Capitolo 14

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"Date al dolore
la parola:
il dolore che non parla,
sussurra al cuore oppresso
e gli dice
di spezzarsi"
WILLIAM SHAKESPEARE

Guido per più di un'ora in preda ad un'ansia che mi squarcia il petto quando, finalmente, arrivo nel punto indicato.
Edoardo mi guarda soddisfatto mentre batte le mani e ordina ai suoi uomini di aprire le due grandi porte del capannone dismesso.
Parcheggio il furgone all'interno del medesimo e mi prendo qualche istante per guardarmi attorno.
Quest'enorme stabilimento, ormai abbandonato a sé stesso,  in passato deve essere stato una sorta di azienda agricola.
Posso notarlo dai vari strumenti gettati alla rinfusa in un angolo della rimessa.

«E bravo il mio fratellino.
Sapevo che ne saresti stato capace, d'altronde buon sangue non mente» afferma, dando una sonora pacca sulla mia spalla già indolenzita dal viaggio.
«Appena finisci di scaricare questa merda dimmelo, così mi riprendo il furgone.
E non chiamarmi fratellino, testa di cazzo» annullo la distanza tra noi poggiando la mia fronte sulla sua.

Sbuffo una nuvoletta di fumo lasciando che si schianti dritta sul suo viso.
Poggia in maniera rude una mano dietro la mia nuca, strattonandomi leggermente i capelli.
«D'accordo, fratellino» scandisce quella parola con un sorriso sadico disegnato in viso, per poi stamparmi un bacio di Giuda sulla guancia.
Digrigno i denti, cercando di tenere a bada la rabbia e il nervosismo che minacciano di fuoriuscire ed esplodere come una bomba.
Uso tutto il mio autocontrollo per non fracassargli il cranio.

«Prima di tornare dalla tua piccola Miriam, vai a casa di papà.
Avvisalo che è andato tutto bene, poi potrai scoparti quella puttanella come hai fatto pochi giorni fa»
Ascolto attentamente quelle parole, rendendomi conto all'istante che la situazione è più grave di ciò che pensavo.
Questa velata minaccia mi fa intendere che qualunque cosa io faccia gli verrà riferita, ogni mia piccola mossa è visibile ai suoi occhi.
Occhi che aspettano soltanto di vedermi sbagliare.

Annuisco con un cenno del capo senza potermi permettere il lusso di rifiutare.
Sono in trappola e, come un piccolo topo, mi ritrovo a soffocare per un pezzo di formaggio.
Schiacciato, dai miei demoni e dai sentimenti che mi ero ripromesso di non provare mai più.

«Andreas ti accompagnerà a prendere la tua macchina.
A dopo fratellino»
Salgo in questa Panda datata e dagli interni sporchi e usurati, restando in un imbarazzante silenzio.
Osservo con la coda dell'occhio questo ragazzino di circa diciotto anni, i capelli biondi e spettinati ricadono su quel viso dai lineamenti marcati.
La sua pelle candida è cosparsa di cicatrici e da alcuni lividi freschi.

«Perché hai scelto questa vita di merda?» chiedo, preso dalla curiosità.
«Perché questa vita di merda, come la chiami tu, mi permette di mangiare» risponde atono, evidenziando una forte tristezza.
«Ci sono mille modi per portare il cibo a casa senza rovinarsi la vita.
Chi ti ha procurato quei lividi?» domando ancora, chiedendomi come sia possibile che un ragazzino preferisca tutta questa merda ad una vita normale.
«I mille modi di cui parli mi obbligano a spaccarmi il culo e morire comunque di fame»
«Non hai risposto alla mia domanda.
Chi è stato a ridurti così?» volto lentamente la testa nella sua direzione iniziando a fissarlo in attesa di una risposta.
«Diciamo che tuo fratello non accetta errori da parte nostra» stringe forte la presa sul volante, incastrando gli occhi scuri e vuoti sull'asfalto di fronte a sè.

Parcheggia la sua Panda nel vialetto di casa mia facendomi intendere di essere una delle tante spie che mio fratello mi ha messo alle calcagna.
«Questo non è vivere. Questo è sopravvivere.
Potresti puntare a qualcosa di meglio di tutto ciò.
Pensaci»
Apro la portiera dell'auto guardandolo un'ultima volta in faccia.
Annuisce tacitamente per poi rimettere in moto la sua macchina scassata e ripartire.

L'inferno in noi 2 {CAOS}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora