testa appoggiata al cuscino e il lenzuolo a ripararmi.
Mi svegliai quando sentii il campanello, lo cercai seduto accanto a me dove l'avevo lasciato, tastai l'aria fino a quando non lo trovai in piedi vicino al letto, e gli presi la mano con la quale paziente, lui mi lasciò giocare.
«Non vada via.» Gli avevo chiesto in dormiveglia.
Toccai l'anello, lo rigirai sul suo anulare e lo mossi leggermente: avrei voluto strapparglielo via e lanciarlo lontano.
«Mi chiamerai se quando ti sarai svegliata avrai bisogno di me.»
Lasciai cadere la sua mano. «Risponderai?»
Gli diedi del tu senza nemmeno accorgermene.
«E se avrai bisogno verrò qui, va bene?»
Annuii mugugnando un versetto d'approvazione e ricaddi nella grotta nel paese omerico dei Cimmeri, dove Morfeo mi riprese tra le braccia.

Quando mi svegliai mi ritrovai da sola nel letto, con un Mitch Reed intento a preparare la colazione che lui chiamava all'italiana.
Mi costrinsi ad alzarmi ed arrivai in cucina dove al bancone era già servita una ricca colazione.
«Sei fortunata che oggi Rubini e Marco non sono in ufficio.» Esordì con un sorriso sornione posandomi sotto al naso un cappuccino con tanto di schiuma.
Si riferiva al fatto che senza preavviso ci eravamo presi una giornata libera, ma che quel giorno il capo non era in azienda, e quindi difficilmente sarebbe venuto a saperlo.
«Mi dispiace averti fatto perdere una giornata di lavoro.»
Forse avrei preferito fosse rimasto l'avvocato con me, per quanto volessi bene a Mitch che così avrebbe potuto risparmiarsi il giorno di ferie tenendolo invece per quando sarebbe riuscito a fare una piccola vacanza con Adele che da tanto tempo aspettava di godersi il marito.
Merlino intanto salì sul bancone piazzandosi di fronte alla ciotola che io riempii con la sua scatoletta preferita.
Intanto Mitch rigirò il cucchiaino nella sua tazzina e mi parlò.
«Perché non hai provato a richiamarmi? Sai bene che prima di interrompere il sonno mio e di Adele ci vuole il suo tempo e che prima o poi avrei risposto.» Avvicinò la tazzina alle labbra. «Io conosco i tuoi incubi, ti avrei aiutato come sempre ho fatto.»
Mi chiesi cosa sapesse. Mi domandai perché avesse nominato solamente gli incubi e non tutte le altre cose ben più gravi.
Cosa gli aveva detto l'avvocato? Cosa aveva omesso e perché l'aveva fatto?
«Hai sognato ancora Venezia, vero?» Cambiò discorso.
Ormai certa che sapesse solo dei brutti sogni io annuii.
Ero sicura che Rivera non avesse aggiunto altro oltre agli incubi, ma perché assecondarmi così tanto?
Quasi mi parve che Mitch potesse leggermi nella mente quando mi suggerì di chiamare l'avvocato nell'esatto istante in cui mi stavo ponendo domande su di lui e sul suo comportamento.
«Più tardi gli scrivo.» Lo liquidai.
Sarei morta d'ansia solamente all'idea di sentire il telefono squillare nell'attesa della sua voce.
«Ma lui si è assicurato che tu l'avresti chiamato.» Mitch era talvolta talmente insistente che io passavo la gran parte del mio tempo con lui a sperare che gli cascasse la lingua.
«Adesso non ho voglia di sentirlo.» Lagnai con la speranza che la ruffiana unione dei miei occhi da cerbiatto con il tono da bimbetta triste e stanca avesse potuto smorzare la sua invadenza.
Il ragazzo scese dallo sgabello, si tirò in piedi e sparì alle mie spalle. Tornò in meno di un minuto con il mio cellulare in mano, lo appoggiò al bancone sotto al mio naso e si piazzò di fronte a me, a fissarmi a braccia conserte.
«Ora tu lo chiami e lo ringrazi.»
Sollevai un sopracciglio. «A che gioco stai giocando?»
Sembrava che stesse cercando di spingermi tra le grinfie dell'avvocato, eppure Mitch conosceva le dinamiche che erano tra noi, la manipolazione, l'attrazione e il pericolo che stavo correndo.
«Al gioco dell'amico che cerca di evitarti figuracce.» Indicò il cellulare. «E ora chiama.»
Squillò forse una o due volte e già potei leggere sul display il conteggio dei secondi di durata della chiamata.
Mi stava forse aspettando?
0:01, 0:02, 0:03... ancora silenzio.
Mi schiarii la voce e lo sentii ridacchiare.
Arrossii e dopo essermi schiarita la voce bofonchiai un timido «Buongiorno.»
«Ѐ finalmente un buon giorno, Anastasia?»
Mitch annuì frenetico e quasi con isteria mimò un «ringrazia.»
«Uhm.» Cercai di superare l'imbarazzo. «Sì, sì. Credo di sì.» Ignorai tutti i gesti di Mitch trovando improvvisamente interessante la macchiolina sulla piastrella di fronte a me.
«Volevo ringraziarla.» presi fiato quasi ansando. «E anche scusarmi.»
«Ogni tua chiamata è di scuse e ringraziamenti.» Osservò ridacchiando, ma io la colsi come una critica.
«Oh.» Riflettei. «Mi dispiace.»
Rivera scoppiò a ridere. Una risata sincera, calda ed elegante.
Nel panico cercai da Mitch del conforto ma lui, nella disperazione si era dato una manata alla fronte sospirando.
Una volta realizzato che da lui non avrei trovato un sostegno, passeggiai fino alla camera da letto, dove mi chiusi per scappare dal mio amico, di cui le critiche temetti potessero condizionarmi.
«È che mi sembra di disturbarla. Lei sarà sempre impegnato con il lavoro o con la famiglia e io...» borbottai, ma per qualche grazia divina venni interrotta prima di dire qualche stupidaggine a causa dell'agitazione.
«Te l'ho chiesto io di chiamarmi.» Disse. «Ed anzi sarei rimasto con te se non avessi avuto impegni lavorativi importanti.»
Sospirai. «Ma lei...»
E ancora mi interruppe. «Ma io niente. Ho deciso di venire da te perché mi andava, nessuno mi ha costretto e nulla di più importante è stato trascurato.»
Mi guardai allo specchio, d'istinto sollevai la maglia e abbassai lievemente l'elastico dei pantaloni quasi a cercare l'impronta di Rivera.
Il rossore era svanito e solo una piccola macchiolina rossa era rimasta nella delicatezza e nel pallore della mia pelle.
Mi accarezzai il fianco e lo pizzicai laddove lui aveva giocato. Cercai il suo tocco, ma le mie dita erano troppo diverse, erano più piccole, meno forti, e i polpastrelli non per niente ruvidi.
Ad un tratto cambiai modo di respirare e un gran caldo si dilagò a partire dal basso ventre fino ad ogni mia anche più inutile cellula.
«Mutismo selettivo?» Distratta dalla bellezza della sua voce mi scordai di rispondergli.
«Anastasia?» Mi richiamò.
«Scusi, stavo facendo altro.»
L'avvocato ridacchiò. «Preferisci che ti lasci tranquilla?»
Scossi la testa. «Nono.» Ci ripensai. «Ma non voglio disturbarla.»
Mi ignorò: l'aveva ripetuto tante volte e lui odiava ripetersi.
Continuai a toccarmi il fianco.
«Cos'ha fatto oggi?» Gli domandai solamente per il bisogno di sentire la sua voce.
Non glie l'avevo mai chiesto e non avevo mai avuto il coraggio di cominciare un discorso. Sembrò quasi un piccolo passo in avanti nella nostra fredda e distaccata conoscenza.
Lui iniziò a parlare mentre la mia mano scendeva sotto alle creste iliache. L'ascoltai, la mia mente viaggiò nella profondità della sua voce e nel ricordo del piacevole dolore che mi aveva provocato al fianco.
Mi accarezzai all'altezza dell'inguine, sopra alla stoffa nera dell'intimo, ed un sospiro sgusciò via dalle mie labbra inumidite mentre lui continuava a parlare.
«E ora sono al telefono con una ragazzina distratta.» Il tono polemico bastò per farmi recuperare per un secondo la lucidità e l'attenzione necessarie a rispondergli.
«Non sono distratta.»
Oh no avvocato, sono fin troppo attenta alla sua voce.
«Ah no?» Lo sentii sorridere dall'altro lato del telefono. «A cosa stavi pensando?»
«A nulla. Sto bene.» Tanto bene.
«E allora dimmi cosa stavi facendo.»
Sospirai. «La stavo ascoltando. Anzi, se vuole continuare...» Dissi supplichevole e con la mano ancora infilata tra i vestiti.
«In una mattinata non posso aver fatto chissà quanto.»
Mi morsi il labbro, corrucciata mossi le dita curiose e inesperte che scivolavano tra i miei umori.
Allargai le gambe e chiusi gli occhi.
«Anastasia non voglio passare ore a pregarti di rispondere. Se dobbiamo stare in silenzio preferisco vederti.»
Nell'attimo in cui mi chiamò per nome i miei muscoli si irrigidirono, le mie dita vennero avvolte da un calore nuovo e poi tutto si rilassò all'improvviso.
Il mio nome tra le sue labbra, la paura che potesse accorgersene, il ricordo di come stringeva la mia pelle e la sua voce, i suoi accenti, la sua dizione.
Mi bastò questo per trovare il coraggio di essere spudorata, almeno con me stessa.
Con il fiatone gli risposi. «Ammetto di avere dei problemi con il dialogare.»
«Alla tua età sono problemi che vanno superati.»
La sua voce si fece intanto più profonda. Si scurì con l'avvento di un discorso serio.
«Dobbiamo parlare della denuncia e di quello che ti è successo stamattina. Che tu lo voglia o meno.» Si impose.
Accettai, arrendevole. «Devo venire in ufficio da lei?»
«No.» Mi disse. «Voglio cambiare modalità con te. Questa sera ti passo a prendere. Forse con una buona cena sarà più facile.»
Ci salutammo e mi lasciò sola con il mio riflesso.
Le guance rosse e le gambe ancora aperte mi ricordavano di quanto fossi lascivia e sporca.
Era successo senza che l'avvocato sapesse nulla. Ora, nella mia testa, tra me e lui era successo qualcosa di grande senza che lui ne fosse a conoscenza. Mi ero forse approfittata di lui? L'avevo usato per i miei scopi seppure inconsciamente? Era forse sintomo di una qualche malattia psichiatrica?
Sgattaiolai in bagno dove mi ripulii.
I miei sensi di colpa aumentarono lavando via le uniche tracce.
Se lui non avesse voluto? Per la testa avevo solo il suo nome; la sua voce fu tutto ciò che mi permise di godere.
Parlavo tanto di violenze, ma questa per me fu una mancanza di rispetto quasi peggiore. L'avvocato si era premurato che io stessi meglio, era stato attento alla mia salute e aveva sottratto del tempo al lavoro solamente per me, ed io... Io mi ero lasciata andare in un gesto che da anni non avevo più il coraggio di fare.
Ma perché? Perché proprio con lui? E come poteva esser stata cosa talmente spontanea?
Mi cambiai l'intimo, poi con acqua fredda mi sciacquai il volto e il petto per raffreddare la pelle calda e quasi bollente.
«Tutto okay?» Mitch mi richiamò del soggiorno. Mi vestii in fretta e lo raggiunsi prima che fosse stato lui a venire a cercarmi.
«Vado a cena fuori.» Sorrisi da brava ebete che ero.
Mitch si voltò di scatto. «Con lui?»
Annuii con foga.
«Questa sera?»
Annuii ancora.

Princeps LuxuriaeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora