capitolo 1.

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i need a drink...or two...ok, a bottle maybe.

ok, a bottle maybe

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5 maggio 2019

Sbatto la porta del mio appartamento ed esco di corsa, fiondandomi giù dalle scale. Non guardo dove vado, faccio gli scalini due o tre alla volta, non dando il tempo ad un piede di appoggiarsi che l'altro è già davanti a lui, come se volassi, nell'impeto credo di prendere anche qualche storta, ma non ci faccio caso, non importa, ho tre piani da farmi a piedi, cercando di scappare dalla frase più brutta sentita negli ultimi tre mesi, e delle storte sono, certamente, l'ultimo dei miei problemi.

"Sia mi serve un favore..." ha esordito Ana, dopo aver fatto capolino a casa mia, circa dieci minuti fa, usando la chiave che oramai ha da qualche anno. Io, ovviamente, non mi sono tirata indietro, è come una sorellina per me, ho sempre cercato di fare il possibile per aiutarla, però questa volta avrei preferito non sentire il resto della frase, avrei preferito dicesse una cavolata come "Mi serve casa tua per una notte" o un banale "Mi presti la tua macchina" come oramai è solita domandarmi da quando ha preso la patente. Di certo non mi aspettavo niente di troppo sconvolgente, eppure mi sbagliavo.

«Devi venire al GP di Barcellona con me. Il 10 partiamo.»

A quelle parole i miei occhi si sono dilatati come quelli di un cerbiatto e la mia mente si è scollegata completamente, spingendomi ad alzarmi con maniere brusche e a correre via, come se dovessi scappare. Sono state come lava quelle parole, mi hanno bruciato addosso fino all'ultima lettera, le labbra di Ana sembravano un vulcano in eruzione ad ogni suono che emettevano.

Due frasi.
10 parole.
47 lettere.
E un solo significato.

«Non puoi scappare per sempre Sia! Vi rincontrerete anche a stare nella tua Madrid.» mi urla ora, appoggiata con i gomiti alla ringhiera del mio balcone.

«Finchè...» cerco di tornare a respirare normalmente «Finché posso evitare, evito.» ribatto, poggiando le mani sulle ginocchia.

Non ho nemmeno idea del perché io abbia fatto questa corsa spolmonante fin fuori, per poi sapere che non sarei andata da nessuna parte e aver volontariamente perso un polmone, ma so perfettamente che non è solo la corsa che mi fa mancare il fiato, è un'aggravante, forse anche una scusante per me, incapace di ammettere che non sono ancora riuscita a superarlo. È la causa della corsa che mi fa mancare il respiro, è il significato del perché le parole di Ana mi bruciavano sulla pelle.

«Morticia piantala di fare la bambina! Non morirai se rivedrai Carlos!» la terra mi trema sotto i piedi e anche Ana se ne rende conto, tant'è che si tappa la bocca con una mano.

Quel nome non lo sento pronunciare dal 26 di febbraio, quando, di punto in bianco, proprio lui, ha deciso di non farsi più sentire e di scomparire dalla mia vita. Sono stata io a pregare tutti di non pronunciarlo più, mi ferisce sentirlo, perché mi ha fatto delle promesse, delle promesse davvero grandi e a cui io ho creduto semplicemente perchè è da lui che le avevo sentite, ma dopo nemmeno quarantotto ore le ha mandate tutte a farsi benedire, spezzando anche gli ultimi pezzettini di cuore che avevo ancora intatti. Ho passato delle giornate infernali dopo che se n'è andato, messa in ginocchio da un dolore troppo forte per una persona come me, che non ha mai fatto nulla di male, se non dire qualche piccola bugia da piccola.
E le nottate sono state anche peggio, non riuscivo a smettere di piangere, continuando a percepire la sua presenza dal lato destro del letto, il suo preferito, e il suo buon profumo sparso per le lenzuola, come fosse ancora lì.

Lui mi ha distrutta, mi ha messo al tappeto, senza darmi la possibilità di rialzarmi, e ancora oggi ne sento il peso. Ovviamente è meno complicato, non sto più male come prima e per questo devo ringraziare Ana, Esti e Flo. Marzo è stato davvero un mese complicato, quasi non uscivo da casa e, per quanto mi senta stupida ora che ne sono uscita, non mangiavo nemmeno più, o meglio, da sola non sfioravo cibo e se c'era qualcuno lo facevo, ma appena se ne andava mi infilavo due dita in gola e vomitavo tutto. Mi sentivo uno straccio, una nullità, più mi guardavo allo specchio e più mi vedevo brutta, questo perché prima ero certa di piacere a lui e quello mi faceva sentire più sicura di me stessa. Vedermi strappare via di forza un legame che durava da ventidue anni è stata dura, sia moralmente che fisicamente, e ancora adesso, se rivedo o ripenso a qualcosa di suo, il cuore mi fa dannatamente male. Carlos è qualcosa che non potrò mai superare.

«Ho detto di no Ana. Fine del discorso» tuono, rientrando in casa.

«Sia...»

«Che c'è?! Ho detto stop» mi volto di scatto, facendola sobbalzare.

«Sia me l'ha chiesto lui di chiedertelo» per la seconda volta in cinque minuti, sento nuovamente la terra mancarmi sotto i piedi.

Lui ha chiesto di Me.

«Cosa ti ha detto?» cerco di mantenere la calma.

«In realtà poco e niente. È stato, come suo solito, molto telegrafico»

Mi passa il suo cellulare, con la chat whatsapp di suo fratello aperta, e mi indica il penultimo messaggio della giornata, seguito da un "Sei serio?" a cui ha ricevuto solamente un visualizzato da parte sua.

Portala. È il GP di casa nostra.

Il cuore mi si restringe nel petto, mancando di qualche battito di troppo, portandomi a sbiancare e a dovermi sorreggere al bordo del tavolo per non cascare a terra. Il GP di casa nostra dice lui, con una naturalezza maledettamente tagliente e logorativa per me, come se non stesse parlando del weekend più bello dell'anno e che abbiamo condiviso per quattro anni. Andare con lui a GP di Barcellona e assistere a tutto il weekend di Formula1 era un emozione che non potevo riprovare in nessun'altra gara dell'anno, portava una sensazione di sicurezza e tranquillità che non riuscivo a rivedere in nessun altro posto e ne sono stata davvero felice, perchè era speciale.

Il calore, l'amore e il sostegno della tifoseria spagnola mi hanno fatta sentire parte di qualcosa, ma qualcosa di davvero grande, capace di scatenare nel mio cuore una serie di emozioni che non pensavo nemmeno di poter provare, tanto fossero belli da sentire e da vedere. Invece, lui, un nome a quella sensazione l'aveva trovato; Pathos mi aveva detto la prima volta che siamo andati al GP di Barcellona, nel 2015, riferendosi all'emozione che suscitava l'essere lì. Secondo lui coesistevano diversi significati in quella parola, ma tutti erano accomunati dalla medesima condizione: l'essere travolti da qualcosa che è fuori dal nostro controllo. Diceva che era impossibile ostacolare il pathos, lo si poteva solo accogliere e, in caso fosse stata una sensazione negativa, sopportare e attraversare ciò che comportava, tramutando l'esperienza in crescita. Era l'elemento cardine, secondo lui. L'elemento dell'esperienza artistica e emozionale che dava la tifoseria.

«Non vuoi rivivere il pathos Sia? Non vuoi risentirti parte di qualcosa di grande?» mi riscuote Ana, come sentendo anche lei i miei pensieri.

«E se diventasse un pathos negativo?»

Sorride dolcemente e afferra le mie mani, «Quel posto può mai essere, per te, un pathos negativo?»

La osservo con gli occhi lucidi, lasciandomi andare ad un sorriso tenero come il suo e pensando a come non riuscirei più a vivere senza di lei. Da piccole non è che ci sopprtassimo molto, soprattutto io a lei, ma crescendo ci siamo riscoperte, trovando appoggio l'una nell'altra. Mi è stata di fianco nei momenti belli, ma soprattutto in quelli brutti, decidendo di non prendersi cura dell'anima di suo fratello, ma di ricostruire me, pezzetto dopo pezzetto, crepa dopo crepa. Ed è stato più facile tornare a stare bene perché, paradossalmente, lei mi ricordava tanto lui. Sono uniti da un legame più profondo rispetto a quello che hanno con Blanca, la primogenita Sainz, e questo mi ha permesso di rivedere gli occhi di suo fratello nei suoi. A molti questo, magari, avrebbe fatto più male, a me ha aiutato invece, mi ha reso il dolore più leggero perché, in un modo molto contorto elaborato dal mio cervello distrutto, era come averlo ancora al mio fianco.

«D'accordo. Vengo.» esordisco d'improvviso, spiazzandomi tanto quanto ho spiazzato Ana.

«Non te ne pentirai, te lo prometto tesoro»

Ma forse è troppo presto per dirlo troppo forte piccola Ana.

Quedate por amor. ~Carlos Sainz~Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora